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Questi laboratori possono essere altresì considerati come nodi di reti, materiali e immateriali: dalla rete

Internet, che collega i fablab tra loro (su scala globale)

e con le relative comunità (su scala locale), alle reti di

utenti che condividono dati, conoscenze, esperienze,

idee, progetti.

Morandi, Di Vita

Grazie all’ausilio di tecnologie open hardware e programmi open source, essi possono stimolare lo sviluppo di nuove attività economiche e, potenzial- mente, di processi di innovazione sociale21.

La crescente diffusione dei fablab, così come di altri luoghi di lavoro innovativi, si lega all’affermazione di settori di mercato spesso ignorati dalle grandi imprese e può essere considerata come un segnale (debole, ma rappresentativo) di una rapida e strut- turale evoluzione dell’economia e della società con- temporanea verso nuove forme di collaborazione e condivisione, rese appunto possibili dalla diffusione di internet22. Seppure con un iniziale ritardo rispetto

agli Stati Uniti e ad altri Paesi europei, dove la cul- tura tecnologica è più radicata, spazi di coworking e makerspace si stanno diffondendo rapidamente pure in Italia, anche come reazione alla perdurante fase di crisi23. Su scala globale la loro diffusione si registra

sia nelle grandi città sia nei centri minori, attraverso iniziative indipendenti (per esempio promosse da as- sociazioni), o all’interno di scuole, università, istituti di ricerca, biblioteche, musei e aziende, perseguendo pertanto obiettivi differenti (hobby, start-up, servizi di supporto alle attività di enti e aziende).

Per quanto riguarda, in particolare, i laboratori di fabbricazione digitale nel territorio italiano, la loro diffusione si concentra prevalentemente nel Nord e nel Centro: sia nei centri urbani principali, a partire da Milano e dalla sua Città Metropolitana, sia nei territori dei distretti industriali, come il

Triveneto e l’Emilia Romagna. Al di là della recente espansione del fenomeno, i fablab del nostro Pae- se presentano però alcune specificità: prevalente- mente nascono da iniziative associative, anziché di enti pubblici o imprese private; restano attività economiche secondarie, integrative rispetto a fon- ti di reddito principali; si caratterizzano per una di- mensione più amatoriale che imprenditoriale, non- ché per attività di fabbricazione prevalentemente analogiche (di pezzi unici piuttosto che micro-se- riali) anziché digitali. Sebbene negli ultimi cinque anni la crescita dei fablab in Italia sia stata espo- nenziale, per molti la redditività è ancora scarsa e, finora, l’attività di sostentamento principale non è legata alla produzione, ma alle numerose attività di formazione che vengono spesso ospitate24.

L’accompagnamento dell’innovazione produttiva a Milano: tra iniziative indipendenti e politiche pubbliche

Come anticipato, la città di Milano rappresenta un campo privilegiato di osservazione del fenomeno indagato, quantitativamente ancora limitato, ma interessante dal punto di vista della mobilitazione di diversi attori. Integrando diversi dati e mappa- ture disponibili25, se gli spazi di coworking finora

censiti nel solo territorio comunale sono circa 7026,

i fablab aperti in città negli ultimi anni sono una decina27. Di questi però, soltanto cinque iniziano a

22 C. Anderson, «In the Next Industrial Revolution, Atoms Are the New Bits», Wired US, 25 gen-

naio 2010; J. Rifkin, La terza Rivoluzione Industriale. Come il potere laterale sta trasformando

l’energia, l’economia e il mondo, Mondadori, Milano 2011; Aa.Vv., «The third industrial revolution», The Economist, 21 aprile 2012.

23 M. Menichinelli, «Fab-Lab, siamo trai primi 3 al mondo. Ecco la mappa italiana dei Makers», Chefuturo, 13 marzo 2015.

24 M. Menichinelli, A. Ranellucci, Censimento dei laboratori…, cit.; M. Bianchini, F. Bombardi, A.

Carosi, S. Maffei, M. Menichinelli, Makers’ inquiry (Italia). Un’indagine sui maker italiani e sul

Make in Italy, Libraccio Editore, Milano 2015.

25 Comune di Milano, Settore innovazione economica, smart city e università; Fondazione Make

in Italy (http://www.makeinitaly.foundation/); Associazione Make in Italy (http://www.makeini- taly.org/associazione/); Politecnico di Milano, Scuola di Architettura e società, corso di Geografia economica e spazio urbano (docenti: Matteo Bolocan e Ilaria Mariotti).

26 Si veda il contributo di S. Di Vita, G. Limonta, I. Mariotti, «Una geografia degli spazi

di coworking a Milano», pubblicato sul presente numero di Imprese & Città.

27 FabLab Milano in Zona Bovisa, Miocugino in Zona Tortona (in realtà azienda di fabbricazione digita-

le), Opendot in via Tertulliano, The FabLab Make in Milano, in via Santa Marta, FabLabVentura aperto nel periodo del Salone del Mobile in zona Lambrate, WeMake in via Stefanardo da Vimercate, Yatta in viale Pasubio, FabLab Regolo (studio di prototipazione), Polifactory appena aperto all’interno degli spazi della Scuola del Design del Politecnico alla Bovisa, oltre a Co+Fabb a Sesto San Giovanni.

Nuovi processi di governo

mostrare un consolidamento e una caratterizzazio- ne delle attività28.

The FabLab Make in Milano è localizzato in via Santa Marta, in un settore del centro storico che ancora conserva alcune caratteristiche popolari (le Cinque Vie). Il fablab è integrato nella storica Società per l’incoraggiamento di arti e mestieri, contribuendo all’inserimento di tematiche for- mative fortemente innovative, ed è inserito in un tessuto urbano caratterizzato dalla presenza di attività artigianali (benché spesso ibridate da elementi di innovazione produttiva contempora- nea). È in tale tessuto di prossimità che questo fablab sembra aver trovato il suo ‘alimento’ (al- meno per una parte della sua attività), pur assu- mendo un ruolo culturale e facendo riferimento a una rete di contatti di scala cittadina.

In una zona che faceva parte della periferia sto- rica mista, oggi a ridosso di grandi interventi di trasformazione e rigenerazione urbana (Porta Nuova, Eataly, nuova sede della Fondazione Fel- trinelli, quartiere Isola), è localizzato Yatta, in un edificio di proprietà comunale, di cui è stata ottenuta l’assegnazione a uso gratuito per tre anni attraverso un bando pubblico. Nello spazio si alternano tempi dedicati alla formazione (corsi, workshop sull’utilizzo di attrezzature per la fab- bricazione digitale) con postazioni di coworking e attività culturali con un chiaro orientamento sociale, che si rivolgono a una comunità di utenti formata soprattutto attraverso relazioni perso- nali a scala cittadina e nazionale.

Appartengono invece alla periferia delle industrie di media dimensione Opendot e WeMake, due fablab nati da una comune iniziativa, ma che ora stanno sviluppando traiettorie individuali. Il primo si trova nel settore sud-est della città, intorno all’ex scalo ferroviario di Porta Romana, dove si stanno sviluppando vari interventi di rinnovamen- to urbano (a partire dalla recente apertura della nuova sede della Fondazione Prada). Opendot oc- cupa un edificio in origine industriale, poi sede di imprese artigianali che hanno via via virato verso

attività ‘creative’, e si caratterizza per una matri- ce interessante nell’ambito di un’associazione di quartiere (nil 28) che si proponeva di integrare attività di produzione e ricerca, manifestando una proiezione sociale nel contesto di prossimità, attualmente rivolta alle scuole. WeMake è invece localizzato nella parte nord dello stesso settore urbano, lungo l’asse metropolitano di viale Monza, riutilizzando un edificio produttivo in un tessuto di attività, in parte dismesse e in parte rinnovate, e sviluppando importanti relazioni di scambio e innovazione tecnologica di carattere prevalente- mente internazionale.

A poca distanza, nel territorio comunale di Se- sto San Giovanni (paradigma della città fabbrica fordista, da anni in completa trasformazione), si localizza infine Co+Fabb: un grande spazio di cowor- king, a cui si dovrebbe aggiungere presto un’area attrezzata per la produzione digitale e un insieme di attrezzature di supporto, da condividere tra gli utenti interni e gli utilizzatori degli altri ‘contenitori’ di attività che stanno gradualmente modificando il carattere produttivo della zona. Questa spiccata multifunzionalità sembra altresì caratterizzare an- che un’ultima iniziativa, di recente inaugurazione, ancora una volta nel tessuto artigianale e residen- ziale del settore sud-orientale della città: il nuovo Talent Garden Calabiana, che integra uno spazio di coworking (dotato di più di 400 postazioni) e un fablab con diversi servizi (caffetteria, piscina). I casi richiamati, che hanno origini di tipo preva- lentemente associativo, si localizzano in spazi di dimensione contenuta, ricavati attraverso l’a- deguamento e il riutilizzo di immobili esistenti. Se gli strumenti per la trasformazione dei grandi comparti ex industriali non sono utilizzati per supportare lo sviluppo di queste nuove forme di produzione e di consumo di beni e servizi, poten- zialmente in grado di innescare processi di rigene- razione urbana, alcune politiche del Comune di Mi- lano sono orientate a promuovere e a valorizzare le numerose iniziative in corso (spesso promettenti, ma al contempo deboli).

28 C. Morandi, C. Rabbiosi, «Can makers’ spaces be drivers of spatial and social change at the local

scale? Five case histories in Milan», paper presentato alla Regional Studies Association Annual

Morandi, Di Vita

Nonostante la costante riduzione delle risorse economiche disponibili causata (anche) dalla crisi, si nota comunque una discontinuità rispetto al passato.

Ci si riferisce in particolare alle politiche messe in campo dagli assessorati all’Urbanistica, edilizia privata e agricoltura e alle Politiche per il lavoro, sviluppo economico, università e ricerca. Per il primo, è importante l’attività di mappatura degli spazi (edifici e aree libere) in stato di grave degra- do e abbandono, localizzati in tutta la città, come esito della dismissione di attività e proprietà, sia pubbliche sia private. Una mappatura che si è ac- compagnata alla decisione di avviare un’attività di esplorazione progettuale per individuare alterna- tive sostenibili di riuso, anche per la realizzazione di spazi destinati alle nuove forme di lavoro, attra- verso la partnership con la Scuola di Architettura e società del Politecnico, nell’ambito del progetto didattico Ri-formare Milano. Per il secondo, invece, va innanzitutto rilevato il percorso Milano Smart City29, avviato nel 2013 in collaborazione con la

Camera di Commercio di Milano con l’obiettivo di promuovere uno sviluppo della città non solo tec- nologicamente intelligente, ma anche socialmente inclusivo. Se non può essere ignorato il rischio delle politiche di smartness urbana di tradursi in semplici slogan per le operazioni di marketing territoriale, questa prospettiva sembra allo stesso tempo in grado di alimentare processi di rigenerazione in parte alternativi (per contenuti e modalità di inter- vento) alle grandi trasformazioni che hanno segna-

to la fase più recente dello sviluppo urbano30.

Questa iniziativa di coordinamento ha portato all’ampia condivisione e all’approvazione delle Linee Guida per Milano Smart City (maggio 2014), nelle quali, in vari punti, si insiste sui temi della (ri)pro- gettazione di spazi urbani multifunzionali e della creazione di network relazionali a livello di quartie- re, di cui i makerspace possono rappresentare una possibile espressione. Analogamente, con l’ausilio di attori esperti, sono state elaborate e approvate le Linee di Indirizzo per Milano Sharing City (dicem- bre 2014), con l’obiettivo di incentivare lo sviluppo della sharing economy – per esempio, attraverso la diffusione di open data e open service, il reperi- mento di risorse dedicate, la messa a disposizione di spazi pubblici inutilizzati, l’elaborazione di nuovi strumenti di gestione e regolamentazione –, garan- tendo un ecosistema istituzionale favorevole allo sviluppo di un’economia (e di una società) non sol- tanto condivisa, ma anche regolata, inclusiva, equa e sostenibile31.

Altre attività sono poi state sperimentate con l’in- tenzione di fare di Milano un ‘laboratorio urbano’: dalla concessione di spazi appositamente dedicati, al sostegno economico a progetti e imprese. Da un lato, il Comune ha reso disponibili 12mila m2 di

superficie, distribuiti tra alcuni edifici abbandonati o sottoutilizzati di proprietà comunale, localizzati in diverse zone della città, i quali sono stati assegnati per alcuni anni attraverso appositi bandi a imprese e associazioni sulla base di progetti di innovazione produttiva e sociale: oltre alle attività creative che

29 Si rimanda al sito internet http://www.milanosmartcity.org.

30 S. Di Vita, «Il riposizionamento strategico delle città europee: dalla spettacolarizzazione dell’ur-

bano alla smart city. L’esperienza di Milano», Officina, n. 2, 2014.

31 A questo scopo, l’Assessorato ha ritenuto utile incentivare la cooperazione con le imprese, gli isti-

tuti di ricerca, le associazioni e i singoli cittadini, costituendo una rete di attori locali interessati alla promozione della sharing economy, individuati attraverso un avviso pubblico di selezione (genna- io-marzo 2015): 54 operatori e 36 esperti, invitati a partecipare al processo di policy making orienta- to a sostenere lo sviluppo dell’economia collaborativa (fonte: http://www.milanosmartcity.org).

Questo sistema di azioni che mirano al miglioramento

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