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La discriminante della consapevolezza

Sicuramente molti sono perplessi all’idea di una sfera emotiva per le api, anche se esse hanno sempre avuto un posto un po’ privilegiato tra gli insetti. La famosa danza delle api, scoperta da Karl von Frisch (1927), è un modo molto raffinato per informare le compagne api su dov’è il cibo, però nell’epoca in cui si è iniziato a sondare il mondo mentale degli animali, l’opinione prevalente è che si trattasse sempli- cemente di un riflesso, che non richiede alcuna intenzione consape- vole di comunicare qualcosa a qualcuno (Gould, Grant-Gould 1995). Non è detto, sono emersi nuovi interessanti dettagli sulla loro danza (Seeley 2003), soprattutto il fatto che non è assolutamente un riflesso fisso sulla disponibilità di cibo che un’ape ha trovato. Quando diverse api comunicano posti diversi, avviene una specie di “contrattazione”, per cui altre api che hanno osservato possono iniziare ad imitare la danza che conduce al posto per loro più convincente, e questo a sua volta induce le prime segnalatrici ad insistere. Pian piano anche quelle che volevano far andare in un posto diverso, si convincono, smettono di danzare per indicare la parte che avevano in mente prima, e dopo un po’ possono associarsi a danzare per il posto prevalente.

Pur se quindi capaci di un comportamento molto sofisticato e flessibile, non è detto che debbano anche provare emozioni. Qui bisogna intenderci, non emozione come pura disposizione a reagire ad uno stimolo in modo negativo o positivo, ma nel senso di provare qualcosa, così come suc- cede a noi. Se si vuole conservare questa accezione di emozione, in cui la componente fenomenica è importante, allora c’è un punto discriminante. Occorre che l’animale abbia consapevolezza della positività o negatività della sua reazione, in altri termini che provi dolore, piacere, rabbia.

L’intreccio tra emozione e coscienza diventa quindi stretto, e non a caso è un punto centrale delle teorie di alcuni studiosi della coscienza animale. Secondo Derek Denton il fondamento della coscienza è il provare emozioni, con due precise funzioni: produrre nell’organismo una sensazione imperiosa, che prenda il sopravvento su tutto il resto in circostanze critiche, e poi indurre in modo irresistibile a soddisfarla. Denton (2006) studia in particolare quelle che chiama emozioni pri- mordiali, una delle principali è la hunger for air, una delle più intense in assoluto ancora pure per gli umani.

Anche Michel Cabanac e suoi collaboratori sono sostenitori della coscienza come emozione, ma loro esaminano altri tipi di fenomeni, come la febbre e la tachicardia, in cui hanno mostrato l’importante scopo di preparare un organismo ad essere più reattivo, per un even- tuale combattimento, e anche possibili lesioni. Tramite diversi esperi- menti, in cui i rettili, allo stesso modo di mammiferi e uccelli, ma non degli anfibi, sono soggetti a tachicardia quando preoccupati, Cabanac, Cabanac, and Parent (2009) hanno lanciato l’ipotesi che gli Amniota siano il primo clade in cui è emersa la coscienza.

Misurando l’accelerazione dei battiti cardiaci di un’iguana e di due specie di rane, Rana catesbeiana e Rana pipiens, per vedere se essa cambiava quando i ricercatori prendevano in mano gentilmente gli animali, è risultato che all’iguana il cuore cominciava subito a battere più forte, passando da 70 a 110 battiti al minuto, mentre nelle rane non si verificava alcun cambiamento.

La variazione del ritmo cardiaco è uno dei correlati organici delle emozioni più intenso, ed avvertito dagli uomini. Vi sono strutture ce- rebrali specifiche coinvolte sia nel processo emotivo, che nel controllo cardiovascolare, ed infine nella percezione cosciente del suo cambia- mento, in particolare il giro cingolato e l’insula.

Pollatos, Herbert, Matthias, and Schandry (2007) hanno misurato la variazione del battito cardiaco in soggetti a cui venivano mostrate 120 immagini di tipo affettivo, alcune delle quali a valenza negativa, positiva e anche neutrale. Per tutte vi era una variazione importante del battito, poi differenziata nei tre casi. Inoltre vi erano variazioni sogget- tive significative riguardo al livello di percezione: i soggetti avevano in modo variabile coscienza del loro cambiamento di battito. È evi- dente come questo fattore, in continuità attraverso tutti gli Amnioti, sia caratterizzante allo stesso tempo della coscienza e dell’emozione.

Conclusioni

Da quando l’etologia animale ha smesso di preoccuparsi di lasciar fuori dalle sue ricerche le emozioni, gli studi si sono moltiplicati, e da diversi decenni si sono collegati con i progressi effettuati nelle neu- roscienze riguardo ai circuiti cerebrali che ci fanno provare emozioni. Grazie a nuovi paradigmi psicologici di ricerca sulle emozioni si è ini-

ziato ad indagare su animali diversi da quelli che, come i mammiferi, tipicamente appaiono emozionarsi come noi, prendendo in considera- zione anche invertebrati, come le api.

Ho qui sostenuto che per poter continuare a parlare di emozione così come usiamo la parola a proposito dell’uomo, è necessario pro- seguire tali ricerche al fine di verificare la possibilità della coscienza anche negli animali sotto esame. Vi sono di certo due ostacoli prin- cipali che rendono i risultati confutabili dagli scettici. Il primo è che non abbiamo un resoconto verbale, il secondo è che questi tentativi prendono in esame specie animali molto distanti dall’uomo. Sono però stati proposti dei criteri che, pur se non potranno dare mai certezze, possono rendere più o meno plausibile l’attribuzione di coscienza (Seth, Baars, Edelman 2005). Ciò mi rende favorevole alla teoria che colloca evolutivamente l'inizio della coscienza, e dunque l’emozione in senso più completo, solamente dalla classe degli Amnioti. Volendo usare una dose maggiore di prudenza, si potrebbe anche sospendere temporaneamente il giudizio riguardo gli Amnioti non mammiferi, in quanto non risultano accertate per loro le correlazioni stringenti tra centri cerebrali ed emozioni di base messe in evidenza da Panksepp, su un numero esiguo di specie, tutte appartenenti ai mammiferi. In mancanza di questo criterio, a Cabana potrebbe essere sempre obiet- tato che l'aumento di battito cardiaco in condizioni preoccupanti, ri- scontrato nei rettili ma non negli anfibi, potrebbe essere una comu- nanza di reazione non sufficiente ad ipotizzare nei primi un senso di “preoccupazione” paragonabile al nostro.

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