caso radicata temporaneamente in spazi di cowork-
ing più che in parchi scientifico-tecnologici.
Armondi
forzato il modello dell’incubatore per riflettere la peculiare storia urbana configurata da una forte dimensione manifatturiera e di design. Il Digital Manufacturing and Design Innovation Institute12
di Chicago è fondato su una articolata partnership pubblico-privata. Si tratta di un centro di ricerca e sviluppo realizzato sulla Goose Island in uno spazio di 9mila m2, con l’ambizioso programma di diven-
tare un importante hub della nuova manifattura digitale per la città e per il Paese.
Nella città di Detroit, va menzionato il Detroit Cre- ative Corridor Center13. Il dc3, un’iniziativa avanzata
da alcuni imprenditori congiuntamente al College for Creative Studies, si pone con un ruolo di facilitatore delle relazioni tra creativi, imprenditori e altri attori del settore. Complessivamente, il cluster creativo di Detroit comprende 200 imprese con 4mila addet- ti – come per esempio Artifact Makers Society, una comunità virtuale di collaborazione e condivisione per artigiani locali lanciata nel settembre del 2013. Il dc3, in partenariato con soggetti pubblici e privati, fornisce servizi di supporto all’economia creativa locale: oltre lo stigma di città in declino dell’industria automobilistica, l’obiettivo più ampio del dc3 è in- fatti il rinnovo dell’immagine urbana di Detroit come centro globale del design – con la predisposizione del Detroit Design Festival – e l’accompagnamento al riposizionamento creativo, per esempio attraverso il marchio ‘made in Detroit’, come sta avvenendo anche a San Francisco e a New York, in relazione al consoli- darsi dell’emergente movimento maker.
A New York, Brooklyn è il quartiere sede di due importanti hub con incubatori, entrambi storici industrial park, oggi in corso di riqualificazione ed espansione con l’evoluzione della manifattura leggera e digitale. Il primo, Brooklyn Navy Yard14,
un tempo tra i più vitali cantieri navali militari della città, è oggi un polo di sviluppo imprenditoriale di 75mila m2. Il secondo hub, New Lab15, a partire dal
2012 ha sviluppato un centro prototipi e di design
hi-tech, dove le micro imprese possono incubare la propria attività e condividere idee e attrezzature con altri soggetti. Mentre Navy Yard ospita preva- lentemente imprese del settore cinematografico, manifattura leggera e laboratori tessili e di arredo, New Lab si è specializzato sui prodotti di design, architettura, robotica avanzata, manifattura additi- va, biotecnologie. Inoltre, New Lab si sta ampliando ulteriormente su una superficie di circa 8mila m2,
con nuovi laboratori, spazi per mostre, workshop, eventi e spazi commerciali.
Negli Stati Uniti ci troviamo quindi di fronte a im- portanti progetti di riqualificazione urbana, che sembrano avvalersi della retorica della manifattura additiva come mero pretesto per interventi di in- tensa gentrificazione. In Europa, invece, la scala de- gli interventi, soprattutto di iniziativa privata – con l’interessante eccezione di Medialab Prado16, parte
del programma del Dipartimento Arti, sport e turi- smo della Municipalità di Madrid –, è senz’altro più ridotta, ma gli esempi di collaborazione tra makers, riparatori e fablab in spazi di coworking sono sem- pre più numerosi, tali da rendere ormai obsoleta la distinzione tra coworking e fablab.
La piattaforma Betahaus17 nella sede di Berlino,
oltre a spazi di coworking, mette insieme spazi per comunità maker di tipologie differenti (da hardware lab a sofisticati laboratori di carpenteria e falegna- meria tradizionale), con l’organizzazione di sessioni aperte. Allo stesso modo Garagelab18 è un fablab re-
alizzato congiuntamente alla sede di una comunità di riparatori della rete Repair Café19 nell’attico dello
spazio di coworking Garagebilk a Düsseldorf. Osservare i nuovi spazi della produzione e del la- voro. Cinque traiettorie di ricerca
Questo tentativo di lettura spaziale dei processi in corso da un lato risulta fondamentale per iniziare a capire come si stanno ridisegnando le geografie ur-
12 dmdii, http://dmdii.uilabs.org/. 13 dc3, http://detroitc3.com/). 14 http://brooklynnavyyard.org/. 15 http://newlab.com/about/. 16 http://medialab-prado.es. 17 http://www.betahaus.com/berlin/. 18 http://garage-lab.de/. 19 http://www.repaircafe.org.
Nuovi processi di governo
bane in relazione alle trasformazioni della spazialità delle produzioni, dall’altro è una chiave per indagare non tanto il nesso centro-periferia – ossia se siano ancora le città centrali i luoghi in cui si concentra l’in- novazione o se essa si produca altrove e con modalità e forme inedite –, piuttosto per mettere in evidenza come le geografie urbane delle produzioni si mani- festino attraverso articolazioni di sistemi di diversa scala, densità e sfumature della consueta separazio- ne tra spazi di vita e di lavoro e in relazione a processi di urbanizzazione con ritmi e geografie differenziate, così come enunciati da Harvey20.
Di seguito si avanzano cinque iniziali traiettorie di riflessione che possiamo evincere a partire dai casi considerati. Esse si legano alla profonda sfida culturale in corso per le economie urbane rappre- sentata dalla riconfigurazione dell’immaginario contemporaneo della produzione.
• La prima traiettoria prova a vedere i casi considerati come loosely coupled system21, relazioni economi-
co-sociali spazializzate lasche, orientate alla se- rendipity, all’innovazione sociale e alla condivisione produttiva, che intercettano e ritrasmettono, più o meno intenzionalmente, anche le dimensioni della cultura, della conoscenza, della tecnologia. • La seconda decifra i casi come pratiche di innova-
zione spaziale. Negli Stati Uniti i casi osservati, pur configurando interventi di riutilizzazione di estese aree industriali dismesse, si presentano come progetti ‘blockbuster’, che aspirano a spe- cializzare, anche incrementalmente, una certa area urbana. Gli esempi europei invece occupano
sovente, a una scala più minuta, edifici industriali o residenziali sottoutilizzati o dismessi dello spazio metropolitano22. Generalmente essi rinun-
ciano all’anonimato, con una presenza comunque discreta rispetto al proprio contesto urbano. La fusione degli spazi dell’abitare e del lavoro è sen- za dubbio l’espressione principale della pratica di ibridazione degli spazi. Qui un altro interrogativo riguarda il grado di risignificazione, di inerzia e/o le pratiche spaziali di metamorfosi attivate rispetto agli spazi di riuso, per comprendere se l’intensità dei processi di trasformazione è tale da stabilire discontinuità radicali.
• La terza traiettoria identifica le geografie delle nuove produzioni come sharing hubs, caratteriz- zati da una mixité di funzioni: coworking, cohou- sing, fablab, laboratori artigianali, ma anche centri di formazione e di mediazione culturale. • La quarta considera le varie esperienze in esame
come una popolazione di organizzazioni transcalari, che sostiene e condensa lavori/stili di vita di nuova generazione e pratiche non consuete nei tradizionali spazi di lavoro – tempi dilatati, condivisione infor- male, apertura a soggetti tradizionalmente esclusi, come i bambini, gli animali, gli anziani –, ma che ali- menta anche l’appartenenza fluida alle reti lunghe e alle dinamiche dello spazio-mondo.
• La quinta e ultima traiettoria prova a rappresen- tare i casi come ‘comunità di pratica’, in appa- renza prive di connotazioni conflittuali23, situate
selettivamente, in cerca di radicamento e di rappresentanza locale/istituzionale.
20 D. Harvey, «Cities or urbanization?», in N. Brenner (a cura di), Implosions/Explosions. Towards a study of planetary urbanization, Jovis Verlag GmbH, Berlino 2014.
21 K. Weick, «Educational Organizations as Loosely Coupled Systems», Administrative Science Quarterly, vol. 21, n. 1, 1976.
22 Le piattaforme di coworking e cohousing selezionano le proprie localizzazioni non solo entro la
città centrale, ma si orientano anche al riuso di borghi in contesti rurali, come il Mutinerie Village a due ore da Parigi (www.mutinerie.org/village).
23 Del resto, proprio le nuove forme dei processi di urbanizzazione contemporanea favoriscono l’oc-
cultamento degli squilibri territoriali e delle disuguaglianze. Sull’argomento si veda A. Calafati, «La costruzione dell’agenda urbana europea e italiana», in Id. (a cura di), Città tra sviluppo e declino, Donzelli, Roma 2014.