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È la mente presupposta che rende “morale” le sue espression

Cristiano Castelfranch

1.1. È la mente presupposta che rende “morale” le sue espression

Ci possono essere “condotte morali” dal punto di vista di un os- servatore, funzionalmente equivalenti ma non “vere” cioè basate su valori, valutazioni, e giudizi morali (Miceli & Castelfranchi, 1992); non espressione della moralità del soggetto agente. E la questione non

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riguarda quanto queste siano dovute a sentimenti ed emozioni. Anche le emozioni infatti (come vedremo) sono dovute a valutazioni delle circostanze ed ascrizione di menti.

Ad esempio, un tipo di pena (§ 2.) e di colpa sono dovute alla cre- denza di un grave danno, mancanza, difficoltà nell’altro che può pro- durre una sua grave sofferenza e/o privazione; ma questo è un giudizio dovuto ad attribuzione di possibili scopi e interessi. Inoltre la sofferenza può non essere osservata e contagiata, ma solo potenziale; e talvolta neppure immaginata. Si pensi alla pena/compassione che suscita una giovane donna completamente ebete, sorridente e lieta nella sua stu- pidità: poverina, quante cose non avrà dalla vita, e di quante è priva, a cominciare dalla coscienza; che angoscia essere coscienti del proprio handicap (esattamente quello che l’altra non ha; ma spesso in nostro immedesimarsi è piuttosto “egocentrato”1). E queste emozioni sono poi

bloccate, ostacolate da un giudizio di equità/colpa: “ben gli sta; è giusto; se l’è cercata; è una punizione per il malfatto;…”; cioè richiedono per essere intrattenute un giudizio che la grave mancanza/danno non siano “giuste”, “meritate”. E’ questo che rende “morali” tali emozioni.2

La colpa richiede inoltre un giudizio di “responsabilità”, di libertà (“Avrebbe potuto non farlo”): attribuzione di intenzione o di non avere pensato ciò che era pensabile e si sarebbe “dovuto” pensare (§ 2).

È la mente morale che rende morale una data emozione o azione; cioè una mente che fonda quelle “manifestazioni” su determinati tipi di giudizi, scopi, e valori. Primo fra tutti – nella specie umana - il giu- dizio e valore di “equità”, “giusto”, o di conforme o meno a norme e comandamenti.

1.2 “Morali” non significa essere buoni, non fare del male Le emozioni e condotte morali non sono necessariamente benevo- lenti, prosociali, di aiuto; basate su empatia, immedesimazione, etc. Anche la indignazione ostile, la rabbia e l’impulso a punire, o lo sver- gognare e deridere, o la spinta a restituire il danno e pareggiare i conti (“occhio per occhio”) possono essere sentimenti ed atti morali e basati 1 Com-patiamo anche chi non patisce affatto.

2 Esiste forse anche un senso di pena/compassione generico, non morale; che non guarda al giusto o ingiusto, meritato o dovuto, ma solo alla sofferenza. Può farmi pena anche uno spietato assassino che so giustamente condannato.

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su principi etici. La ghigliottina o l’impiccagione pretendevano di avere ragioni morali e di giustizia; e tale era il vissuto (almeno quello consapevole e manifesto) delle tricoteuses. Se Caino uccide Abele per grave senso di ingiustizia il suo sentimento è morale, anche se il suo atto (violando un esplicito comandamento) è immorale. Se invece agisce per mera invidia sia il suo sentire che il suo agire sono immorali ed indegni.3 La vita sociale umana è fatta di atti cooperativi ma anche

e necessariamente di atti conflittuali e nocivi; siamo sia spontanea- mente uniti, solidali, gruppo, sia homo homini lupus.

Entrambi gli atteggiamenti possono essere moralmente o immo- ralmente basati, motivati, e per entrambi possono esserci appropriate emozioni.

Ad esempio la “strong reciprocity” - che è cruciale per l’instaurarsi e mantenersi di “altruismo reciproco” e dei “beni comuni” (Boyd et al. 2003) - richiede necessariamente spontanea (e altruistica verso il gruppo) sorveglianza della condotta propria e degli altri, e sentimenti negativi e atti sanzionatori, di biasimo, ostracismo, o danno.

Altra ingenuità pensare che sono benevolente verso un altro, ben disposto e adottivo dei suoi scopi, solo per empatia, per immedesi- mazione: solo se vedo me stesso nell’altro (quindi per una forma di egoismo? di pensare a me?). No; vi sono anche altri meccanismi che mi rendono ben disposto (senza un calcolato beneficio di ritorno) come la “reciprocazione” di un bene, fiducia, o atteggiamento amicale, che ho ricevuto; meccanismo sfruttato persino nel marketing (Cialdini, 2001). 1.3 E’ l’emotività che ci dota di moralità?

Possibili tesi sono:

A1) Tutti i nostri atti morali sono dovuti ad emozioni sociali. A2) Solo gli essere emotivi possono essere “morali”.

Anche se A1 fosse vero in linea di fatto, A2 non sequitur ed è per me falso.

Le emozioni sono forse necessarie (negli esseri viventi) ma certa- mente insufficienti per la moralità4 (e soprattutto sono non in contrap-

posizione con “cognitivo”).

3 Se agisce per “gelosia” la cosa è ambigua; gelosia intitolata o non intitolata? Ha diritto all’esclusiva o ad una parte tutta sua?

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Le risposte empatiche e commosse difronte alla sofferenza degli altri sono davvero molto precoci (infanti), ma non sono reazioni dav- vero “morali”. Sono un loro (parziale) equivalente funzionale, un precursore evolutivo, ed una base importante per la costruzione di condotte morali, basate anche su giudizi e su valori. Vi sono reazioni affettive ed impulsi legati ad una sorta di senso “innato” di giustizia o di solidarietà, ma la morale umana ha anche altri fondamenti in prin- cipi e valori (culturalmente plasmati), e non necessariamente mediati emozionalmente. Le emozioni morali evolute richiedono giudizi, va- lutazioni, credenze esplicite; ma non tutte le condotte morali si basano su emozioni in atto o anticipate. L’indifferenza emotiva agli altri è certo un grande ostacolo a condotte etiche, ma non totale.

La verità è:

B1) Solo un essere cognitivo può avere una morale e compiere atti morali, dovuti a giudizi e scelte.

Questa è la tesi che cercheremo di rendere evidente in questo lavoro; supportandola con l’analisi degli specifici ingredienti di rap- presentazioni epistemiche, motivazionali, e valoristiche sottostanti le emozioni morali umane.

Ritengo personalmente che anche un essere cognitivo anemotivo potrebbe avere principi morali e prendere decisioni per ragioni morali. Potremmo costruire intelligenze artificiali e robot con condotte morali (da loro scelte), senza necessariamente dotarli di emozioni. Quello che devono avere sono credenze, valori, scopi sugli altri, e scopi propri, e valutare la propria convenienza o sacrificio e costi. Non “proveranno” certo pena, colpa, indignazione, vergogna; e tuttavia potranno avere senso di giustizia ed agire in vista di esso; aiutare generosamente; punire chi lo merita; non imbrogliare, non rubare, ecc. sulla base di scelte fondate su valori e norme.

Vedremo ora la fondazione cognitiva (epistemico-motivazionale) di alcune emozioni morali e immorali; come la caratterizzazione di un atto come altruistico non possa che in termini di contenuti mentali, e quali sarebbero questi; cosa le norme pretenderebbero da noi (come mental attitudes) pere essere davvero “rispettate”.

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