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L’INTERVENTO GIURISDIZIONALE, TRA «RETORICA» DELLA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO…

Nel documento PROPOSTE PER UN DIRITTO DEL TERZO MILLENNIO (pagine 173-179)

TEMPO E DIRITTO: ALCUNE CONSIDERAZIONI A PROPOSITO DELLA TUTELA CIVILE DEI DIRITTI NELL’EPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE

6. L’INTERVENTO GIURISDIZIONALE, TRA «RETORICA» DELLA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO…

L’ideologia della rapidità-a-tutti-i-costi, e quindi dell’effimero, dell’instabile, del provvisorio, non si limita, però, solo all’intervento del legislatore, ma colpisce anche l’intervento del giudice. Quest’ultimo deve essere il più istantaneo possibile: esattamente come nel tempo puntillistico descritto da Bauman, la distanza tra l’inizio del processo e il momento della decisione deve il più possibile tendere a zero (non importa con quali mezzi, o sacrificando cosa); liberare il giudice dalla lite sembra essere il principale obiettivo di politica legislativa. Proprio come l’iperindividuo di cui ci parla Auber, anche il processo deve essere iper. Ritorna l’inquietante immagine – un tempo utilizzata per indicare l’annientamento della discrezionalità del giudice nell’interpretare le norme, qui in chiave efficientistica – del giudice juke-box, nel quale inserire il gettone per farne uscire, immediatamente e quasi senza soluzione di continuità, la decisione.

Non si vuole affatto, qui, fare un “elogio” della lentezza delle procedure (che sarebbe semplicemente ingiustificabile di fronte ai frequentissimi casi di giustizia denegata per le disfunzioni del nostro processo); anzi, vi è la piena consapevolezza, che la lotta contro la sua patologica durata è tanto necessaria quanto difficile, in un’epoca dove, almeno da quarant’anni, il contenzioso è diventato di massa (cd. litigation explosion), conseguenza, questa, della progressiva giurisdizionalizzazione della nostra società47. Quello che si vuole qui affermare è piuttosto la presa d’atto che la “retorica” dell’irragionevole durata del processo - una delle più abusate che vi siano nel diritto - è sempre di più utilizzata come pretesto per giustificare ondate riformiste volte al progressivo smantellamento delle garanzie processuali e - ciò che appare ancora più grave - a negare parte di quell’insieme di diritti che vanno sotto il nome di access to justice, e che ha rappresentato, grazie all’opera di Mauro Cappeletti, una delle acquisizioni più significative in

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ROUVILLOIS, François (a cura di). La societé au risque de la judiciarisation. Paris: Lexis - Nexis, 2008. Sulle ragioni di questo fenomeno, v. PIZZORNO, Alessandro. Il potere dei giudici. Stato democratico e controllo della virtù. Roma – Bari: Laterza, 1998.

materia di tutela dei diritti48. Si pensi a quella vera e propria fuga dalla giurisdizione statale che è in atto negli ultimi anni (quantomeno in tutti i Paesi dell’Unione Europea, sotto la vigenza della direttiva 2008/52/CE), dovuta al progressivo potenziamento di forme alternative e privatizzate di regolazione dei conflitti, avente come scopo non quello (nobile) di costruire una società più armoniosa, bensì quello di deflazionare il numero dei processi intentati (e ridurre di conseguente la durata di quelli pendenti), se non quello (più sottile e pericoloso) di neutralizzare il conflitto, a discapito, naturalmente, delle parti più deboli o socialmente svantaggiate49. L’intento del legislatore sembra quello non di permettere a un maggior numero di persone l’accesso alla giustizia e fare quindi emergere una, per così dire, conflittualità latente (come invece era nelle intenzioni dei sostenitori del movimento dell’access to justice), ma semplicemente – e nella migliore delle ipotesi - decongestionare gli uffici giudiziari. Concezione, questa, frutto di una maldestra confusione tra il (legittimo) concetto di economia processuale (inteso come la scienza della minimizzazione, a parità di costi, del rapporto tra i conflitti spontaneamente generati dall’interazione sociale e quelli risolti nel processo) e quello di «avarizia» processuale (che è piuttosto la «scienza dello smaltimento dell’arretrato giudiziario»)50.

Con la costituzionalizzazione, all’art. 111, 2° comma Cost., del principio di ragionevole durata del processo - l’incubo51 (o il feticcio)52 della legislazione processuale degli ultimi anni, il grimaldello usato per giustificare reinterpretazioni contro la lettera delle norme (si pensi alla vicenda interpretativa sull’art. 37 c.p.c.)53, la ghigliottina sotto la quale far cadere le garanzie procedurali54 - i valori neoliberistici dell’economia capitalistica di mercato, con la sua logiche

48

L’ovvio riferimento è ai quattro volumi di CAPPELLETTI, Mauro (a cura di). Access to Justice. Milano - Alphen aan den Rijn: Giuffré,

Sijthoff, 1978-9.

49

Cfr. specialmente NADER, Laura (a cura di). No Access to Law: Alternatives to the American Judicial System. New York: New York Academic Press, 1980, dove si denuncia l’esplosione delle forme alternative di risoluzione delle controversie come un fenomeno di reazione al fatto che, dagli anni settanta, le corti federali erano divenute il simbolo della rivendicazione di nuove diritti da parte delle masse (lo ricorda anche CHASE, Oscar. Gestire i conflitti. p. 112 ss.). Sul punto, v. anche le condivisibili considerazioni di CATANOSSI, Stefania. L’ADR come dispositivo biopolitico. in Rivista critica di diritto privato, Napoli: Jovene, 2013. p. 193 e 210 e seg.

50

Per l’utilizzo di questa terminologia, GIUSSANI, Andrea. Azioni collettive risarcitorie nel processo civile. Bologna: Il Mulino, 2008. p. 69 e seg.

51

VERDE, Giovanni. Il processo sotto l'incubo della ragionevole durata. In Il difficile rapporto tra giudice e legge. Napoli: ESI, 2012.

52

Di “feticcio” parla TEDOLDI, Alberto. Processo civile e giudicato “alla deriva”. In Giusto processo civile. Napoli: ESI, 2013. p. 1968.

53

CAPONI, Remo. Quando un principio limita una regola (ragionevole durata del processo e rilevabilità del difetto di giurisdizione). in Corriere giuridico. Milano: Ipsoa, 2009. p. 380 e seg. (nota a Cass., Sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883).

54

RICCI, Edoardo Francesco. Nooo! (La tristissima sorte della ragionevole durata del processo nella giurisprudenza della Cassazione: da garanzia in cerca di attuazione a killer di garanzie). in Rivista di diritto processuale. Milano: Cedam, 2010. p. 976 e seg. (nota a Cass., Sez. Un., 23 febbraio 2010, n. 4309 e a Cass., 18 febbraio 2010, n. 3830).

quantitative più che qualitative, entrano nel diritto processuale55.

Un processo civile lento – ci dicono i rapporti Doing Business della Banca Mondiale sul punto56, ma anche spesso il lessico mass-mediatico – genera incertezza negli scambi, compromette la certezza del diritto, scoraggia gli investimenti, costituisce un freno allo sviluppo economico. Che queste affermazioni siano velate da un manto più o meno spesso di ideologia non sembra improbabile; non bisogna dimenticare che a essere danneggiata dalle lungaggini del processo è, infatti, quasi sempre la parte (economicamente e/o socialmente) debole (essenzialmente: i soggetti coinvolti nelle controversie famigliari e in primis i minori, il lavoratore nelle controversie di lavoro, il conduttore, nelle controversie locatizie, i cittadini danneggiati dall’inquinamento ambientale ecc..), poiché la parte forte, ossia il soggetto forte nel mercato (ad esempio - pur fra molti distinguo - l’imprenditore o, più in generale, il proprietario), oltre ad avere per definizione meno difficoltà a sopportare i costi della lite, può beneficiare di strumenti ad hoc tutto sommato efficienti (emblematicamente, la procedura per decreto ingiuntivo), oppure si rivolgerà a forme di giustizia privata, più snelle sì, ma di certo più costose.

Non la bontà delle soluzioni, ma la velocità indifferente al contenuto è divenuto il principale obiettivo del legislatore. Un Maestro del diritto processuale civile d’altri tempi – Enrico Allorio – alla domanda “quale giustizia?” rispose di preferire una giustizia non rapida a una rapidità non giusta, che alla certezza (rappresentata dal giudicato) veloce, conseguita «con la sola preoccupazione della sollecitudine» avrebbe preferito una «”giustizia” conseguita attraverso un procedimento più lento sì, ma meno probabilmente esposto all’errore»57. Non c’è bisogno di dire quanto lontana risuoni oggi questa convinzione.

7. ...E CRISI DEL GIUDICATO (E CORRELATA CRISI DEL DIRITTO)

Ed è proprio richiamandoci a quest’ultima considerazione, la quale pone il problema della

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Con lucidità, BIFULCO, Daniela. Il potere giudiziario. in ANGELINI, Francesca, BENVENUTI, Marco (a cura di). Il diritto costituzionale alla prova della crisi economica. Napoli: Jovene, 2012. p. 359 e seg. per la quale l’efficienza «tende a ridefinire non più solo il mercato, ma anche l’attività giudiziaria, assimilata sempre più a un prodotto in quell’immensa azienda di servizî a cui è ormai assimilato anche lo Stato».

56

The World Bank. Doing Business 2012. Doing Business In a More Trasparent World. Washington, 2012.

57

ALLORIO, Enrico. Sul doppio grado del processo civile. in Rivista di diritto processuale. Milano: Cedam, 1982, I. p. 317 e seg. (le parole sono ricordate anche da LANFRANCHI, Lucio. La cameralizzazione del giudizio sui diritti. in La roccia non incrinata. Garanzia costituzionale del processo civile e tutela dei diritti. Torino: Giappichelli, 2011, 172).

tensione tra certezza e velocità, tra stabilità e rapidità, dell’intervento giurisdizionale, che si introduce la terza (e ultima) tendenza: la crisi del giudicato, ossia la crisi della stabilità delle decisioni del giudice, crisi della loro capacità, o della loro opportunità, di proiettarsi con certezza nel futuro, che può essere anch’essa letta come conseguenza di quella «ideologia del breve termine» a cui si è più volte fatto riferimento e del - per così dire - “fastidio” della nostra epoca per tutto ciò che è definitivo, immutabile, duraturo, che non può essere “aggiornato”.

Che il giudicato come istituto sia - per usare un’espressione giornalistica - sotto attacco, pare una tendenza difficilmente contestabile; esso esce in qualche modo indebolito da un lato dal suo “scontro” con l’attività legislativa, dal perenne conflitto tra potere legislativo e giudiziario (emblematica la vicenda Englaro, nella quale il governo aveva tentato di emanare un provvedimento con il chiaro intento di incidere su pronunce giurisdizionali coperte da giudicato)58; dall’altro dall’efficacia delle decisioni delle corti sovranazionali, sullo sfondo della supremazia del diritto comunitario (il riferimento è ai casi «Lucchini» e «Olimpiclub», per limitarci ai più celebri)59. Il fenomeno sul quale qui si focalizzarà l’attenzione è, però, piuttosto il fatto che sempre più spesso il legislatore predispone modelli, o schemi, processuali diversi dal processo ordinario di cognizione, più veloci e deformalizzati (“liquidi” verrebbe da dire)60, ma disancorati, appunto, dall’efficacia di giudicato61.

Le manifestazioni di questo trends sono molteplici, e il lettore più attento allo studio del diritto processuale civile saprà, senza fatica, riconoscerne molte (senza scendere nei tecnicismi, si pensi ai «provvedimenti temporanei e urgenti che [il giudice] reputa opportuni nell’interesse della prole», di cui all’art. 708 c.p.c., dotati di quella che viene comunemente definita «efficacia indefinitamente protratta», alla disciplina della tutela cautelare anticipatoria cd. «a strumentalità

58

Sulla “vicenda Englaro”, dal punto di vista del processualcivilista, CAPONI, Remo, PROTO PISANI, Andrea. Il caso E.: brevi riflessioni dalla prospettiva del processo civile. in Foro italiano. Torino: Giappichelli, I, 2009. p. 984.

59

Cfr. POGGIO, Alessandro. Dopo Lucchini: il caso fallimento Olimpiclub: il ridimensionamento dell’efficacia del giudicato esterno “anticomunitario”. In Giuriprudenza Italiana, Milano: Utet, 2010. p. 369 e seg.

60

Anche questa metafora non sarebbe nuova; cfr. DE MENDONÇA, Luis Correia. Processo civil lìquido e garantias. In CIPRIANI, Franco (a cura di), Stato di diritto e garanzie processuali, Atti delle II Giornate internazionali di Diritto processuale civile. Napoli: ESI, 2008. p. 205 e seg.

61

Su questo fenomeno, ANDOLINA, Italo. Crisi del giudicato e tutela giurisdizionale. Ora in RAITI, Giovanni (a cura di). Il tempo e il processo. Scritti scelti di Italo Andolina. Torino: Giappichelli, 2009, II. p. 875 e seg.; CHIZZINI, Augusto. Prolegomena a ogni futura metafisica del “giusto processo” che voglia presentarsi come rispettosa della tutela costituzionale dei diritti. Ora in CHIZZINI, Augusto (cur.). Pensiero e azione nella storia del processo civile. Studi. Milano: Utet, 2013. p. 165 e seg. Circa il mutamento del ruolo del giudice in un contesto - in parte - di questo tipo, cfr. anche LA CHINA, Sergio. Dal giudice giudicante al giudice pianificante (viariazioni minime su un tema scabroso). in Rivista di diritto processuale, Milano: Cedam, 2006. p. 847 e seg. (spec. p. 852-854).

attenuata», così come modificata dalla L. 80/2005, alle nuove forme di tutela sommaria non cautelare, all’abuso delle forme camerali per la giurisdizione contenziosa62 - le quali, oltre a non essere idonee al giudicato, soffrono dell’assenza di garanzie minime - e, fuori dai confini nazionali, al modello francese del référé provision, o a quello tedesco delle einstweilige Verfugüngen etc..)63.

Quello che più importa, però, in questa sede è il fatto che così facendo si è delineato «un nuovo scenario, all’interno del quale la composizione dei conflitti, e la salvaguardia in sede giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive e/o degli status, non sempre – né necessariamente – risulta affidata a decisioni capaci di attingere autorità e stabilità della res judicata»64, scenario che viene descritto come una «necessità imposta dai nuovi tempi: «[o]ggi la società – attraversata da mille conflitti – chiede risposte giudiziali rapide ed effettive. Più che la ricerca della verità e la produzione del giudicato, si chiede – o meglio, ci si accontenta – della composizione tempestiva dei conflitti», senza per questo dimenticare, anzi, che «la rotta del processo – la sua stella polare, e ad un tempo il suo «mistero» è e rimane pur sempre la verità»65.

Il giudicato –la stabilità delle decisioni nel futuro – significa, infatti, garanzia66.

Nella consapevolezza che il diritto soggettivo non è concepibile senza la sua tutela, parlare di crisi del giudicato significa parlare né più né meno che di crisi del diritto stesso. Se ad essere instabile, perennemente esposta all’alea della modifica o della revoca, è la decisione del giudice, a farne le spese è il diritto stesso (si è paventata, con toni alquanto foschi, la «destrutturalizzazione del sistema» a causa dell’ «evanescenza» della nozione di diritto soggettivo)67. «Come può esservi – infatti - determinazione dei diritti e dei doveri quando il risultato finale del provvedimento non è dotato di alcuna stabilità, e può essere sempre revocato?»68.

62

PROTO PISANI, Andrea. Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c. (appunti sulla tutela giurisdizionale dei diritti e sulla gestioni di interessi devoluta al giudice). in Rivista di diritto civile. Milano: Cedam, 1990, I. p. 393 e seg.

63

Per i necessari riferimenti tecnici, cfr. PROTO PISANI, Andrea. Verso la residualità del processo a cognizione piena? in Foro italiano. Torino: Giappichelli, 2006, V. p. 53 e seg.; MENCHINI, Sergio. Nuove forme di tutela e nuovi modi di risoluzione delle controversie: verso il superamento della necessità dell’accertamento con autorità di giudicato. in Rivista di diritto processuale. Milano: Cedam, 2006. p. 869 e seg.

64

ANDOLINA, Italo. Crisi del giudicato e tutela giurisdizionale. cit, p. 878-879.

65

ANDOLINA, Italo. Crisi del giudicato e tutela giurisdizionale. cit., p. 880.

66

CERINO CANOVA, Augusto. La garanzia costituzionale del giudicato civile (meditazioni sull’art. 111, comma 2°). in Rivista di diritto civile, Milano: Cedam, 1977. p. 395 e seg.

67

CHIZZINI, Augusto. Prolegomena a ogni futura metafisica del “giusto processo” che voglia presentarsi come rispettosa della tutela costituzionale dei diritti. 173.

68

CHIZZINI, Augusto. Prolegomena a ogni futura metafisica del “giusto processo” che voglia presentarsi come rispettosa della tutela costituzionale dei diritti. cit, p. 183 (in nota 62).

Poter contare su diritti certi, non sottoposti a contestazioni future, «immuni dalla controprova del futuro»69, non deve, infatti, essere considerato un «lusso che un nobile decaduto non può più permettersi»70. Se così fosse, se l’unica tutela che l’ordinamento concedesse fosse provvisoria, se si preferisce una tutela rapida piuttosto che una solida, se la lite non viene risolta in modo incondizionato, se le situazioni sono permanentemente “a rischio”, se, in altre parole, «si affermano meri eventi instabili d’efficacia»71, allora il diritto sostanziale, le posizioni soggettive, ne risulterebbero «desostanziate, allo stato gassoso […] come i Luftmenschen della tradizione letteraria, esseri che vivono nell’aria sganciati dalla vita reale, non hanno più i piedi per terra. Se si preferisce i diritti sono allo stato amorfo»72.

Affido quindi la conclusione ancora alle parole di Augusto Chizzini, che rendono bene il concetto secondo il quale, pur in un’epoca di precarizzazione selvaggia, pur con l’avvento del regno dell’effimero, non è possibile precarizzare anche i diritti senza snaturarne il relativo concetto: è possibile uno stato di diritto senza diritti? Senza dare ai consociati la certezza sulle posizioni giuridiche tutelate, dispensando solo bendaggi provvisori, rimettendo ad un futuro lontano ogni possibile determinazione? […] il diritto soggettivo è tale ed esiste in quanto certo, incontestato. Prima, nel mondo dell’incertezza vi sono solo vaghe prospettazioni, simulacri di diritti, fantasmi destinati a svanire al primo chiarire dell’alba con il volo delle allodole73.

69

LA CHINA, Sergio. Dal giudice giudicante al giudice pianificante (viariazioni minime su un tema scabroso). cit, p. 854.

70

CHIZZINI, Augusto. Prolegomena a ogni futura metafisica del “giusto processo” che voglia presentarsi come rispettosa della tutela costituzionale dei diritti. cit., p. 175.

71

CHIZZINI, Augusto. Prolegomena a ogni futura metafisica del “giusto processo” che voglia presentarsi come rispettosa della tutela costituzionale dei diritti. cit., p. 177.

72

CHIZZINI, Augusto ricorda anche come il tentativo di «superare lo schema formale della stabilità delle sentenze» sia stato compiuto dai regimi totalitari, in particolare dalla Germania nazista, e nei paesi di ideologia marxista (CHIZZINI, Augusto. Prolegomena a ogni futura metafisica del “giusto processo” che voglia presentarsi come rispettosa della tutela costituzionale dei diritti. cit., p. 180, in nota 52, con relative citazioni bibliografiche).

73

CHIZZINI, Augusto. Prolegomena a ogni futura metafisica del “giusto processo” che voglia presentarsi come rispettosa della tutela costituzionale dei diritti. cit., p. 187-188.

Nel documento PROPOSTE PER UN DIRITTO DEL TERZO MILLENNIO (pagine 173-179)