LIGHTNESS, LAW AND NEUROSCIENCES: A NEW TOOL TO PROTECT THE UNRESPONSIVE PATIENT’S SELF-DETERMINATION?
4. IL DIRITTO DI AUTODETERMINAZIONE DEGLI INCAPACI: TRA SOSTITUZIONE E DIRETTIVE ANTICIPATE DI CURA
Il principio del consenso informato al trattamento terapeutico trova applicazione de plano nel rapporto sanitario tra il medico ed un paziente cosciente e capace di intendere di volere; tuttavia non sono infrequenti i casi in cui il medico sia costretto ad agire nei confronti di una persona non più compos sui.
Riguardo a tale ultima ipotesi, è stata ampiamente discussa sia la necessità di ricreare un
41
In giurisprudenza, in passato si era ricondotto il consenso del paziente alla causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.), quale scriminante di un’attività in sé illecita in quanto lesiva dell’integrità fisica; ad oggi, si afferma la c.d. autolegittimazione dell’attività medica, quale attività intrinsecamente lecita che non abbisogna di ulteriori giustificazioni (Cass. pen. S.U. 18.12.2008, n. 2437). In dottrina, v. MANTOVANI, Ferrando. Diritto penale. Parte generale. Padova: Cedam, 2011, p. 276 ss. per l’applicazione della scriminante dell’esercizio del diritto (art. 51 c.p.).
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Sulla dibattuta questione in ordine alla natura commissiva od omissiva della condotta del medico che interrompa le cure in atto, si rinvia a GIUNTA, Fausto. Il morire tra bioetica e diritto penale, in Pol. dir., Bologna, 2003, p. 565.
aspetto relazionale nelle scelte terapeutiche sia, subordinatamente a ciò, l’individuazione del soggetto legittimato a dialogare con il medico in luogo del paziente interessato. Sotto altro profilo, non meno problematica si è rivelata la questione circa l’efficacia da riconoscersi ad eventuali direttive anticipate di cura espresse dal paziente prima di cadere in stato d’incapacità.
Orbene nell’affrontare le citate tematiche, l’analisi giuridica deve scongiurare il rischio che il richiamo a tradizionali strumenti classificatori operi come freno al riconoscimento di istanze provenienti da una realtà in continua evoluzione43; d’altra parte l’individuazione, nel merito, di corrette soluzioni giuridiche deve muovere dalla constatazione che i principi costituzionali – ed in primis quello di uguaglianza – rinnegano il “vecchio paradigma astratto della soggettività”, mentre “l’esperienza contemporanea […] chiede alla riflessione giuridica […] di evidenziare […] differenze, di intendere la persona (nel segno di una sua irriducibile dignità sostenuta da diritti fondamentali non limitabili nemmeno ad opera del legislatore costituzionale) come modo d’essere dell’individuo nell’irripetibile evidenza delle sue peculiarità”44.
4.1 La rappresentanza dell’incapace ed i suoi limiti
Alla luce di tali premesse, la soluzione che meglio valorizza le istanze personalistiche presenti nell’ordinamento è quella postulante che alla perdita di coscienza della persona non corrisponda una sostanziale abdicazione rispetto ai diritti fondamentali, essendo di contro necessario, in tale circostanza, mettere in campo quegli strumenti che, se non riescono a rimuovere, possono quantomeno compensare la situazione di svantaggio, facendo salvi titolarità e, dunque, esercizio dei diritti suddetti45. Ai fini di corroborare una siffatta conclusione, è necessario e sufficiente il richiamo ai principi fondamentali quali: la non discriminazione sulla base delle condizioni personali; l’effettività della tutela di situazioni giuridiche rilevanti, specie se inviolabili; il rispetto dell’identità personale, della dignità e della salute dell’individuo46.
Soluzioni più “restrittive” in tema di autodeterminazione dell’incapace si espongono,
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Cfr. LIPARI, Nicolò. Le categorie del diritto civile, p. 41.
44
Le citazioni sono tratte da LIPARI, Nicolò. Le categorie del diritto civile, p. 57 e 56.
45
V., a livello internazionale, la Convenzione O.N.U. di New York sui diritti delle persone con disabilità, artt. 1 e 12 c. 4.
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Per un’analisi più approfondita, si rinvia a COLACINO, Giuseppe. Il disegno di legge sul c.d. testamento biologico: riflessioni critiche a margine di una iniziativa legislativa, in Nuove leggi civ., Padova, n. 5, 2012, p. 1074 ss.; in giurisprudenza, v. Cass. civ. 16.10.2007, n. 21748.
invece, a fondate obiezioni, in quanto affermano a-sistematicamente la prevalenza di un astratto dovere di solidarietà nei confronti dell’incapace, ovvero l’uniformazione dell’intervento medico, in tali situazioni, al principio di beneficialità; né pare corretto far leva sulla natura personalissima dell’atto di consenso al trattamento sanitario per escludere qualsiasi meccanismo di rappresentanza vicaria, poiché ne conseguirebbe un vero e proprio “corto circuito giuridico”47, paralizzante l’esercizio di uno dei diritti fondamentali dell’uomo48.
A fronte delle sentite esigenze di tutela del soggetto incapace e quindi debole, è opportuno, piuttosto, ricorrere ai tradizionali istituti di protezione degli incapaci, che contemplano figure di rappresentanza, con compiti ulteriori di cura della persona, ben idonee ad esprimere il consenso al trattamento sanitario in vece dell’incapace49. Rimane ferma, d’altra parte, la necessità di adattare istituti nati e strutturati principalmente per la gestione vicaria della sfera patrimoniale del beneficiario, dunque per natura carenti in ordine alla sostituzione del soggetto nel compimento di atti di natura personalissima e di portata esistenziale come quello in esame.
Ne consegue che, in attesa dell’elaborazione legislativa di una figura ad hoc, la soluzione perorata dalla prevalente dottrina e giurisprudenza è stata quella di individuare modalità, criteri e limiti all’esercizio del potere del legale rappresentante, tra cui principalmente una maggiore procedimentalizzazione della decisioni di cura di natura “straordinaria”.
Si è dunque sottolineato come i compiti inerenti alla cura della persona che spettano al tutore ed amministratore di sostegno non si concretizzino in un potere di rappresentanza in senso tecnico dell’incapace50, nel senso di sostituirsi alla decisione di questi riguardo trattamenti sanitari, pur agendo, come di norma, nel suo interesse; piuttosto, secondo la nota formula utilizzata in proposito dalla Suprema Corte, il criterio a cui il legale rappresentante deve ispirare il proprio
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Cfr. FERRANDO, Gilda. Voce Testamento biologico, p.1008.
48
In giurisprudenza v. Trib. civ. Lecco 20.12.2005, n. 1094, Cass. civ. 20.4.2005, n. 8291; in dottrina GAZZONI, Francesco. Sancho Panza in Cassazione (come si riscrive la norma sull’eutanasia, in spregio alla divisione dei poteri), nota di commento a Cass. civ. 21748/2007, in Dir. fam., Milano, n. I, 2008, p. 111.
49
Il potere di cura della persona minore o dell’interdetto da parte del tutore è sancito nell’art. 357 c.c., anche in coordinato con l’art. 424 c.c.; gli atti di straordinaria amministrazione soggetti ad autorizzazione dell’autorità giudiziaria sono indicati dagli artt. 374 ss. c.c., secondo un principio che la giurisprudenza ha esteso anche alla decisioni personali-esistenziali più gravi (v. Cass. civ. 16.10.2007, n. 21748). Per l’amministratore di sostegno i poteri di cura della persona del beneficiario si ricavano dagli artt. 405, 408 e 410 c.c. le cui modalità di esercizio sono individuate nel decreto di nomina. Per i genitori, l’ordinamento assegna loro, in generale, i compiti relativi alla cura del figlio, per una riprova v. art. 337 ter c. 3 c.c. (v. anche GIARDINA, Francesca. Potestà dei genitori, in Riv. dir. civ., Padova, n. II, 1988, p. 648). V. anche artt. 4 e 5 d. lgs. 211/2003 sulla sperimentazione clinica, artt. 12 e 13 l. 194/1978; art. 6 c. 2 e 3 Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina.
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ufficio è quello del best interest del rappresentato, non potendo, tuttavia, decidere “al posto” o “per” l’incapace ma, esclusivamente, “con” esso, a ciò : “ricostruendo la [sua] presunta volontà […], tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche”51.
La soluzione fatta propria dalla Corte si allontana, quindi, dai due modelli decisionali alternativi, sviluppati dal diritto inglese e statunitense, del best interest of patient52 e del substituted judgement53: l’uno, quello del best interest, legato all’idea che l’individuazione del bene del paziente spetti, in definitiva, all’expertise medica; l’altro, quello del substituted judgement, che permette un “giudizio sostitutivo” in quanto l’interrelazione tra person ed autonomy verrebbe meno per il soggetto non più in grado di esprimersi con raziocinio54. Per contro, nella declinazione interna al nostro ordinamento, la nozione di best interest viene ritagliata sulla persona dello specifico paziente, in ragione della sua complessiva personalità e valori di riferimento; ed il criterio della volontà presunta è affiancato, nei casi in cui risulti più dubbia la ricostruzione dell’ipotetica volontà, dal criterio alternativo in veste sussidiaria55. Si può quindi parlare non tanto di un criterio composito56 ma di un vero e proprio superamento, sia nei presupposti che negli effetti, dei tradizionali modelli di sostituzione decisionale della volontà dell’incapace.
Sotto altro profilo, si è ritenuto altresì opportuno sottoporre al vaglio del giudice tutelare le
51
Così Cass. civ. 16.10.2007, n. 21748.
52
Fa applicazione di tale criterio la House of Lords, Airedale NHS Trust v. Bland [1993] 1 All ER 821 HL; nella legislazione straniera, si veda ad es. il Mental Capacity Act inglese del 2005 che prevede la figura dei Court appointed deputies, autorizzati a prendere decisioni sanitarie per l’incapace secondo il suo best interest, la cui individuazione, tuttavia, passa anche attraverso parametri “soggettivi”.
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Fa applicazione di tale criterio la Suprema Corte del New Jersey, In re Quinlan, 70 N.J. 10, 355 A.2d 647 (1976) che argomenta in base al right of privacy del paziente incapace; Suprema Corte degli Stati Uniti, Cruzan v. Director, Missouri Department of Health. Foro it., n. IV, 1991, p. 66 ss. che argomenta diversamente sulla base del right of bodily integrity del paziente incapace; nella legislazione straniera, si veda ad es. la legge tedesca del 29.7.2009 di riforma del § 1901 BGB che prevede che, in assenza di disposizioni anticipate, il Betreuer possa decidere al posto dell’interessato, tenuto conto della “volontà presunta” per come desumibile da elementi concreti.
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Sul concetto di autonomy nordamericano contrapposto al concetto di dignità dei sistemi costituzionali europei, v. BUSNELLI, Francesco Donato-PALMERINI, Erica. Voce “Bioetica e diritto privato”, p. 144 ove si cita ENGELHARDT, H. Tristram. The Foundations of Bioethics. 2 ed. New York: Oxford University press, 1996, p. 135 “fetuses, infants, the profoundly mentally retarded, and the hopelessy comatose provide exemples of human nonpersons”.
55
Cfr. PICCINNI, Mariassunta. Il problema della sostituzione nelle decisioni di fine vita, in Nuova giur. civ. comm., Padova, n. 3, Marzo 2013, p. 217 ss..
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decisioni di cura di carattere straordinario, tra cui in particolare quelle inerenti al fine vita, parallelamente a quanto previsto dal legislatore per gli atti patrimoniali più significativi (v. artt. 374 ss. c.c.); tale potere autorizzativo del giudice è ovviamente finalizzato a verificare l’effettiva corrispondenza della scelta terapeutica all’orizzonte personale dell’incapace.
In merito specifico, infine, al fine vita, a parere della S.C. la funzionalizzazione del potere di rappresentanza alla tutela della vita del rappresentato, consentirebbe l’interruzione di cure salva vita solo in ipotesi estreme, quando cioè sussista una condizione di (perdurante) stato vegetativo la quale sia, in base ad rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile57. Il giudice di merito58, dal canto proprio, ha avuto modo di interpretare estensivamente la massima, ammettendo la possibilità di interruzione dei trattamenti per i casi di stati terminali di malattie mortali con correlata perdita di coscienza; del resto, i giudici si muovono su un terreno franoso, in cui la distinzione tra fattispecie contigue è arduo compito per la stessa scienza medica, che mostra sostanziali incertezze in ordine ai profili di diagnosi e prognosi di stati di P.V.S. e di altre situazioni cliniche similari59.
4.2 Il testamento di sostegno e le direttive anticipate di cura
A fronte della perdurante mancanza di un intervento legislativo che dissipi ogni dubbio su validità ed efficacia delle direttive anticipate di trattamento, in concreto si sono già sperimentati strumenti volti a disporre anticipatamente in ordine alle cure da riceversi (o non riceversi) che si concretano nella prassi della designazione di un sostituto, incaricato di esprimere assenso o dissenso ad esse, in caso di eventuale impossibilità per l’interessato.
Parte della dottrina60 e della giurisprudenza si è fatta dunque carico di accogliere tali esigenze e di orientarne le modalità di soddisfacimento, a ciò richiamando il preesistente istituto dell’amministratore di sostegno, come suppletivo di una normativa ad hoc.
L’orientamento in parola fa leva infatti sul disposto dell’art. 408 c. 1 c.c. che prevede,
57
Così Cass. civ. 16.10.2007, n. 21748.
58
V. ad es. Trib. Reggio Emilia, 24.7.2012.
59
V. PIPERNO, Roberto. Lo stato vegetativo. In: CARUSI, Donato (cur.). Davanti allo specchio (Atti del Convegno di Genova 23.5.2012), Torino: Giappichelli, 2013, p. 41 ss..
60
Si veda, ad es., PICCINNI, Mariassunta. Relazione terapeutica e consenso dell’adulto incapace: dalla sostituzione al sostegno. In: Rodotà e Zatti (cur.). Trattato di biodiritto Milano: Giuffré, 2011, p. 405.
appunto, la possibilità dell’interessato di designare, con atto pubblico o scrittura privata, un amministratore di sostegno, in previsione di una propria futura eventuale incapacità.
Orbene, si è ritenuto, con una forzatura della lettera della norma, che essa consenta all’interessato di ottenere, in sede giurisdizionale, la nomina preventiva del proprio amministratore per il futuro ed eventuale stato di incapacità e che, con l’atto di designazione, l’interessato possa altresì esprimere i propri orientamenti in ordine alle cure da ricevere.
Appaiono ben evidenti le esigenze che siffatta lettura dell’art. 408 c.c. vuole soddisfare: se è vero che la designazione diretta costituisce modalità privilegiata di individuazione dell’a.d.s., poiché favorisce l’instaurazione di una relazione fiduciaria dunque l’effettiva rispondenza delle scelte del rappresentante alla personalità del beneficiario61, con la nomina preventiva si vuole in particolare prevenire un’invalidazione dell’effettività della designazione diretta ex art. 408 c.c. rispetto al caso concreto, che conseguirebbe alla necessaria tempistica giudiziale spesso incompatibile con l’esigenza di celerità delle decisioni terapeutiche d’urgenza62.
L’orientamento interpretativo descritto è stato tuttavia ridimensionato ad opera di un intervento della S.C.63: essa, fatta ovviamente salva la designazione prevista ex lege, e ammettendo in seno ad essa la manifestazione degli orientamenti dell’interessato relativamente agli interventi di natura patrimoniale e personale che si rendessero necessari, quale parte integrante dell’atto di designazione stesso e vincolanti per l’amministratore di sostegno se, rispetto alle volontà di cura, ancora attuali e sufficientemente univoci e specifici, ha tuttavia specificato come la nomina giudiziale dell’a.d.s. sia ammessa solo subordinatamente alla sopravvenienza effettiva dello stato di incapacità, da cui la promozione, appunto, del giudizio di nomina, necessariamente vincolato dal precedente atto di designazione, già comunque valido nel momento genetico.
Si ritiene tuttavia che l’orientamento favorevole al c.d. “testamento di sostegno” abbia il pregio di potenziare l’autonomia individuale riguardo alle scelte esistenziali della persona, unitamente ad altri strumenti, come il rappresentante ad acta, già vagliati dalla S.C.64; in tal senso
61
V. FERRANDO, Gilda. Voce Testamento biologico, p. 1010.
62
V. Trib. Firenze, decr. 22.12.2010; per una più approfondita analisi, v. ad es. SCALERA, Antonio. Direttive anticipate di trattamento e disabilità, in Fam. dir., n. 4, 2013, p. 417 ss..
63
Cass. civ. 20.12.2012, n. 23707.
64
si sottolinea come la procedimentalizzazione richiesta per la nomina di un a.d.s. non possa costituire l’unica modalità di attuazione di direttive anticipate di cura, pena l’indebita compressione di detta autonomia individuale65.
Di contro, la citata sentenza del 2012, pur avallando l’impianto di tale peculiare istituto, sembra depotenziarlo notevolmente dalla valenza attribuitagli dall’elaborazione dottrinale, la quale si esplicherebbe proprio nella possibilità di una nomina anticipata del designato.
In conclusione permangono dunque talune perplessità, in specie riguardo la volontà (o necessità) più o meno latente di ancorare le direttive anticipate ad una disciplina ad hoc, come se a queste, al di fuori di un specifico riconoscimento legislativo o, nel caso, a fronte di una procedimentalizzazione giurisdizionale, non potesse essere riconosciuta validità ed efficacia e dunque vincolatività rispetto ai desiderata del disponente.
A tal proposito, si può ben ammettere che le direttive anticipate costituiscano un’estrema estensione del diritto di autodeterminazione terapeutica della persona, ciò nondimeno non potendosi giustificare in alcun modo la loro collocazione in un’area “costituzionalmente neutra”, relegandole ad un dibattito de iure condendo e sul presupposto che il loro riconoscimento “si configuri come scelta discrezionale del legislatore”66. Ciò perché appare indubbio, a fortiori alla luce di quanto detto sopra, che le d.a.t. costituiscano un mezzo di manifestazione dell’autonomia privata, quindi veri e proprio negozi giuridici unilaterali, dunque oggetto di esercizio di diritti fondamentali della persona, i quali non ammettono discriminazioni di sorta tra soggetti capaci ed incapaci e il cui riconoscimento appare in definitiva costituzionalmente necessario.
Giova, da ultimo, un breve cenno alla diversa ma collegata questione degli aspetti di attualità e determinatezza che dovrebbero caratterizzare la volontà espressa in via preventiva dal disponente; si ritiene, in proposito, che la realizzazione di detti attributi possa essere garantita semplicemente e agevolmente, secondo la felice espressione coniata sul punto, dall’esclusione di una “meccanica applicazione” delle direttive da parte del medico, che nondimeno rimane, sempre e comunque, titolare di un dovere di sostanziale attuazione della volontà così espressa dal paziente.
65
V. FERRANDO, Gilda. Voce Testamento biologico, p. 1013.
66
Così, ad es., TASSINARI, Davide. Note a margine dei recenti disegni di legge relativi al “testamento biologico”, in Canestrini ed altri (cur.). Medicina e diritto penale, Pisa: Plus, 2009, p. 414.
RAPIDITÁ
Matteo Falcone Giovanni Berti de Marinis1
1. Leggendo le pagine “incompiute”2 con cui Italo Calvino proponeva la rapidità come valore letterario del terzo millennio, si percepisce subito come la sua declinazione della rapidità non sia riferibile tanto alla velocità del narrare, quanto alla capacità di sintetizzare una storia o un pensiero, alla semplicità verbale o, ancor meno, alla superficialità (intesa nel senso più neutro possibile, cioè come scelta di “non approfondire”) dell'analisi letteraria o intellettuale in generale. Quello di rapidità è un concetto meno immediato di quanto possa sembrare, infatti, la sua interpretazione è capace di trascendere l'ambito letterario e arriva non solo all'ambito prettamente giuridico - come queste pagine e i contributi che seguiranno dimostrano, ma anche a porre le basi anche per la più ampia discussione sul suo ruolo e valore nelle società contemporanee. Una interpretazione, questa, che, nonostante resti sempre su un piano strettamente estetico-letterario, può essere facilmente spostata su uno culturale più generale, “civico”3, e rispecchia perfettamente il modo in cui Italo Calvino ha compiuto il suo percorso letterario e intellettuale.
Nelle pagine delle Lezioni americane ad essa dedicate, l'autore cala la rapidità innanzitutto sul piano stilistico. Prendendo ad esempio lo stile di alcuni appunti inediti dello scrittore romantico francese Barbey D'Aurevilly, che raccontavano una leggenda su Carlo Magno e, in generale, facendo riferimento allo stile dei folktales e dei fairytales, Calvino sottolinea come la rapidità nella
1
Il presente scritto è frutto di una riflessione comune svolta dai due autori. Vanno però attribuiti a Matteo Falcone i §§ 1 e 2; mentre a Giovanni Berti de Marinis i §§ 3 e 4.
2
È importante ricordare che Lezioni americane di Italo Calvino è un'opera incompiuta e pubblicata postuma dalla moglie dell'autore nel 1988, anche se qui con il termine “incompiute” ci riferiamo alla impossibilità dell'autore di utilizzare il famoso labor limae che caratterizzava la preparazione della sua produzione letteraria.
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Della concezione “civile” della letteratura di Calvino ne parla ASOR ROSA, Alberto. Stile Calvino. Torino: Giulio Einaudi Editore, 2001, p. XII. L'autore, infatti, afferma che «“Civile” è stata soprattutto la sua concezione di letteratura: intesa esattamente – in quanto ricerca, progetto, costruzione – come operazione di civiltà, rivolta a saldare sul piano morale le scelte individuali con le grandi scelte collettive e storiche».
letteratura deve essere interpretata innanzitutto come «economia espressiva»4, come ritmo stilistico che garantisca una continua successione degli eventi. «Economia espressiva» non significa sintetizzare concetti o utilizzare parole semplici, così come un ritmo stilistico che garantisca una continua successione degli eventi non significa raccontare velocemente qualcosa, ma si intendono come la capacità di capire ed assecondare il respiro della storia che si sta narrando e successivamente di distribuire in maniera differenziata all'interno del racconto la “dose” essenziale di parole, concetti, espressioni e di mantenere un ritmo anch'esso essenziale, cioè utile a garantire la costanza della narrazione degli eventi senza appiattire la qualità del racconto. Nella rapidità calviniana, dunque, tutto ruota attorno al concetto di essenzialità, intesa come economicità e funzionalità espressiva al contempo.
L'essenzialità del racconto, secondo Calvino, è la capacità di fare convivere la concisione con il massimo dell'efficacia narrativa e della suggestione poetica che non sarà da intendere, però, solo come il risultato dell'equilibrio tra concisione e suggestione estetica, tra sinteticità e efficacia narrativa, bensì come metro di misura per distribuire in maniera differenziata e ponderata gli elementi narrativi all'interno del racconto stesso, «perché più tempo risparmiamo, [lì dove non è “essenziale” all'economia del racconto] più tempo potremo perdere [dove è “essenziale” farlo]»5, scrive Calvino. L'essenzialità del racconto è, quindi, la giusta quantità e qualità degli elementi del racconto e dalla loro giusta combinazione, cioè essenzialità nel racconto.