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Testimonianze di emozioni animal

Il primo a rompere la tradizione cartesiana che negava pensieri ed emozioni agli animali fu proprio Darwin (1872), l’elemento principale che lo rendeva incredulo su una differenza netta tra la vita emotiva dell’uomo e quella degli animali erano le espressioni del corpo, so- prattutto del viso, in reazione ad emozioni. Egli comparò attentamente le espressioni di diversi animali e uomini quando provano emozioni, notando fortissime somiglianze. Le emozioni che aveva preso in con- siderazione erano suddivise in quelle da lui definite low spirits (ansia, tristezza), oppure high spirits (gioia, amore), e in aggiunta rabbia, di- sgusto e paura.

Ma il suo rimase uno studio isolato, non ne scaturì una ricerca ap- profondita né un’apertura all’idea che le emozioni fossero una carat- teristica degna di studi negli animali. Infatti successivamente il com- portamentismo, che diventò dagli inizi del secolo scorso la corrente dominante nella psicologia comparata, tornò ad emarginare le emo- zioni dalla ricerca zoologica, non più per motivi ontologici ma meto- dologici. Non veniva cioè negata in linea di principio la vita emotiva degli animali, come essenzialmente prerogativa solamente umana, no,

il punto è che non era una caratteristica osservabile in modo oggettivo, e pertanto che si poteva studiare scientificamente, tanto per gli animali non umani che per l’uomo stesso.

Occorre quindi un secolo dopo Darwin per arrivare, sotto la spinta di zoologi come Griffin (1994), a riconsiderare le emozioni come un campo di studi negli animali. Da allora vi sono stati tanti zoologi che nei loro studi sul campo hanno annotato comportamenti che tradiscono in modo chiaro stati emotivi. Molte di queste osservazioni possono sempre prestare il fianco ad obiezioni, in quanto si potrebbe avanzare il sospetto che siano più le convinzioni dei ricercatori ad impostare il resoconto di quanto hanno visto in termini di una evento emotivo, che prove oggettive, sistematiche e ripetibili del fatto.

Vi sono però un certo numero di testimonianze in cui i dati por- tano evidenze molto forti, e spiegarle senza far ricorso alle emozioni è proprio difficile. Una delle testimonianze più forti di emozione di tri- stezza si trova nella documentazione realizzata da Douglas-Hamilton, Bhalla, Wittemyer, and Vollrath (2006) su un gruppo di elefanti, du- rante l’agonia della matriarca Eleanor. Questa è avvenuta in un gruppo di elefanti che è stato studiato per dieci anni nel Samburu National Reserve in Kenya, c’era una anziana elefantessa, chiamata Eleanor of the First Ladies, che ad un certo punto non ce la faceva più a reg- gersi in piedi. Altri del suo gruppo le stavano vicino, e con le zampe e con la proboscide l’aiutavano a rimettersi in piedi. L’11 ottobre del 2003 morì e per diversi giorni vari elefanti del gruppo vennero, anche da chilometri di distanza, rimanendo per ore attorno alla defunta. In particolare una giovane elefantessa Grace of the Virtues, che l’a- veva aiutata in diversi momenti della sua agonia, ha continuato per giorni a trascorrere gran parte del proprio tempo accanto alla defunta. Misurazioni telemetriche e cronometrate sulla localizzazione e le atti- vità del gruppo hanno mostrato nettamente l’anomalia del comporta- mento rispetto alla normalità.

Per quanto riguarda le emozioni piacevoli, è noto che nutrirsi e riprodursi sono attività gratificanti per la maggior parte degli animali, però proprio perché si tratta delle due attività fondamentali per la so- pravvivenza degli individui e della specie, per cui è sempre difficile dire in quali animali i momenti in cui mangiano o fanno sesso produ- cano in loro sensazioni emotiva dello stesso tipo che in noi, o se piut-

tosto esista un motore comune a molti animali nel nutrirsi e riprodursi, in grado di assumere forma di emozione cosciente solamente in alcuni. Pertanto è più indicativa di un correlato emozionale la testimo- nianza di piacere da un’attività che sembrerebbe molto umana: il giocare. È un tipo particolare di attività che produce piacere, ma non direttamente legato a specifici stimoli sensoriali. È un’attività di solito molto faticosa, e in natura gli organismi tendono a sprecare sempre il meno possibile le loro energie, e quindi appare insolita. È stato stu- diato a fondo da Bekoff (1984; 2001), soprattutto con osservazioni di canidi: lupi, volpi e cani domestici. La caratteristica centrale di essere allo stesso tempo faticoso ed impegnativo, pur senza portare nessun vantaggio immediato, costituisce un dilemma che si presta a diverse interpretazioni evolutive, tra cui quella di facilitare le relazioni so- ciali, oppure di raffinare importanti schemi motori, tutte funzioni che potrebbe essere rimaste anche nell’uomo. Non è questo il punto di interesse qui, bensì il fatto che, appunto per non portare un vantaggio immediato, l’unico stimolo ad impegnarsi nel gioco è che, per uomini e animali, produce emozioni piacevoli. Nel giocare sia animali che esseri umani creano situazioni competitive, che sono finzioni di situa- zioni che nella realtà comportano impegno e pericoli, quali aggres- sione territoriale, predazione, lotta per supremazia sessuale, ma nel gioco con “regole” per evitare di farsi male. Tali regole sono state studiate a fondo da Bekoff (1984) nei canidi, e comprendono parti- colari segnali per far capire ai partecipanti che si è interessati a ini- ziare un certo gioco, e che lo si farà in modo leale, anche se poi tutte le mosse simuleranno molto le stesse impiegate in momenti dove si rischierebbe la vita. Vi sono poi modi di segnalare quando uno dei giocatori si è spinto un po’ troppo oltre, e il gioco rischia di superare la soglia da divertimento a reale contesa. Gli studi di Bekoff sono i più completi e raffinati, ma il gioco è stato accertato per tanti altri mammi- feri, soprattutto carnivori, nonché uccelli, soprattutto passeriformi, e si pensa anche rettili, solo che per loro è proprio difficile capire “a che gioco giocano”, ovvero quali sono i movimenti che sono per giocare e non per altro (Rial, Nicolau, A. Gamundí, Garau, & Esteban, 2008). In definitiva risulta difficile poter spiegare il fenomeno del gioco negli animali senza ipotizzare che siano coinvolte emozioni e attribuzioni di emozioni del genere di quelle umane.