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Cristiano Castelfranch

2. Basi Cognitive delle Emozioni Moral

2.1.3. Senso di colpa

Esamineremo due tipi di SdC. Il primo e più tipico è il SdC di chi ha commesso qualcosa a danno di qualcuno, di chi è colpevole.

X si sente in colpa per O (qualcosa /oggetto) verso qualcuno Y (vittima)

Analizziamo quali sono i componenti mentali necessari per sentire questa emozione

Cosa deve credere X per sentirsi in colpa: C1: X ha fatto Az

C2: Az causa un effetto (cambiamento del mondo) C3: effetto ha prodotto danno per Y

Deve credere che ha fatto qualche cosa, una certa azione Az e che questa azione ha causato un certo effetto che ha costituito/prodotto un danno per Y.

Questo nesso/credenza causale rappresenta un pezzo del concetto di responsabilità. Io sto attribuendo a me stesso quest’effetto nel mondo, sto richiamando a me il locus of control, quindi il danno che Y ha ricevuto. Tuttavia quest’idea non è sufficiente per delineare il concetto di responsabilità che il senso di colpa richiede; manca la parte più 11 Salvo nella sindrome dell’ansia sociale, e nella timidezza, che mi fa rifuggire dall’espormi e così mi conferma/rafforza la mia debolezza.

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importante del concetto di responsabilità, che non è semplicemente aver causato un certo effetto, ma richiede la singolare idea che “avrei potuto non farlo”: la vera attribuzione di responsabilità negli esseri umani consiste in questo costrutto ipotetico, un costrutto dell’irrealtà; io costruisco una valutazione del mondo confrontando ciò che è stato con ciò che non è stato. La colpa esiste soltanto in questo rapporto tra fatti e controfatti. Quindi devo avere il pensiero:

C4: avrei potuto non fare Az ; ovvero

C5: avrei potuto sapere/capire che Az provocava danno a Y Solo questo mi attribuisce veramente responsabilità.12

Per andare verso una emozione di colpa e non semplice sentirsi responsabile, bisogna aggiungere delle parti importanti che sono:

C6: Y soffre /soffrirà/potrebbe soffrire per il danno

Se rispetto a questa sofferenza che io ho provocato e avrei potuto evitare, vado in empatia allora comincio a sentirmi in colpa. Il pen- siero “avrei potuto non farlo” (C4) si riformula come “avrei dovuto non farlo”; non è più semplicemente un’ipotesi, un pensiero razionale “poteva essere diversamente”; sta diventando un auto-biasimo/rim- provero. E la credenza C5: “avrei potuto saperlo/pensarci”, diventa “avrei dovuto capirlo”.

Come abbiamo già detto altro punto fondamentale, è il pensiero che questo danno inferto, questa possibile sofferenza non sono meritati.

C7: il danno/la sofferenza non è giusto/meritato

Non era una sanzione, una giusta punizione, un pareggiamento che mi spettava. Ti senti in colpa se hai fatto più di quanto fosse paritario: ma se hai restituito pareggiato non ti senti in colpa. Il SdC sembra essere l’emozione guardiana dello lo scopo di “non essere causa/re- sponsabile, di danni, mali, sofferenze ingiuste”.

S1: non essere responsabile di sofferenze ingiuste

Una visione consolante dell’animo umano, e che chiarisce la natura morale di questo SdC.

12 Quando il danno è stato intenzionale (il danno l’ho fatto apposta), a maggior ragione avrei potuto non farlo … ; è stato una mia decisione/una scelta! Ma c’è una versione di questo pensiero di irrealtà (di questo avrei potuto non farlo) anche quando il danno è preterintenzionale, e si formula in un modo molto interessante: avrei potuto capirlo/ saperlo che dalla mia azione sarebbe conseguito un danno a y (C5). Se non c’era modo di saperlo non sono veramente responsabile, ma se io avrei potuto saperlo, allora sapendolo, avrei potuto evitarlo (C4).

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Questa configurazione mentale da luogo a una serie di impulsi (scopi attivati) molto interessanti.

S2: soccorrere/preoccuparsi per la vittima

Un impulso di aiuto: “Oddio! poveraccio! Che posso fare?”, che io chiamo anche preoccupazione per l’altro: “Aspetta, fammi sentire come sta. Fammi chiamare in ospedale…”. Siamo fortemente attivati in questa direzione. Come per un desiderio di riparazione. Intanto è una persecuzione, un sentimento fortemente ansiogeno. Il senso di colpa quando hai fatto del male a qualcuno è una forte ansia.

S3: desiderio/obbligo di espiare/pagare

Il senso di colpa non è la paura della punizione (come dicevano i behavioristi), ma addirittura quasi il desiderio della punizione. È chiaro che difronte alla punizione sono anche ansioso e preoccupato, ma la dinamica più eccezionale è questa. A parte “Delitto e castigo” di Dostoyevsky, questo “bisogno” è documentatissimo: i colpevoli che si sentono tali alla fine se ne “liberano” (della punizione e perse- cuzione interiore) confessando, consegnandosi o addirittura ucciden- dosi, perché pagare è un bisogno loro, interiore. Vi sono ad esempio condotte autolesionistiche (la ragazzina abusata che si vive come re- sponsabile si ferisce, è lei che si fa del male). Notevole l’ambiguità di questo stato d’animo: vi è un desiderio di espiare, di confessare, di pagare il fio fino al punto di farsi del male e assieme il timore di essere scoperti e della pena. 13

Altri impulsi vengono attivati nel senso di colpa, e sono impulsi molto interessanti; mi riferisco a un bellissimo desiderio umano, vera- mente pazzo, che è il desiderio di non averlo fatto.

S4: No averlo fatto; che non fosse successo

“ah se non l’avessi fatto … ah quanto vorrei non averlo fatto … ah potessi tornare in dietro!”. Chiamiamolo rimorso, rammarico. E’ uno scopo completamente irrazionale perché ovviamente il passato non è modificabile. Perché la mente umana si dà uno scopo che per 13 Si noti che la Gestalt (configurazione) di questo SdC in un certo senso contiene la pena: la grave perdita (di potere), danno dell’altro; non meritata; empatia; spinta soccorrevole. Ma questi pezzi nella nuova forma assumono connotazione psicologica diversa: la perdita di potere è un “danno” e di cui io sono responsabile; la spinta soccorrevole diventa “riparazione” e in parte pagamento del fio, manifestazione del mio rammarico, ecc.

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sua natura intrinseca è irraggiungibile? Giustamente il senso comune dice “è inutile piangere sul latte versato”, e quindi è irrazionale. Ma la verità psicologica è più complicata: non è affatto inutile questo pian- gere e questo desiderio impossibile: la funzione di proporsi uno scopo che per sua natura intrinseca è irraggiungibile e impossibile è sem- plicemente di “stare male”. Perché se è irraggiungibile è frustrato per definizione, ed ogni volta che ci penso provo frustrazione, dolore. A che serve questo? A fustigarsi e a ricordarsene la prossima volta; ad apprendere meglio: più ne soffro più è probabile che non ci ricaschi.

Il SdC ha un carattere persecutorio. Da un lato preoccupazione l’altro: “e come starà? Mio dio che posso fare?”; Dall’altro il non darsi pace per la meritata punizione e confessione: “devi pagarla, devi pa- reggiare”. E poi il rammarico: “Vorrei che non fosse successo”, ma non c’è rimedio, non puoi tornare in dietro.

Un altro scopo dovuto spesso proprio a questo rimorso, a questo rammarico è lo scopo del buon proposito:

S5: non lo farò più

“Non lo faccio più”. Tuttavia noi sappiamo che “le vie dell’inferno sono lastricate di buoni propositi”. E’ chiaro che ora e qui con lo stato mentale di adesso, oberato dai miei sensi di colpa, sono convinto che non lo faccio più: non posso intervenire sul passato, ma sul futuro si. Ma poi e lì (in una nuova circostanza) avrò altre emozioni e obiettivi attivati, avrò una scarsa memoria di questa situazione e quindi è pos- sibile che ci ricaschi. Diciamo tuttavia che più ci sono stato veramente male e più è probabile che me lo ricordi bene e non lo rifaccia.

I punti di parentela tra Pena/Compassione e SdC sono molto in- teressanti. Testimoniano per una nostra propensione all’equità; che ciascuno non abbia mali immeritati o meno di ciò che gli spetta ed è giusto; o non abbia beni immeritati, privilegi e fortune ingiuste. Se è così siamo spinti, verso il “poveretto”, la vittima, da impulsi di aiuto o riparazione, cioè di risollevare verso il giusto livello di “benessere”; viceversa, verso il privilegiato o il profittatore e danneggiatore siamo spinti da impulsi ostili, punitivi, vendicativi, e rivendicativi, .. cioè di riabbassamento dal non meritato al giusto. Per questo la spinta altru- istica sia della compassione e pietà che della colpa riparatrice è bloc- cata dal pensiero che il male dell/all’altro è giusto e dovuto (Walster et al. 1978).

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