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IL DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE TERAPEUTICA: TRA PRINCIPI E REGOLE

Nel documento PROPOSTE PER UN DIRITTO DEL TERZO MILLENNIO (pagine 114-120)

LIGHTNESS, LAW AND NEUROSCIENCES: A NEW TOOL TO PROTECT THE UNRESPONSIVE PATIENT’S SELF-DETERMINATION?

2. IL DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE TERAPEUTICA: TRA PRINCIPI E REGOLE

Si afferma comunemente che la relazione di cura tra medico e paziente si basi sul consenso informato al trattamento sanitario.

La volontarietà delle cure, in particolare, è espressione del c.d. principio di autodeterminazione terapeutica, che garantisce la persona contro l’imposizione coattiva di un trattamento sanitario indesiderato.

D’altronde, il suddetto principio costituisce nient’altro che una particolare declinazione dei generali attributi di cui la persona è portatrice, e la libertà è tra questi. Al contempo, è proprio autodeterminandosi che il soggetto estrinseca, nell’esperienza di vita, il proprio modo di essere, come forgiato dalla propria sensibilità e dal contatto con l’ambiente sociale circostante.

Sul piano giuridico, il principio di autodeterminazione terapeutica trova adeguata considerazione in una serie di univoci indici normativi di origine sia nazionale6 che convenzionale7

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Rintracciabile nel blog http://undirittogentile.wordpress.com.

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Sul piano costituzionale, si richiama correttamente gli artt. 2, 3, 13, 32 c. 1 e 2 Cost.; il legislatore ordinario ha ribadito il principio di consensualità dei trattamenti sanitari in disposizione settoriali, gli artt. 1 e 33 l. 833/1978 istitutiva del servizio sanitario nazionale; l’art. 18 l. 194/1978 in tema di interruzione volontaria di gravidanza; art. 3 lett. d) l. 211/2003 sulle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico; l’art. 6 l. 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita; l’art. 3 c. 2 l. 219/2005 sulle attività trasfusionali e di produzione nazionale di emoderivati; implicitamente, l’art. 1 l. 38/2010 sull’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore.

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V. gli artt. 5 e 8 Convenzione europea dei diritti dell’uomo; l’art. 5 Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e della biomedicina; l’art. 3 c. 2 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

nonché nella stessa deontologia professionale medica8.

Per altro verso, il consenso (o dissenso) alle cure potrebbe essere considerato, almeno in taluni casi, come una forma di “disposizione” degli attributi materiali ed immateriali della persona; tale è una tematica di notevole complessità ma verso cui è opportuno orientare l’analisi, per dare una risposta soddisfacente alle note critiche mosse al riconoscimento di un indiscriminato diritto “di scelta” del paziente.

In proposito, l’art. 5 c.c. vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, ovvero siano vietati dalla legge o contrari all’ordine pubblico o buon costume.

Seppur di portata apparentemente generale, la disposizione esprime una regola parziale, inadeguat9 e asistematica rispetto al bilanciamento di valori espresso nella carta costituzionale10.

Infatti, se la nozione di integrità fisica resta ancorata ad un modello caratterizzato dall’assenza di fisiche menomazioni, le coordinate costituzionali pongono invece all’attenzione il valore fondamentale della salute, quale concetto di natura poliedrica, riferito tanto agli elementi materiali, quanto a quelli psicologici e spirituali della persona. Alla luce di una tale scala valoriale la disposizione del corpo intesa in senso contrattuale e venale, per come traspare dall’art. 5 c.c., assume rilievo marginale rispetto alle ipotesi in cui il soggetto eserciti la libertà di autodeterminarsi, soprattutto riguardo aspetti fondamentali della propria esistenza quale il consenso (o il dissenso) al trattamento sanitario.

Al di là di una possibile lettura restrittiva dell’art. 5 c.c.11, appare dunque chiaro che il criterio di bilanciamento dei valori in gioco, a fronte di atti di disposizione del corpo, non possa essere rintracciato nella disposizione suddetta; giova piuttosto rivolgere l’attenzione al quadro di principi delineato dalla Carta costituzionale.

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V. l’art. 35 c. 2 cod. deont. medico.

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Cfr. ANZANI, Gaetano. Identità personale e “atti di disposizione della persona”, in Nuova giur. civ. comm., Padova, n. 7-8, Luglio-Agosto 2008, p. 207 ss. in part. 209.

10

“l’integrità fisica non è una valore in sé”, “giuridicamente protetta in modo unitario ed indifferenziato” (D’ARRIGO, Cosimo. Voce “Integrità fisica”, in Enc. dir., Milano, vol. IV Agg., 2000, p. 724), ma solo in funzione della realizzazione di quei valori della persona che ad essa si riferiscono (p. 724), quali la salute (art. 32 Cost.) e la libertà (art. 13 Cost.), e quindi anche in termini dispositivi, configurandosi così un diritto di libertà che logicamente ricomprende anche il risvolto negativo dello stesso (ROMBOLI, Roberto. La “relatività” dei valori costituzionali per gli atti di disposizione del proprio corpo, in Pol. dir., Bologna, 1991, p. 569).

11

V. FERRANDO, Gilda. Il principio di gratuità, biotecnologie e “atti di disposizione del corpo”, in Europa e dir. priv., Milano, 2002, p. 761.

Sotto questo profilo, la tutela della salute è specificamente riconducibile all’art. 32 Cost., che la fa oggetto di un fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, vietando trattamenti sanitari obbligatori, ad eccezione di quelli espressamente e tassativamente previsti dalla legge, sempre nel rispetto del valore della persona umana. Il divieto di T.S.O. viene altresì ricondotto al più generale principio di inviolabilità della libertà personale ex art. 13 Cost.12.

Rispetto alla tutela del diritto alla salute, è nota l’evoluzione che si è compiuta nel nostro ordinamento giuridico13: si è trattato di una trasformazione profonda, che ha preso spunto, in particolare, dalla radicale riconsiderazione del bene “salute” per opera di importanti strumenti internazionali14. Nello specifico, abbandonata una concezione meramente oggettiva come stato di assenza di malattia, si è fatta spazio una nozione soggettiva e dinamica di salute, quale completo benessere fisico, mentale e sociale della persona1516.

A ciò è corrisposto il mutamento del paradigma del diritto alla salute che, in forza dell’art. 32 Cost., si è apprestato a divenire una componente essenziale dei diritti fondamentali della persona, da leggersi alla luce dei principi sanciti negli artt. 2 e 3 Cost., ossia in coordinato con la tutela della personalità e della libertà umana.

Nella rinnovata veste personalistica, il diritto alla salute si atteggia dunque – in una prima e basilare accezione – come un diritto assoluto di libertà, a cui si correla un dovere di astensione di altri dal frapporre ostacoli al perseguimento del “benessere” della persona, così soggettivamente connotato. A partire da tale prospettiva, la “libertà di salute” – inscindibilmente connessa all’autodeterminazione terapeutica17 – si esplica mediante atti sia positivi che negativi poiché,

12

C. cost. 22.10.1990, n. 471 ha sottolineato che nel precetto dell’art. 13 Cost. è “postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo”.

13

Si rinvia, tra la sterminata bibliografia, a DURANTE, Vincenzo. Salute e diritti tra fonti giuridiche e fonti deontologiche, in Pol. dir., Bologna, n. 4, Dicembre 2004, p. 563 ss..

14

In primis, il protocollo concernente la costituzione dell’organizzazione mondiale della sanità stipulato a New York il 22.7.1946.

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In questo senso, anche Cass. civ. 16.10.2007, n. 21748.

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Un puntuale riscontro dell’evoluzione del concetto di “salute” si rinviene nella disciplina del danno biologico. Infatti, a partire dalla nota sentenza della C. cost. 14.7.1986, n. 184 che ha ammesso la risarcibilità del danno alla salute in sé, qualificandolo come biologico, tale danno ha assunto, nella giurisprudenza successiva, un significato sempre più omnicomprensivo, non limitato al pregiudizio all’integrità psico-fisica ma esteso agli elementi psichici e relazionali dell’individuo. Tale orientamento è stato suggellato dalla nota Cass. civ. S.U. 11.11.2008, n. 26972 che ha evidenziato l’esistenza di un aspetto dinamico nel danno biologico “nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell’integrità psicofisica”.

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In tal senso C. cost. 23.12.2008, n. 438 ha osservato che “la circostanza che il consenso informato trovi il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello dell’autodeterminazione e quello della salute”.

come efficacemente osservato dal giudice nomofilattico, “come tutti i diritti di libertà, implica la tutela del suo risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo i canoni di dignità umana propri dell’interessato, finanche di lasciarsi morire”18.

Salute e integrità fisica, lungi da dar vita ad una necessaria ed oggettiva compenetrazione, assumono dunque le sembianze di beni rimessi alla valutazione assiologica dell’individuo, che può ben ritenere che il “completo benessere” della persona passi attraverso una lesione dell’integrità fisica stessa19.

Si potrebbe affermare che, in qualche modo, il personalismo costituzionale contagi la nozione di salute: la centralità dell’uomo, quale valore etico in sé, richiede, infatti, di parametrare ogni scelta sanitaria alla specifica identità personale dell’interessato, posto che il “corpo” è strumento di realizzazione dell’identità20, la quale, a sua volta, costituisce il paradigma dell’“appartenenza” degli attributi della persona21 (e, eventualmente, della “non appartenenza” per fattori originari o sopravvenuti).

Tali conclusioni sono avvalorate dalla prospettiva categoriale, all’interno della quale sono state evidenziate due tendenze (apparentemente antinomiche) dell’esperienza giuridica moderna: da un lato, una sorta di “frantumazione” della categoria della soggettività, che “si viene ramificando in una pluralità di situazioni in ciascuna delle quali l’individuazione del soggetto come punto di riferimento di effetti giuridicamente rilevanti discende dalla previa individuazione di situazioni peculiari e specificamente collegate al sesso, alle condizioni sociali e ad una serie di altri

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Cass. civ. 16.10.2007, n. 21748; v. anche C. cost. 16.7.1999, n. 309 che evidenzia che il diritto di salute costituisce il più fondamentale e inviolabile dei diritti, quale diritto sulla propria vita e sul proprio corpo, nella concezione e nella proiezione che ciascuno ha di sé e della propria dignità, anche rifiutando le cure, giacché il diritto alla salute ha un nucleo irriducibile, protetto dalla Costituzione “come ambito inviolabile della dignità umana”.

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Si pensi, ad es., alla mutazione terapeutica di sesso ammessa dalla l. 164/1982 (su cui C. cost. 6.5.1985, n. 161 afferma che “per giurisprudenza costante, gli atti dispositivi del proprio corpo, quando rivolti alla tutela della salute, anche psichica, devono ritenersi leciti”) alla stessa interruzione volontaria di gravidanza ex l. 194/1978. Per un’analisi più generale degli atti di disposizione del corpo, alla luce del principio personalistico e nel quadro dell’identità personale non solo “terapeutica”, si rinvia a ANZANI, Gaetano. Gli “atti di disposizione della persona” nel prisma dell’identità personale (tra regole e principi), in Nuova giur. civ. comm., Padova, n. 1, Gennaio 2009, p. 1 ss.; ma il principio di disponibilità del corpo non è assoluto, v. GEMMA, Claudio. Costituzione ed integrità fisica. In ROMBOLI, Roberto (cur.). Atti di disposizione del corpo. Pisa: Plus, 2007, p. 49 ss..

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Come è stato osservato “ogni identità implica distinzione; di sé dall’altro da sé; ma anche tra più Io che siano isolabili, in prospettiva sincronica, in differenti contesti, così come, in prospettiva diacronica, in differenti fasi dell’esistenza. L’identità personale, inoltre comprende le credenze di ogni genere, […] ma ognuno costituisce la propria identità solo in parte, mentre un’altra sua parte è la risultante della dialettica dell’individuo e la collettività” (ANZANI, Gaetano. Identità personale e “atti di disposizione della persona”, p. 215).

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Per questa tesi, si veda ZATTI, Paolo. Il corpo e la nebulosa dell’appartenenza, in Nuova giur. civ. comm,, Padova, n. 2, 2007, p. 4 ss..

fattori”; dall’altro, “talune imprescindibili qualità del soggetto assumono invece un ruolo di preventiva individuazione di un ambito invalicabile di tutela” poiché “legate al suo modo d’essere nel presente storico, per certi versi alla sua stessa dignità”22.

Il quadro dei principi costituzionali, d’altra parte, non esclude affatto che siano configurabili taluni limiti all’autodeterminazione terapeutica, nonostante che degli effetti delle scelte effettuate risenta, in linea di massima, solo il disponente23; sotto questo profilo, viene in rilievo specifico il principio di rispetto della dignità umana, volto non tanto a bilanciare la discrezionalità di una scelta esistenziale della persona, con finalità “altre” da lei o in nome di valori che la trascendono, ma piuttosto a rafforzare sinergicamente la garanzia della persona stessa24.

Si tratta, dunque, di una dignità in senso oggettivo che, se da un lato, è “nucleo che irradia la caratteristica di inviolabilità dei diritti umani”, dall’altro “opera anche come argine e misura delle libertà” rendendo “impossibile postularne di assolute, prive di limiti nel loro contenuto e nelle loro modalità di esplicazione”25.

La clausola generale di dignità, in particolare, tutela tutto “ciò che vi è di umano nell’uomo”, “la qualità che lega il soggetto alla famiglia umana”; essa richiede “un’interpretazione restrittiva e ben circoscritta”, pertanto può essere invocata solo quando “vien messo in discussione quell’irreductible humain del soggetto che si fonda sull’imperativo del reciproco riconoscimento”. Contro l’equivoco di una dignità disumana, finalizzata alla restaurazione di un ordre moral oppressif dell’esclusione, questa dignità tutela piuttosto “la qualità umana presente nella persona” e ha dunque come propria finalità l’inclusione26.

A tal proposito, giova richiamare la proposta di legge per un “Undirittogentile” quale esempio di un’efficace sintesi tra personalità e dignità; infatti, alla riconosciuta discrezionalità del paziente (anche incapace) circa le cure cui sottoporsi, fa da contraltare la previsione del limite

22

Le citazioni sono tratte da LIPARI, Nicolò. Le categorie del diritto civile, p. 58, 85 e 80.

23

Come accennato, si tratta di conclusione solo tendenzialmente vera, si pensi, ad es., al diritto di autodeterminarsi in ordine alla filiazione attraverso il ricorso alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, la recente C. cost. 9.4.2014, n. 162 ha spiegato che si tratta di scelta in attuazione dello stesso diritto di salute (art. 32 Cost.), nella rinnovata ed ampia accezione di benessere fisico e psichico della persona. Orbene, non vi è chi non veda che tale diritto debba essere bilanciato con gli interessi della persona nata dalla P.M.A. e, a dispetto delle affermazioni della Corte, con il principio di tutela della dignità umana.

24

Cfr. PIEPOLI, Gaetano. Dignità e autonomi privata, in Pol. dir., Bologna, n. 1, Marzo 2003, p. 52 ss..

25

Le citazioni sono tratte da BUSNELLI, Francesco Donato-PALMERINI, Erica. Voce “Bioetica e diritto privato”, in Enc. dir., Milano, vol. V Agg., 2001, p. 144.

26

invalicabile delle misure di assistenza e accudimento della persona indispensabili per la tutela della dignità umana (e non rifiutabili, quindi, mediante direttive anticipate di trattamento, v. artt. 18 e 19)27. È indubbio, dunque, che la clausola di dignità meriti di essere applicata anche alla sfera, seppur personalissima, delle scelte terapeutiche; tale operazione, infatti, ove correttamente intesa, richiede solo di individuare l’estremo limite oltre il quale la scelta sanitaria spoglia l’individuo dal suo carico assiologico, negando l’idea stessa di libertà della persona.

Al di là del nucleo inviolabile della dignità umana vi è solo l’interesse generale che, in forza dell’art. 32 c. 2 Cost., può limitare l’autodeterminazione terapeutica28; rimane tuttavia intatta la libertà di scelta della persona in ordine alle cure, mentre il bilanciamento di valori operato dalla Costituzione facoltizza, in via del tutto sussidiaria, il legislatore – e solo esso29 – a prevedere determinati trattamenti sanitari come obbligatori, quando ciò sia necessario per la tutela dell’interesse generale30 (i.e. la salute collettiva), senza detrimento per la salute del singolo31.

Le variegate opinioni32 volte ad introdurre surrettiziamente il divieto di rifiutare le cure necessarie alla sopravvivenza del disponente, e basate sul bilanciamento con un presunto principio di indisponibilità della vita, con gli inderogabili doveri di solidarietà sociale ex art. 2 Cost. o, ancora, con valori trascendenti come la “sacralità della vita”, sono dunque prive di pregio giuridico. Né è lecito estendere oltremodo l’operatività della clausola di rispetto della dignità umana33.

Rimane fermo, invece, il principio del consenso informato che “ha, come correlato, la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche

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A livello comparatistico, v., ad esempio, il Mental Capacity act (2005) britannico che prevede, allo stesso modo, la non rifiutabilità con il living will dell’attività di cura di base della persona e cioè l’igiene, la nutrizione e l’idratazione non artificiale etc..

28

Gli interessi anche inviolabili, come la libertà personale, possono essere bilanciati con interessi pariordinari a concreto vantaggio di quest’ultimi, quando non ne venga intaccato il contenuto essenziale ed il bilanciamento sia conforme ad un criterio di ragionevolezza (v. BALDASSARRE, Antonio. Voce “Diritti inviolabili”, in Enc. giur. treccani, Roma, vol. XI, 1989; C. Cost. 14.12.1988, n. 1130); in tal modo, a dispetto della libertà personale, si può giungere ad una forzosa tutela di un bene individuale se correlato a beni rilevanti di altri o della collettività. Cfr. C. Cost. 9.4.2014, n. 162 su cui n. 22.

29

In tema di riserva di legge e necessità di autorizzazione giudiziaria per i T.S.O., C. cost. 9.10.1990, n. 471.

30

C. cost. 14.6.1990, n. 307.

31

C. cost. 20.6.1994, n. 258.

32

V. recentemente GORASSINI, Attilio. Appunti sparsi sul testamento biologico, in Rass. dir. civ., Napoli, n.1, 2011, p. 55 ss..

33

Per una rassegna delle varie tesi ed una loro efficace critica, si rinvia, nella dottrina civilistica, a FERRANDO, Gilda. Voce Testamento biologico, in Enc. dir., Milano, annali VII, 2014, p. 144; nella dottrina penalistica, VALLINI, Antonio. Rifiuto di cure “salvavita” e responsabilità del medico: suggestioni e conferme dalla più recente giurisprudenza, in Dir. pen. proc., Milano, n. 1, 2008, p. 59 ss..

eventualmente di rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale”34. In conclusione, nessun limite al diritto di rifiutare cure salva vita, nemmeno ove si tratti di interrompere una terapia in atto, può essere posto a carico di taluno, dovendo il consenso sussistere per tutta la durata del trattamento35.

Nel documento PROPOSTE PER UN DIRITTO DEL TERZO MILLENNIO (pagine 114-120)