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IN PARTICOLARE: LE MOTIVAZIONI RELIGIOSE

IL FATTORE CULTURALE-RELIGIOSO E IL DIRITTO PENALE: ALCUNE OSSERVAZIONI

5. IN PARTICOLARE: LE MOTIVAZIONI RELIGIOSE

Soffermiamoci, ora, sulla posizione presa dal nostro ordinamento rispetto alle motivazioni religiose che sorreggano la commissione di alcune condotte, a cominciare dal sempre più diffuso fenomeno delle mutilazioni genitali femminili, ipotesi in cui il fattore culturale-religioso è divenuto, addirittura, oggetto di una specifica previsione incriminatrice con l’art. 583 bis c.p. L’introduzione di tale norma non ha mancato di suscitare dubbi circa il suo carattere discriminatorio, considerando che, il condizionamento culturale, quando si pone come elemento di specialità rispetto a fatti che sarebbero comunque penalmente rilevanti anche in sua assenza (si pensi alle lesioni gravi o gravissime), non può legittimamente fondare un inasprimento del trattamento sanzionatorio rispetto al corrispondente reato culturalmente “neutro”, a meno che esso non incida sul contenuto offensivo del fatto27.

Con l’espressione mutilazioni genitali femminili si fa riferimento a tutte quelle pratiche rituali, diffuse in numerose comunità dell’Africa e dell’Asia, che consistono nella asportazione parziale o nella lesione degli organi genitali esterni della donna, nella convinzione che tali pratiche svolgerebbero una funzione di contenimento della sessualità della donna, garantendone la verginità o la fedeltà coniugale. Si tratta di convinzioni culturali profondamente radicate nella tradizione di molti gruppi etnici, rappresentando un rito al quale la donna deve sottoporsi per essere accettata come tale dal gruppo di appartenenza28. Anche se sembra ormai accertata l’origine non strettamente religiosa delle mutilazioni genitali femminili, è pur vero che esse lasciano trasparire notevoli implicazioni religiose, in quanto la donna, il suo corpo e la sua sessualità occupano, nella visione sostenuta dalla maggior parte delle religioni – compreso il cattolicesimo – una posizione ambivalente: per un verso, la donna è considerata fonte di vita; mentre, per l’altro verso, esprime una potenza negativa che deve essere tenuta sotto controllo, circoscritta, protetta e mai esibita o lasciata libera di espandersi29.

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MASARONE, Valentina, L’incidenza del fattore culturale sul sistema penale. cit., p. 1239 ss.; FORNASARI, Gabriele. Mutilazioni genitali femminili e multiculturalismo: premesse per un discorso giuspenalistico, in BERNARDI, Alessandro, PASTORE, Baldassarre, PUGIOTTO, Andrea (a cura di), Legalità penale e crisi del diritto, oggi. Un percorso interdisciplinare. Milano: Giuffré, 2008, p. 179 ss.; GRANDI, Ciro. Diritto penale e società multiculturali. cit., p. 251 ss.; PECORELLA, Claudia. Mutilazioni genitali femminili: la prima sentenza di condanna. in Riv. it. dir. e proc. pen., 2011, p. 853 ss.

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BRUNELLI, David, SARTARELLI, Stefania. Tutela penale della religione e tutela del corpo: rapporti penalistici. in RODOTA’, Stefano, ZATTI, Paolo (diretto da). Il governo del corpo, Tomo I, Trattato di Biodiritto. Milano: Giuffrè, 2011, p. 237; BOTTI, Federica. Manipolazioni del corpo e mutilazioni genitali femminili. Bologna: BUP, 2009, p. 59-60; MAGNINI, Valentina. La disciplina penale delle mutilazioni genitali femminili. Le nuove fattispecie di cui agli artt. 583 bis e 583 ter c.p.. in Studium iuris, 2006, p. 1081.

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A causa dei flussi immigratori provenienti dall’Africa e dall’Asia, in tempi relativamente recenti, anche i Paesi occidentali sono venuti a contatto con tali pratiche simbolico-rituali. Al di là delle variegate note modali e procedurali, non vi è dubbio che esse offendano alcuni diritti fondamentali della donna – quali la sua integrità fisica – e che pertanto – salvo che per quei casi limite in cui possa avere effetto scriminante il consenso della donna stessa – esse risultano penalmente rilevanti in tutti i Paesi europei.

Proprio a causa del loro carattere intrinsecamente lesivo di beni individuali fondamentali, per la repressione delle manipolazioni corporee di cui si tratta alcuni Stati europei si sono affidati alle ordinarie norme incriminatici delle lesioni personali; mentre altri hanno predisposto l’adozione di leggi ad hoc. L’Italia rientra in questa seconda categoria di Paesi, poiché per il “crimine” di mutilazioni genitali femminili sono state introdotte due nuove figure di reato, gli artt. 583 bis e 583 ter c.p., le quali, contrassegnandosi per il particolare rigore sanzionatorio, oltre che per la loro “superflua utilità”, dimostrano come la motivazione culturale sottesa alla manipolazione simbolica del corpo, lungi dal costituire una qualche defenses, rappresenti l’elemento di disvalore su cui si incentra l’incriminazione30.

Anche il corpo maschile è suscettibile di diventare simbolo religioso ed a tal fine la pratica più anticamente riconosciuta è la circoncisione, che pur presentando numerose differenziazioni rituali e variegati fondamenti ideologici, non si sostanzia mai nella modificazione profonda della funzionalità complessiva del corpo o meglio nell’asportazione totale o parziale di un organo, come invece avviene a seguito delle mutilazioni genitali femminili31. Ecco perché, la pratica della circoncisione (che non costituisce di per sé una lesione/malattia) se effettuata su adulti consenzienti può dirsi pacificamente ammessa. Inoltre, anche quando l’atto di disposizione in parola venga realizzato dai genitori sul corpo dei figli minori e rientri nell’ambito della loro educazione (anche religiosa), la lettura combinata degli artt. 19 e 30, c. 1, Cost. con l’art. 51 c.p. condurrà alla affermazione di una irrilevanza penale di tale pratica, salva una eventuale

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BRUNELLI, David, SARTARELLI, Stefania. Tutela penale della religione e tutela del corpo. cit., p. 237-238; BASILE, Fabio. Società multiculturali, immigrazione e reati culturalmente motivati. cit., p. 1339-1343; Id., Panorama di giurisprudenza europea sui c.d. reati culturalmente motivati. in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, febbraio 2008, 2-3; v. anche GRANDI, Ciro. Diritto penale e società multiculturali. cit., p. 245; DE MAGLIE, Cristina. Culture e diritto penale. cit., p. 1088; BERNARDI, Alessandro. Modelli penali e società multiculturale. cit., p. 60; DONINI, Massimo. “Danno” e “Offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti. in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, p. 1584; GENTILE, Ambra. Violenza sessuale in matrimonio retto da diritto straniero: il prudente approccio della Cassazione ai c.d. “reati culturali”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p. 421.

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responsabilità per le conseguenze non volute da essa originatesi32.

Il corpo è anche “luogo” o “spazio” in cui esibire i segni esteriori della propria appartenenza religiosa, e in tale suo ruolo pone principalmente il problema della liceità dell’uso in pubblico di capi di abbigliamento connotati in senso religioso. Va da se, stante la consacrazione delle libertà fondamentali recepita nella Costituzione italiana, che un problema di intersezione con il diritto penale si pone solo per quei capi di vestiario che coprendo anche il volto (della donna), ne rendono problematica l’identificazione (ad esempio, il burqua). In questi casi, potrebbe profilarsi una tensione con la normativa posta a tutela dell’ordine pubblico33.

Se questo profilo di interferenza con il diritto penale fa si che l’esibizione sul corpo di simboli religiosi possa potenzialmente tradursi in una condotta penalmente rilevante, vi è un altro punto di contatto con la materia penale in cui il rapporto concettuale appena espresso risulta essere specularmente invertito e cioè è ben possibile che rilevino penalmente condotte volte ad impedire o ad ostacolare l’esibizione del simbolo religioso sul corpo, qualora rientrino nell’ambito di applicazione delle fattispecie incriminatici comuni poste a tutela della persona e della sua libertà morale, a cui potrebbe aggiungersi il riconoscimento dell’aggravante dell’odio etnico, razziale o religioso34.

Di fronte ai casi di collisione tra precetto penale e precetto della fede religiosa, a controverse forme di esercizio del diritto di libertà religiosa che determinano l’integrazione di fattispecie incriminatici, sorgono interrogativi di una certa complessità che vanno dal rilievo attribuibile alla motivazione religiosa della condotta illecita, alla duplice questione dei limiti in cui la libertà religiosa può scriminare fatti posti in essere dal singolo credente e della misura in cui la motivazione religiosa può influire sulla rimproverabilità dell’autore del reato35.

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PLANTAMURA, Vito. Brevi note in tema di circoncisione maschile rituale, esercizio abusivo della professione e lesioni, in Giur. merito, 2008, p. 2590 ss. Cfr. anche MASTRANGELO Gennaro. Circoncisione, infibulazione ed altre manomissioni del corpo dei minori: sanzioni penali, scriminanti e strumenti internazionali alla luce della risoluzione O.N.U. 67/146 del 20 dicembre 2012, della risoluzione del Parlamento europeo sull'abolizione delle mutilazioni genitali femminili 2012/2684 del 14 giugno 2012 e della risoluzione del Consiglio d'Europa sull'integrità fisica dei minori, doc. 13042 del 2 ottobre 2012. In Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.1, 2015, p. 226 ss.

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BRUNELLI, David, SARTARELLI, Stefania. Tutela penale della religione e tutela del corpo. cit., p. 238-239; LA ROSA, Emanuele. “Uso” ed “abuso” del simbolo religioso: profili di rilevanza penale. in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, p. 771-775.

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LA ROSA, Emanuele. “Uso” ed “abuso” del simbolo religioso. cit., p. 778; Cass., 13 dicembre 2007, n. 13234, in Giur. It., 2009, p. 1, con nota di FERRARI, Simone. Sul concetto di discriminazione razziale penalmente rilevante; RIONDATO, Silvio. Diritto penale e reato culturale, tra globalizzazione e multiculturalismo. in Id. (a cura di), Discriminazione razziale, xenofobia, odio religioso – Diritti fondamentali e tutela penale. Padova: CEDAM, 2006, p. 85 ss. Cfr. anche Corte EDU, sez. II, Ahmet Aslan ed altro c. Turchia, in Cass. pen., 2010, 2457.

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In particolare, nell’ambito dei comportamenti omissivi di disobbedienza del comando penale motivata dall’esigenza di conformarsi ad un obbligo di impronta confessionale ovvero nell’ambito dell’ampia tematica della c.d. obiezione di coscienza, assumono particolare rilievo le omissioni contestate ai testimoni di Geova. Di certo vi è che nessuna autorità potrà imporre il trattamento terapeutico a fronte del rifiuto manifestato direttamente dal soggetto: una emotrasfusione eseguita coartando la volontà del paziente si configurerebbe, in tutto e per tutto come un atto lesivo della libertà e della dignità dello stesso. In realtà, il problema si pone laddove il soggetto che rifiuta la trasfusione non sia lo stesso che ne dovrebbe beneficiare in quanto minore o incapace (o in stato di incoscienza).

La tematica appena accennata non può certo essere approfondita in questa sede, è appena il caso di rilevare comunque come sulla libertà di coscienza dei genitori, prevalga sempre, in virtù della loro posizione giuridica di protezione, la salute e la vita dei figli minori, in quanto il bilanciamento tra diritto alla libertà religiosa (art. 19 Cost.) e bene della vita non può che essere risolto a favore del secondo, trattandosi di valore principale, originario e fondante nel sistema costituzionale; pertanto, se dal rifiuto di cure o assistenza derivano la morte o la lesione del minore, il genitore ne potrà rispondere in forma di reato omissivo improprio (ex art, 40, comma 2, c.p.)36.

Se, dunque in casi similari di c.d. “fatto di coscienza” o “illecito per convinzione” l’efficacia scriminante dell’esercizio della libertà religiosa è marginale e può essere riconosciuta soltanto residualmente; né può dirsi operante, nel nostro ordinamento, una qualche scusante generica intesa in termini di “inesigibilità” della condotta conforme al precetto, nonostante la situazione di conflitto soggettivo in cui essa è maturata, non resta che verificare la possibile portata attenuante della motivazione religiosa di tali condotte, ex art. 62, n. 1, c.p. (“reato commesso per motivi di particolare valore morale e sociale”).

Senonché, anche l’applicabilità di tale attenuante, qualora sia intesa secondo l’interpretazione corrente volta ad individuare i motivi rilevanti in quelli corrispondenti alla morale e all’etica corrente/dominante, sembrerebbe dubbia, a meno di non volere, invece, riconoscerne l’operatività in via automatica in ogni azione penalmente rilevante dettata da ragioni di fede, in

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BRUNELLI, David, SARTARELLI, Stefania. Tutela penale della religione e tutela del corpo. cit., p. 240-241 e bibliografia ivi citata, tra cui FACCI, Giovanni. I testimoni di Geova ed il «dissenso» all’atto medico. in Resp. civ. prev., 2007, p. 114 ss.

un’ottica indulgenziale volta ad attribuire comunque un significato positivo all’obbedienza del precetto religioso37.

L’ottica testé indicata muta invece drasticamente quando la commissione di reati comuni determinati da motivazioni pseudo-religiose mal-celi in realtà biechi intenti di sopraffazione e di sopruso dei propri simili.

Discende, infatti, dal principio di laicità dello Stato, che le confessioni abbiano autonomia nell’ambito dei valori spirituali: entro tali limiti lo Stato si dimostra indifferente e incompetente, astenendosi dall’esprimere alcun giudizio di valore sulle dottrine professate. Ma nel momento in cui le confessioni religiose impongono doveri agli aderenti, incidendo in qualche modo sui diritti costituzionali di questi, allora le stesse saranno riconosciute e tutelate, in quanto formazioni sociali ex art. 2 Cost., solo a condizione di rappresentare uno strumento a favore delle necessità etiche e sociali dell’”uomo”. Il pensiero corre, in particolare, agli abusi rituali di matrice satanica.

Problema preliminare che il satanismo propone è proprio quello della liceità di un credo religioso o pseudoreligioso che predichi il male e preveda rituali criminosi, adducendo a scusa (o meglio, a giustificazione) la natura religiosa. Orbene, come detto, la Costituzione italiana garantisce un’ampia libertà di pensiero e di religione, quantomeno finché i fatti non giungano ad integrare una fattispecie penale; così, entro i limiti del “ragionevole”, anche il credo satanista (e l’associazione omonima) è da considerarsi in linea di principio lecito, poiché non v’è un interesse irrinunciabile (impelling interest) della società alla repressione finché la condotta non si atteggi come istigazione al delitto e/o passi sul terreno operativo38. Una delle estrinsecazioni più odiose di questo “credo” è l’abuso rituale dei fanciulli che comporta una forma distorta di manipolazione della psiche umana al fine di formare sacerdoti a Satana.

Due caratteristiche più di tutte segnano l’abuso rituale nel quadro dei delitti di maltrattamenti, di incapacitazione mediante suggestione e mezzi ipnotici, degli attentati alla libertà sessuale, di lesioni continuate e di corruzione di minori: sul piano oggettivo, la utilizzazione di tecniche di condizionamento fisico e mentale da parte di un gruppo su un bambino; sul piano

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GARGANI, Alberto. Libertà religiosa e precetto penale nei rapporti familiari. cit., p. 1025-1026 ss.; LA ROSA, Emanuele. “Uso” ed “abuso” del simbolo religioso. cit., p. 750-760. Di contro, ha riconosciuto l’aggravante dell’art. 61, n. 1, c.p. nelle ragioni religiose e culturali che avevano spinto il reo al delitto, Cass., 12 novembre 2009, n. 6587, in Guida dir., 2010, 11, 92 (s.m.).

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BRUNELLI, David, SARTARELLI, Stefania. Tutela penale della religione e tutela del corpo. cit., p. 242-243 e bibliografia ivi citata, tra cui DEL RE, Michele C.. Limiti penali alla libertà sessuale nei culti emergenti. in Ind. pen., 2008, p.190; p. 198-199.

soggettivo, il fine di ottenere il domino totale sul fanciullo, per iniziarlo ad un ordine “altro” rispetto a quello tradizionale. Anche l’aggressione sessuale risulta contrassegnata dal movente “religioso”, in quanto viene sferrata non per gratificazione sessuale, ma per consacrare il fanciullo ai valori demoniaci, in modo da degradare il bambino e produrre in lui un patologico senso di colpa39.

A differenza di quanto osservato in merito alle ipotesi di obiezione di coscienza, non vi è dubbio che, in questi casi, la connotazione pseudo-religiosa e soprattutto la particolare tutela che l’ordinamento riserva ai minori-vittime di reati in qualità di soggetti deboli determineranno un più che “ragionevole” incremento della dosimetria sanzionatoria.