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Ed ecco perché la discussione in ambito politico e acca demico sull’efficacia delle sanzioni si è ormai allargata

a un’analisi delle loro conseguenze politiche ed econo-

miche e del loro potenziale di trasformazione sia delle

alleanze internazionali sia del quadro interno di uno

specifico Paese.

Senza contare che ormai anche sanzioni unilaterali di un Paese verso l’altro si muovono su un terreno di ‘reciprocità’ che permette, per esempio, agli usa, di imporre sanzioni nei confronti di una banca euro- pea per presunte violazioni dell’embargo verso l’Iran perché la banca stessa opera anche negli usa ed è quindi soggetta alle leggi locali.

Mosse e contromosse

In un loro studio sulle sanzioni economiche, Gary Hufbauer e Jeffrey Schott ricordano che le prime documentate furono quelle di Pericle nel 432 a.C. contro la città di Megara in Grecia dopo il ratto di tre donne della sua compagna Aspasia. La carta dell’Organizzazione delle nazioni unite non parla esplicitamente di ‘sanzioni’, ma nell’articolo 41 si legge una definizione che molti considerano la più chiara su questo fronte. Ovvero che le sanzioni sono «misure che non comportano l’uso della forza ar- mata» e che possono comprendere «un’interruzione parziale o completa delle relazioni economiche». In altre parole le sanzioni, secondo la descrizione del sito specifico del governo australiano, «impongo- no restrizioni su attività legate a particolari Paesi, merci e servizi, ma anche entità e persone». Gli stessi australiani fanno un’importante distinzione fra le sanzioni specifiche approvate dal Consiglio di

sicurezza dell’onu – che riguardano Paesi (o sem- plicemente persone o entità domiciliate in questi Paesi) come la Repubblica Democratica del Congo, l’Eritrea, la Guinea Bissau, l’Iraq, il Sud Sudan e una mezza dozzina di altri, e quindi frutto di un accordo complessivo fra i membri del Consiglio stesso – e sanzioni autonome australiane verso Paesi come Birmania, la ex-Jugoslavia, Russia, Siria, Ucraina e Zimbabwe e un’area grigia di Paesi come Nord Corea, Iran e Libia, verso i quali sia il Consiglio di sicurezza che il governo australiano hanno sanzioni in atto, spesso di entità diversa. La differenza è significativa, perché le sanzioni unilaterali possono essere violate in modo palese da tutti gli altri Paesi del mondo, come nel caso dei rapporti fra Russia e Cina dopo le sanzioni occidentali verso Mosca. Se invece vengono violate quelle contro il governo eri- treo approvate dal Consiglio di sicurezza dell’onu, i Paesi (o gli individui) che lo fanno rischiano sanzioni e conseguenze in ambito onu, e quindi in genere non lo fanno in modo palese.

L’efficacia delle sanzioni non decise dall’onu è cer- tamente legata all’ampiezza della coalizione che le decide e approva. Per esempio, nel caso di quelle contro la Russia, oltre all’approvazione dell’Unione europea, anche Paesi come India, Cina, Giappone e Corea hanno accettato un tetto alle importazioni di greggio dall’Iran ai livello degli anni precedenti miliardi di dollari per le due principali banche russe

Sberbank e vtb.

Questo è l’esempio più palese di come le sanzio- ni economiche possano avere o meno l’effetto voluto: si pensi per esempio a quelle contro l’a- partheid in Sudafrica, ma anche a come la Cuba di Castro abbia beneficiato di aiuti sovietici e poi russi, ma anche venezuelani, in risposta alle sanzioni usa. Le sanzioni, infatti, spesso pro-

vocano un effetto contrario e possono cambiare gli equilibri strategici fra Paesi diversi. Effetto contrario non solo perché finiscono per rafforzare a livello domestico governi e leader nel mirino dei Paesi occidentali, come Russia e Iran in anni re- centi, ma perché il più delle volte ridisegnano gli equilibri internazionali in modo diametralmente opposto alle intenzioni di chi ha lanciato le san- zioni stesse.

Lettere

o persino inferiori. E la possibilità o meno di creare una coalizione al momento gioca un ruolo chiave nelle discussioni informali su possibili sanzioni usa contro aziende e singoli cinesi accusati di pirateria e spionaggio industriale online, la cui l’efficacia è molto legata all’eventuale ruolo dei Paesi europei. L’impatto sul pil e forme sostitutive di mancati introiti

In materia di impatto, gli economisti tedeschi Mat- thias Neuenkirch e Florian Neumeier hanno invece studiato l’effetto delle sanzioni sul prodotto interno lordo di 68 Paesi nel periodo 1976-2012, valutando quello delle sanzioni onu in un calo medio del pil del Paese in questione in misura del 2,3-3,5% an- nuo per circa un decennio, mentre per le sanzioni decise solo dagli usa l’effetto sul pil dura solo sette anni ed è pari mediamente a un calo dello 0,5- 0,9%. L’effetto non è comunque solo economico o geopolitico, ma spesso anche interno. Uno degli esempi più recenti viene dall’Africa e dalla Repub-

blica Democratica del Congo. Dominic Parker, un economista dell’Università del Wisconsin, ha ana- lizzato gli effetti di una regola inserita nella riforma bancaria americana che blocca gli investimenti in aree del mondo dove sono in corso scontri violenti. Nel caso del Congo questo si è tradotto in un bloc- co di fatto delle importazioni di stagno, tantalio e tungsteno dalle zone controllate da milizie ribelli. Parker sostiene che, al di là degli obiettivi della Legge Dodd-Frank, in questo caso la norma ha avuto come effetto un aumento degli attacchi contro la popola- zione civile nelle zone interessate. Parker afferma che le milizie in Congo, invece di spostare altrove le loro attività, visto il crollo degli introiti legati ai metalli e delle relative ‘tasse’ da loro imposte sulle esportazioni stesse, hanno scelto di ‘sostituire’ i mancati introiti attraverso attacchi e saccheggi ai danni della popolazione civile anche al di là delle zone controllate. Per l’economista americano que- sto è un esempio drammatico di come un ‘boicot- taggio sistematico’ di prodotti, merci o Paesi possa ottenere anche l’effetto contrario di quello voluto.

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