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IL CONTROLLO PUBBLICO DELLE ATTIVITÀ PRIVATE

Nel documento PROPOSTE PER UN DIRITTO DEL TERZO MILLENNIO (pagine 157-163)

RAPIDITÀ E LIBERALIZZAZIONI

4. IL CONTROLLO PUBBLICO DELLE ATTIVITÀ PRIVATE

Il dato normativo da cui muovere le prime osservazione è l’art. 41 della Costituzione, il quale sancisce il principio della libertà di iniziativa economica. È altresì chiarito al comma secondo che l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo tale da recare danno alla sicurezza e alla dignità umana, sicché, come specifica il terzo comma, la legge determina i controlli perché l’attività possa essere coordinata ai fini sociali.

La norma, costituendo la fonte normativa da cui traggono origine i controlli amministrativi per l’acceso a mercato, non indica però l’intensità e le forme di controllo previste, rimettendo alla legge la specificazione di tale aspetto.

Volendo brevemente accennare a ciò si dirà in seguito, tale attività di controllo mostra un graduale cambiamento. In altri termini si assiste, nel conflitto tra libertà e autorità, a un

affievolimento della presenza pubblica, da intendersi nella duplice veste di deregolamentazione e diversa collocazione temporale del potere pubblico.

Si assiste, quindi, al moltiplicarsi dei moduli pubblicistici volti ad incidere sulla libertà privata in modo più o meno incisivo: distinguiamo quindi autorizzazioni, dichiarazioni con funzione legittimante e segnalazioni.

Riprendendo la ricostruzione operata da Raneletti4, l’autorizzazione è l’atto mediante il quale si determina la rimozione dei limiti legali posti alla libera attività individuale per ragioni di ordine pubblico. La tesi muove dalla qualificazione della situazione giuridica del privato in termini di diritto, il cui esercizio è tuttavia subordinato alla previa verifica da parte dell’amministrazione della compatibilità con l’interesse pubblico.

L’autorizzazione si contrappone inoltre alle concessioni amministrative, in cui l’effetto ampliativo della sfera giuridica del richiedente è compiuto mediante l’attribuzione di nuovi diritti.

Il sistema autorizzatorio si è tuttavia dovuto confrontare con il riconoscimento delle libertà economiche, legato alla primazia del diritto comunitario. La regolamentazione pubblica dell’iniziativa privata è divenuta quindi recessiva, senza tuttavia coinvolgere la funzione di controllo della p.a..

L’aspetto più significativo è la riduzione dei poteri di discrezionalità e la conseguente predeterminazione in via generale della cura dell’interesse pubblico in sede normativa. Le nuove prerogative riconosciute al privato hanno, quindi, spostato il momento della valutazione degli interessi dal campo amministrativo a quello legislativo, con la conseguenza che l’amministrazione ha assunto la funzione di verificatore dei presupposti già predeterminati dalla legge.

Alla luce di tale trasformazione si spiega quindi l’incremento delle ipotesi soggette a dichiarazione o segnalazione in luogo dell’autorizzazione, ciò risulta il naturale percorso tracciato dall’alleggerimento del controllo pubblico delle attività private. Stabiliti i requisiti per l’accesso ad una determinata attività risulta, perciò, eccessivamente gravoso per il privato e per la pubblica amministrazione l’esercizio del potere autorizzatorio. Più agevole e rispondente alle indicazioni comunitarie è quindi una produzione automatica degli effetti. L’esercizio puntuale del potere è, dunque, riservato alle sole ipotesi in cui, in base alla tipologie di interesse in gioco, risulta

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necessario5. Tale lettura è conforme al principio di proporzionalità, il quale deve essere applicato anche ai mezzi adoperati dalla pubblica amministrazione, sicché in talune ipotesi determinate, in cui non occorre un puntale provvedimento autorizzatorio, si ritine preferibile lo strumento dichiarativo. Finalità di tali interventi non è ovviamente l’abdicazione della funzione pubblica, ma il tentativo di migliorare, sia per l’utente che per l’amministrazione, la qualità della regolamentazione.

In tale ottica si colloca la disciplina attuale dell’art. 19 della L. 241/1990 ossia la SCIA.

Se si tratti di reali forme di liberalizzazione dipende dal tipo di definizione che intendiamo accogliere. Per ricomprendere tali istituti nella più ampia nozione di liberalizzazione, occorre quindi includere anche il passaggio da un regime di controllo ex ante ad un regime ex post. E’ stato tuttavia osservato6 che la corretta qualificazione dovrebbe probabilmente essere di semplificazione, in quanto l’istituto comporta l’esercizio di un attività amministrativa, sostituendo un regime autorizzatorio con un altro più semplificato.

Il principale elemento differenziale rispetto alla dia attiene al meccanismo attraverso cui si legittima il privato ad intraprendere l’ attività oggetto della segnalazione.

In precedenza, si prevedeva, infatti, che il privato dovesse dichiarare l'inizio dell'attività, attendere il decorso di trenta giorni e comunicare l'inizio dell'attività decorsi i trenta giorni. La pubblica amministrazione, per i trenta giorni decorrenti dalla seconda comunicazione, poteva adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività intrapresa e di rimozione dei suoi effetti in caso di accertata carenza e dei presupposti.

La SCIA, invece, consente in modo più rapido di iniziare l’attività, la quale potrà avere inizio immediatamente dopo la segnalazione. Grava tuttavia a carico del privato un più significativo onere di documentazione. Nei sessanta giorni dalla SCIA la p.a. potrà intervenire vietando la prosecuzione dell'attività rimuovendone gli effetti, è mantenuto tuttavia il potere di intervenire in autotutela ex art. 21 quinquies e nonies della L. n. 241 del 1990, decorso il termine di sessanta giorni.

Il quadro della SCIA si complica tuttavia qualora si faccia riferimento alla SCIA in materia

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MAZZAMUTO, Marco. La riduzione della sfera pubblica. Torino: Giappichelli, 2000, p.136 ss..

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edilizia. Riassumendo a grandi linee il quadro normativo, testo unico edilizia d.p.r. 180/ 2001, si può distinguere tra la SCIA e la SUPER DIA: la SCIA sostituisce la DIA «classica», ossia quella definita in via residuale rispetto agli interventi che rientrano nell’attività edilizia libera e a quelli che presuppongono il rilascio del permesso di costruire, applicandosi, dunque, il modello di cui all’art. 19 l. proc. amm., con la precisazione che il termine per l’esercizio del potere inibitorio è ridotto a 30 giorni (e salve alcune ulteriori particolarità qualora la zona sia sottoposta a vincolo); la SUPER DIA, ossia la DIA utilizzata in sostituzione del permesso di costruire nelle ipotesi e alle condizioni prefigurate dal testo unico (tendenzialmente nei casi di pianificazione attuativa sufficientemente dettagliata) e che a loro volta possono essere ampliate o ridotte dalle regioni utilizza, invece, il modello procedurale di cui al testo unico edilizia e, in particolare, l’attività può essere intrapresa solo decorsi 30 giorni dalla denuncia.

Il descritto ambito applicativo è inoltre complicato dal d.l. 69/2013 , il quale ha introdotto il silenzio assenso in edilizia proprio con riferimento agli interventi subordinati a permesso di costruire. Il soggetto interessato a svolgere un certo intervento (perlomeno in alcuni casi) si troverebbe nell’alternativa tra presentare una SUPER-DIA e aspettare trenta giorni per iniziare l’attività, oppure richiedere il permesso, attendere lo spirare del termine di conclusione del relativo procedimento (90 giorni) e iniziare l’attività.

La super-dia può essere, quindi, utilizzata in sostituzione del permesso di costruire che però, a sua volta, è di per sé sostituito dal silenzio assenso.

In definitiva, le facilitazioni che derivano dal regime in esame rischiano di essere vanificate dalla coesistenza di atti privati e titoli abilitativi: questa alternatività può generare confusione circa l’individuazione del regime che riguarda l’opera da realizzare7. Ulteriori perplessità attengono al potere di autotutela: in queste ipotesi il potere si esprime non con riferimento a un potere già manifestato mediante l’adozione di un provvedimento, bensì al potere inibitorio non esercitato entro il termine stabilito, con la conseguenza che il privato resta esposto a una situazione d’incertezza sine die.

Rispetto a tale metodo di liberalizzazione, i tempi sembrano ormai maturi per un cambiamento. Il legislatore sembra aver optato per una scelta più radicale, che consiste nella totale eliminazione del potere amministrativo, non solo ex ante, ma anche ex post. Il privato, al

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fine di svolgere la propria attività non è quindi tenuto neanche a quel preventivo contatto con l’Amministrazione

La dia viene collocata da questi più recenti interventi legislativi nell’ambito delle attività che rimangono comunque sottoposte a regime amministrativo.

In tal senso si colloca il comma 6 dell’art. 34 del c.d. decreto Salva Italia: a seguito del comma 4 che prevede l’eccezionalità del regime autorizzatorio, il comma 6 specifica che nel caso in cui ricorrano e condizioni per mantenere il regime autorizzatorio, la regola è la d.i.a..

Allo stesso modo significativo è l’art. 17 d.lgs. n. 59 del 2010, attuativo della c.d. direttiva Bolkstein, in materia di liberalizzazione dei servizi professionali, il quale prevede che per le attività che rimangono sottoposte ad autorizzazione, ai fini del rilascio del procedimento autorizzatorio, si segue il procedimento di cui all’art. 19, comma 2, legge n. 241 del 1990. E’ evidente, quindi, la tendenza a considerare la d.i.a. un titolo autorizzatorio minore8.

L’esigenza di arretrare il potere pubblico muove dalla constatazione che una delle principali difficoltà incontrate dalle imprese nell’accesso alle attività di servizi e nel loro esercizio “è rappresentato dalla complessità, dalla lunghezza e dall’incertezza giuridica delle procedure amministrative”9. Da ciò la spinta a limitare i regimi di autorizzazione ai casi in cui essi sono indispensabili, al fine di eliminare i ritardi, i costi e gli effetti dissuasivi. La direttiva Bolkestein impone quindi un regime generale più flessibile, ammettendo il regime autorizzatorio solo necessario e nella misura meno pervasiva possibile. Affinché si possa sottoporre ad un controllo preventivo una determinata attività occorre, quindi, che il regime non sia discriminatorio nei confronti del prestatore che sia presente un motivo imperativo di interesse e che l’obiettivo perseguito non possa essere conseguito tramite una misura meno restrittiva. È inoltre interessante notare come a livello europeo, ciò che nel nostro ordinamento è stato definito uno strumento di liberalizzazione viene inteso come una forma di autorizzazione. È poi il caso di precisare che, secondo la definizione di autorizzazione contenuta ai sensi dell’art. 4, par. 6, costituisce regime di autorizzazione “qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio”.

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GIOVAGNOLI, Roberto. Liberalizzazioni, semplificazioni ed effettività della tutela. in www.jusforyou.it

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Il considerando 39 specifica inoltre che “L’autorizzazione può essere concessa non solo in base ad una decisione formale, ma anche in base ad una decisione implicita derivante, ad esempio, dal silenzio dell’autorità competente o dal fatto che l’interessato debba attendere l’avviso di ricevimento di una dichiarazione per iniziare l’attività o affinché quest’ultima sia legittima”. Fuori dalla categoria, più o meno ampia, dei regimi autorizzatori rimane però la SCIA, la quale permette l’accesso immediato all’attività. Come evidenziato non mancano, tuttavia, anche in questo caso i problemi in merito all’ambito di applicazione dell’istituto, sicché la forte portata di interventi volti alla liberalizzazione rischia di svuotarsi.

Tornando quindi alla proposta di Calvino per il nuovo millennio, sembra potersi affermare che la rapidità, intesa come immediatezza del significato e non come mera velocità normativa, rappresenta oggi un obiettivo lontano da raggiungere per il legislatore italiano.

I canoni di agilità, mobilità e disinvoltura sembrano, quindi, sovrastati da un ingombrante legislazione.

TEMPO E DIRITTO: ALCUNE CONSIDERAZIONI A PROPOSITO DELLA TUTELA CIVILE

Nel documento PROPOSTE PER UN DIRITTO DEL TERZO MILLENNIO (pagine 157-163)