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IL CONCETTO DI LIBERALIZZAZIONE

Nel documento PROPOSTE PER UN DIRITTO DEL TERZO MILLENNIO (pagine 151-156)

RAPIDITÀ E LIBERALIZZAZIONI

2. IL CONCETTO DI LIBERALIZZAZIONE

Nell’epoca moderna spesso si assiste ad un uso confuso delle formule linguistiche liberalizzazione, semplificazione, delegificazione e privatizzazione; tuttavia, benché sia possibile che tali concetti in parte possano coincidere, occorre precisare che in realtà nascondono contenuti variegati e non sempre uniformi. Inoltre, nel contesto storico ed economico attuale, non si può non tenere in considerazione l’elemento della crisi economica, che induce gli Stati nazionali a mutare le politiche protezionistiche in favore di tendenze a liberalizzare.

Al fine di comprendere, pertanto, cosa si intenda per liberalizzazione, occorre muovere le prime osservazioni dalla nozione di semplificazione, in quanto, come si vedrà in seguito, è da quest’ultimo aspetto che sono state elaborate le prime distinzioni.

Rappresenta opinione diffusa che l’esigenza di semplificazione investa tanto il settore normativo, spesso connotato da un insieme di norme aventi differente origine storica e politica, quanto l’azione amministrativa che si manifesta anche attraverso l’imposizione di determinati adempimenti al cittadino che intende rapportarsi con la pubblica amministrazione.

L’ambito in cui la semplificazione opera è quindi particolarmente ampio; più nello specifico nella semplificazione amministrativa può distinguersi la semplificazione del profilo organizzatorio e

la semplificazione procedimentale. È bene, tuttavia, non confondere la semplificazione con il divieto di aggravare il procedimento; nonostante comporti un alleggerimento del procedimento dal punto di vista del privato, esso non corrisponde a una riduzione dell’attività amministrativa, la quale può, in linea di principio, dover condurre una istruttoria più articolata proprio alla luce del minor onere richiesto al privato.

Qualora l’azione di semplificazione sia rivolta a ridurre il numero delle fonti di rango legislativo, sarà opportuno parlare di delegificazione. Occorre tuttavia chiarire che tale tipo di semplificazione non comporta necessariamente una semplificazione del procedimento, infatti ciò dipende dalle modalità di formulazione della norma. In tal senso, a titolo esemplificativo, occorre ricordare che la legge 127 del 1997, rivolta allo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo, all’art. 17 si compone di 138 commi attinenti ad aspetti difformi tra loro, sicché è possibile comprendere che, anche qualora le fonti normative che regolano l’attività amministrativa siano ridotte, la finalità di semplificazione si ottiene mediante la chiarezza e non contraddittorietà delle norme piuttosto che con la mera riduzione del numero di fonti legislative.

A complicare tale aspetto, si aggiunge la costante prassi utilizzata dal legislatore di utilizzare i medesimi termini con riferimento a situazioni eterogenee. La frammentazione della disciplina legislativa costituisce, quindi, un ostacolo da superare per un più razionale contesto normativo fruibile agevolmente anche dal singolo cittadino.

Ben distinta dalla delegificazione è invece il concetto di privatizzazione, il quale attiene alla riduzione dell’ambito soggettivo della pubblica amministrazione. Il legislatore infatti nel riordinare gli enti pubblici semplifica e favorisce l’ingresso di privati nella gestione dei servizi pubblici.

Occorre, dunque, chiarire in modo puntuale cosa si intenda per semplificazione.

Nonostante sia stato osservato che con il termine semplificazione si possano ricomprendere le ipotesi in cui viene eliminato il potere amministrativo, che si esprime spesso mediante l’adozione del provvedimento amministrativo, è stato autorevolmente ritenuto2 che la semplificazione comporti più semplicemente una diversa allocazione o modalità di esercizio del potere. Nella prima ipotesi dovrebbe quindi più ragionevolmente parlarsi di eliminazione

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dell’azione amministrativa.

Seguendo tale impostazione l’ambito di indagine delle semplificazioni può allora ricomprendere sia le disposizioni che prevedono un esercizio preventivo del potere, ossia le ipotesi sottoposte ad un regime autorizzatorio, sia talune scelte di liberalizzazione.

A bene vedere in questa ultima ipotesi il potere amministrativo non è eliminato, ma è spostato nel tempo, infatti il potere autorizzatorio viene sostituito con un potere di controllo successivo. Tale modifica del momento dell’esercizio del potere può risultare quindi un impulso alla semplificazione, permettendo al privato di accedere immediatamente all’utilità a cui aspira, stante il necessario controllo da parte della p.a.

Occorre chiarire, tuttavia, che affinché tale misura sia realmente effettiva serve chiarezza sulle ipotesi in cui sia possibile tale arretramento temporale del potere. L’individuazione dell’insieme delle ipotesi cui le misure dirette a semplificare si riferiscono, spesso vengono rimandate alle fonti regolamentari. Tale tecnica, da non confondere con la delegificazione, attribuisce alla fonte di rango legislativo il compito di individuare i principi cui il Governo dovrà attenersi attraverso l’emanazione di regolamenti. Questi ultimi, infatti, sono spesso annoverati quali strumenti di semplificazione, in quanto prevedono eventuali procedimenti di modifica più flessibili rispetto alla fonte primaria.

Spostando l’attenzione alla legge sul procedimento amministrativo, notiamo come il capo IV è dedicato alla semplificazione dell’attività amministrativa. Giova notare come, in realtà, gli istituti presenti siano eterogenei; infatti è disciplinato, tra gli altri, l’istituto della conferenza dei servizi, gli accordi tra pubbliche amministrazioni, l’autocertificazione, la scia e il silenzio assenso. Il comune denominatore tra istituti creati per finalità differenti è, oltre alla semplificazione del procedura rispetto a quella preesistente, l’esigenza di raggiungere il risultato che la norma sottointende, indipendentemente dai possibili ostacoli che possono rincontrarsi durante il procedimento amministrativo.

La presenza di tali resistenze derivano dalla stessa organizzazione della pubblica amministrazione, la quale spesso risulta inadeguata a rispondere alle esigenze dei cittadini. Per tali ragioni è stato generalizzato l’istituto del silenzio assenso, ribaltando quella che in passato era vista come una ipotesi eccezionale. Nella stessa ottica si collocano le ipotesi in cui la p.a. può procedere anche in assenza del parere di una pubblica amministrazione o ancora le previsioni che

spostano il potere amministrativo in un momento successivo, consentendo il raggiungimento repentino del bene della vita a cui il privato tende.

Il principale elemento da tenere in considerazione nelle politiche di semplificazione è la duplice connotazione o, in altri termini, le “due anime” che caratterizzano l’attività amministrativa, la prima orientata al risultato e la seconda attenta a esigenze di carattere pubblicistico quali la partecipazione e la trasparenza. Ovviamente non si intende negare la necessità degli istituti rivolti a permettere al cittadino di non essere mero spettatore dell’azione amministrativa, ma occorre sottolineare come la difficoltà incontrata dal legislatore si fonda anche sul difficile bilanciamento tra interessi i quali possono trovare punti di scontro.

Il ruolo dell’amministrazione, attraverso l’aumento delle misure di semplificazione, muta; si registra infatti il passaggio da ruolo di mediatore tra gli interessi coinvolti a struttura responsabile di far conseguire il risultato.

Tanto premesso, è necessario rilevare che accanto al tema delle semplificazioni è iniziato ad emergere, benché in maniera molto timida, il dibattito sulle liberalizzazioni.

In origine, il panorama di riferimento era particolarmente limitato, in quanto si poteva trovare riscontro solo in ipotesi circoscritte, quali ad esempio l’art. 19 della L. 241/1990.

Tra i temi su cui si discuteva, ruolo centrale ricopriva il dibattito circa la natura della posizione soggettiva del cittadino che intendesse svolgere una attività liberalizzata e la natura della speculare situazione giuridica dell’amministrazione che ostacolava la prosecuzione dell’attività. In entrambi i casi il confronto si fondava sulla qualificazione di tali situazioni giuridiche come diritto soggettivo.

Un secondo tema oggetto di particolare attenzione da parte della dottrina è stato la qualificazione del termine previsto dall’art. 19 della l. 241/1990 come perentorio o ordinatorio. In altri termini ci si domandava se l’amministrazione, scaduti i termini per poter esercitare i propri poteri di controllo, avesse esaurito o meno il proprio potere.

Ultimo aspetto, il quale ricopre tuttavia particolare rilevanza, riguardava la tutela del terzo. È stato rilevato, infatti, che un sistema che subordini l’accesso ad una determinata attività all’emanazione di un provvedimento amministrativo, consente al privato che si ritiene leso da suddetto provvedimento di poterlo impugnare. Al contrario, qualora manchi un provvedimento

amministrativo, si apre il dibattito circa l’affievolimento della tutela del terzo e i possibili rimedi apprestati dall’ordinamento.

Richiamati gli aspetti più salienti dei vari dibattiti dottrinali, è possibile quindi trarre le due impostazioni ideologiche di fondo: vi era dunque, da un lato, chi riteneva, con riferimento all’art. 19, che le misure di liberalizzazione fossero in realtà un atto di autoamministrazione, riconducendo quindi tale fenomeno nella sfera dell’attività amministrativa, e, dall’altro, chi faceva coincidere la liberalizzazione con la privatizzazione, ossia il superamento del regime amministrativo di una certa attività. Entrambe le radicali impostazioni non possono, tuttavia, essere accettate in quanto si rischia, da una parte, di non ammettere attenuazioni al regime provvedimentale e, dall’altra, di ridurre al mero provvedimento l’attività amministrativa.

La corretta lettura del fenomeno trova, dunque, una soluzione nel punto di incontro tra le due tesi esposte: attraverso le liberalizzazioni si permette la libertà di accesso ad una determinata attività, nel senso che non è più previsto un regime autorizzatorio, ma allo stesso tempo non scompare l’attività amministrativa3. In altri termini l’assenza del provvedimento non travolge i limiti e le condizioni per l’esercizio dell’attività stessa.

Perché si possa parlare di liberalizzazione non basta, tuttavia, che il regime del provvedimento amministrativo abilitativo sia eliminato, con la conseguenza che gli adempimenti siano rimessi esclusivamente al privato, ma è necessario che tale struttura sia estesa ad un numero ampio di ipotesi. In caso contrario, come avvenuto per l’art. 19, circoscrivere tale strumento solo ad alcuni settori, non significa liberalizzare. Ciò che si liberalizza è quindi non un procedimento specifico ma un’attività, quindi l’accesso al mercato. Il fondamento della liberalizzazione è quindi non il raggiungimento di un risultato finale, ma la riforma che l’ordinamento prevede per ottenere un determinato risultato attraverso strumenti maggiormente dinamici.

Il termine liberalizzazione, designa quindi il venir meno di alcune condizioni inerenti il titolo legittimante una determinata attività, il ché non significa eliminare le prescrizioni previste per una determinata attività in quanto, tentando di trasportare sul piano pratico quanto detto, significherebbe ammettere che le autorizzazione edilizie sfuggano al piano regolatore generale.

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Occorre precisare che il residuo potere in capo all’amministrazione, non è solo quello di stabilire i criteri generali o regole sostanziali, ma altresì si manifesta nel compito di controllare l’osservanza delle regole. In tale contesto si è collocata la questione, precedentemente accennata, relativa alla qualificazione come ordinatorio o perentorio del termine entro cui l’amministrazione può intervenire per reprimere l’attività.

Chiarito ciò, è ora possibile desumere con maggiore facilità i rapporti tra liberalizzazione e semplificazione. Si è spesso affermato che l’art. 19 sia una misura di semplificazione, in quanto rappresenta l’eliminazione degli adempimenti il cui costo, in termini di attività amministrativa sia giustificato da altrettanta utilità sociale. La liberalizzazione sembra quindi, superando la necessità di un provvedimento abilitativo, una tipologia di semplificazione. Bisogna tuttavia fare chiarezza su due significati che, nonostante possano in parte coincidere, devono essere tenuti ben distinti.

La semplificazione amministrativa, infatti, ha il fine di rendere più chiare e semplici le relazioni con il cittadino, al contrario della liberalizzazione che mira a garantire un accesso immediato ad una determinata attività. A bene vedere, tuttavia, talune misure di liberalizzazione necessitano di una formulazione semplice e di immediata percezione. In altri termini si afferma che il privato, a fronte di una attività liberalizzata ma oscura, preferisce optare per una procedura che richieda l’emanazione di un provvedimento amministrativo benché più complessa e più costosa sia per la p.a. che per il cittadino stesso. Si nota quindi come la liberalizzazione necessita della semplificazione in quanto, a contrario, si rischia di ottenere il risultato opposto a quello ricercato dalla volontà di liberalizzare.

Nel documento PROPOSTE PER UN DIRITTO DEL TERZO MILLENNIO (pagine 151-156)