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L’INQUADRAMENTO STRUTTURALE DEL “FATTORE CULTURALE”

IL FATTORE CULTURALE-RELIGIOSO E IL DIRITTO PENALE: ALCUNE OSSERVAZIONI

4. L’INQUADRAMENTO STRUTTURALE DEL “FATTORE CULTURALE”

La valutazione giurisprudenziale delle condotte criminose tenute da stranieri nella convinzione della liceità o doverosità delle proprie azioni, come già affermato, si è risolta tendenzialmente nel senso di escludere la possibilità di ritenere operante l’istituto dell’ignoranza inevitabile della legge penale, ex art. 5 c.p., (anche se alcuni fatti culturalmente orientati potrebbero essere scusati in quanto rientranti nella rara casistica dei reati commessi per incolpevole "carenza di socializzazione").

Più spesso l'autore del reato è perfettamente consapevole della illiceità della propria condotta, oppure, pur ignorandone la criminosità per una "carenza di socializzazione", questa ignoranza e questa insufficiente socializzazione gli sono rimproverabili, avendo avuto, egli, tempo e mezzi per informarsi sulla legge del paese ospitante.

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D’IPPOLITO, Ernesto. Kulturnormen ed inevitabilità dell’errore sul divieto. cit., p. 3713; DE MAGLIE, Cristina. Società multiculturali e diritto penale. cit., p. 215 ss.; BASILE, Fabio. Immigrazione e reati culturalmente motivati. cit., p. 55.

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BERNARDI, Alessandro. L’ondivaga rilevanza penale del “fattore culturale”. in Pol. dir., 2007, p. 5 ss.; BERNARDI, Alessandro. Modelli penali e società multiculturale. cit., p. 88 ss.

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D’IPPOLITO, Ernesto. Kulturnormen ed inevitabilità dell’errore sul divieto, cit., p. 3714; BERNARDI, Alessandro. L’ondivaga rilevanza penale del “fattore culturale”. cit., p. 6 ss.; BERNARDI, Alessandro. Modelli penali e società multiculturale. cit., p. 88 ss.; v. anche MASARONE, Valentina, L’incidenza del fattore culturale sul sistema penale. cit., p. 1240.

Tra gli strumenti utili a valorizzare il "movente culturale", si è fatto riferimento alle cause di giustificazione, in particolare al consenso dell'avente diritto e all'esercizio di un diritto16.

In particolare, la causa di giustificazione che viene più frequentemente richiamata, con riferimento ai reati culturalmente orientati, è il consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.) che opera sulla base del criterio per cui, se il soggetto titolare del diritto sacrificato acconsente, liberamente e validamente, alla sua lesione, l’ordinamento non considera illecito il fatto di chi vi arrechi offesa17.

Vero è che, in tal caso, potrebbero sussistere seri dubbi circa la libertà di un consenso prestato per avere l'approvazione del gruppo etnico di appartenenza o per rispettare le regole imposte dalla propria tradizione, posto che la volontà non è mai completamente e autenticamente libera da ogni influenza della società e del contesto in cui si vive. Ne deriva che, le scelte influenzate dal gruppo di origine dovranno considerarsi libere nei limiti in cui questa influenza non sia sfociata in una vera e propria coazione psichica, per effetto, ad esempio, di minacce o pressioni psicologiche di varia intensità (l'oggetto del consenso, ad ogni modo, potrebbe riguardare semmai solo la lesione di diritti disponibili e il diritto all'integrità fisica è disponibile purché non si cagioni una diminuzione permanente all'integrità fisica e l'atto non sia in contrasto con la legge, l’ordine pubblico o il buon costume)18.

L’altra causa di giustificazione che può assumere rilevanza nella spiegazione del fattore culturale è l’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.), espressione, peraltro, della tutela costituzionale di libertà fondamentali come la libertà religiosa (art. 19 Cost.) e la libertà di pensiero (art. 21 Cost.). Neppure il diritto ad esprimere la propria cultura, però, può essere difeso in maniera illimitata, ma dovrà necessariamente soccombere quando si trovi in contrasto con le c.d. "immunità fondamentali". Pertanto, non potranno certo essere scriminati le violenze e i maltrattamenti che possano essere ricondotti alla concezione della famiglia e dei rapporti coniugali presenti in una

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PIQUE’, Flavia. La subcultura del marito non elide l’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti né esclude l’imputabilità del reo. cit., p. 2966-2968 e giurisprudenza ivi citata; DE MAGLIE, Cristina. I reati culturalmente motivati. cit., p. 25 ss.

17

MASARONE, Valentina. L’incidenza del fattore culturale sul sistema penale. cit., p. 1240; FORNASARI, Gabriele. Le categorie dogmatiche del diritto penale davanti alla sfida del multiculturalismo. in HASSEMER, Winfried, KEMPF, Eberhard, MOCCIA, Sergio (a cura di). In dubio pro libertate. Festschrift für Klaus Volk zum 65 Geburtstag. Monaco: Verlang C.II. Beck, 2009, p. 182; GRANDI, Ciro. Diritto penale e società multiculturali. cit., p. 256-257.

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PIQUE’, Flavia. La subcultura del marito non elide l’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti né esclude l’imputabilità del reo. cit., nota 20.

determinata cultura19 20.

Si è inoltre esclusa la possibilità di ricondurre la motivazione culturale alla infermità mentale o alla semi infermità mentale, in quanto, la diversità culturale che si rispecchia nel pensiero e nell'agire non può in alcun modo accostarsi a quella diversità che integra una anormalità patologica. Nel sistema statunitense, invece, che si è da sempre dovuto confrontare con il problema della coesistenza di culture estremamente diverse fra loro, si è fatto uso della defense della infermità mentale21 (per poter riuscire a trovare una sorta di “compromesso” fra la obbligatorietà del diritto statale ed il rispetto delle numerose culture con cui questo si relaziona, le Corti Statunitensi da tempo riconoscono e applicano una c.d. "cultural defense", che opera come causa di esclusione o diminuzione della responsabilità penale quando un soggetto non possa motivarsi in modo conforme al precetto penale a causa del proprio orientamento religioso, della propria condizione sociale o del proprio background culturale) 22.

Tuttavia, tenendo conto del fondamento politico-criminale della responsabilità personale e degli inevitabili riflessi che il conflitto di coscienza (originato dal dovere di obbedire ad un ordinamento etico o religioso i cui precetti siano in contrasto con quelli dell’ordinamento giuridico) produce sul processo motivazionale dell’agente e, dunque, sul suo bisogno di pena – da intendersi come esigenza di laica rieducazione – apparirebbe del tutto coerente il ricorso alla categoria della inesigibilità del comportamento alternativo lecito23.

Da ultimo, se si riconosce il fatto che la consapevolezza dell'offesa è necessaria ai fini della sussistenza del dolo e che tale consapevolezza deve avere ad oggetto soltanto la lesione di un interesse tutelato e non la conoscenza della tutela ad esso accordata dall'ordinamento, risulta

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PIQUE’, Flavia. La subcultura del marito non elide l’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti né esclude l’imputabilità del reo. cit., nota 21. L’A. sottolinea anche come in alcuni casi peculiari, i giudici abbiano inquadrato correttamente il problema sul piano della tipicità, risultando il fatto storico, proprio in quanto culturalmente motivato, non corrispondente alla fattispecie legislativa. Su quest’ultimo punto v. anche PROVERA, Alessandro. Il “giustificato motivo”: la fede religiosa come limite intrinseco alla tipicità. in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 964 ss.

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Si noti anche che, di recente, (aprile 2015) la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14960/2015, respingendo il ricorso di un uomo di origine marocchina, ha stabilito di non riconoscere alcuna scriminante all'extracomunitario che maltratti (fino alla violenza sessuale) la moglie, e neghi le risorse per il sostentamento dei figli, invocando l'esimente putativa dell'esercizio di un diritto, in quanto tali condotte sarebbero ammesse nel proprio paese improntato ad una diversa cultura.

21

PIQUE’, Flavia. La subcultura del marito non elide l’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti né esclude l’imputabilità del reo. cit., e giurisprudenza ivi citata, p. 2967-2969.

22

PAVESI, Francesca. Sull’esimente culturale dei reati contro la persona. nota a Cass., 26 novembre 2008, n. 46300, in Giur.it., 2010, p. 417 ss.

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evidente che colui che percuote la moglie e i figli ritenendo di comportarsi correttamente agisce con dolo. In tal caso l'agente, straniero o italiano appartenente a subculture, si è rappresentato chiaramente di offendere il bene protetto, cioè di ledere l'integrità fisica dei suoi familiari, e a nulla rileva la sua convinzione che tale interesse non meriti tutela di fronte al suo potere di capo famiglia24.

Al termine di questa breve esposizione in merito alla collocazione dommatico-strutturale del fattore culturale, appare evidente come la soluzione dei conflitti multiculturali – ovunque la si collochi, a livello sistematico, nella struttura del reato – comporti sempre e necessariamente un rilevante contributo discrezionale del giudice25, soprattutto nella fase a lui “fisiologicamente” riservata che è quella della commisurazione della pena in cui si esplica il suo potere discrezionale, ex artt. 132 e 133 c.p. Se, infatti, agli indici di valutazione della gravità del reato, di cui al comma 1 dell’art. 133 c.p., andranno ricollegate le esigenze di proporzionalità come fondamento e limite della pretesa punitiva, nella capacità a delinquere, specificata nel comma 2 dell’art. 133 c.p. come ulteriore parametro di commisurazione della pena, si dovranno valorizzare gli scopi positivi della funzione rieducativa della pena come integrazione sociale.

Dimodoché, i motivi a delinquere, il carattere, la condotta e la vita ante atta del reo, la condotta antecedente, contemporanea e susseguente al reato – e ancora – le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo, nel caso in cui questi sia persona culturalmente condizionata, che abbia agito sotto l’influenza di un conflitto di doveri, potranno deporre in favore di un minor bisogno di rieducazione dello stesso, cioè, in termini di una riduzione della pena da infliggergli in concreto al di sotto del massimo individuato in base alla proporzione con il disvalore complessivo del fatto commesso26.

24

GALLO, Marcello. Appunti di diritto penale. Vol. II. Torino: Giappichelli, 2001, p. 98-105; PIQUE’, Flavia. La subcultura del marito non elide l’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti né esclude l’imputabilità del reo. cit., p. 2967-2970 e nota 34, secondo cui è comunque opportuno evidenziare che assai di rado la valorizzazione della motivazione culturale da parte dei giudici italiani ha portato alla assoluzione dell'imputato e in nessun caso per mancanza della consapevolezza della lesività del fatto; perciò, nella stragrande maggioranza dei casi, la giurisprudenza ha tenuto conto del movente culturale esclusivamente ai fini della determinazione della pena complessiva e, in alcune limitate ipotesi, ai fini della applicazione di una attenuante. Ci si riferisce, in particolare, all’attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale di cui all’art. 62, n. 1, c.p., anche se, come giustamente sottolineato dall’A., i motivi dell’agire si possono considerare di particolare valore morale e sociale solo quando ricevano l’approvazione incondizionata della società, tali non saranno dunque quelli che sono strettamente connessi ad una cultura, ad una religione o ad una tradizione non compresa o accettata dal gruppo di maggioranza.

25

MASARONE, Valentina. L’incidenza del fattore culturale sul sistema penale. cit., p. 1241 ss.

26

MASARONE, Valentina. L’incidenza del fattore culturale sul sistema penale, cit., 1244. Per approfondimenti al riguardo v. anche BERNARDI, Alessandro. Il “fattore culturale” nel sistema penale. cit., p. 121 ss.