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Cosa si nasconde dietro il rilancio di questo termine? Possiamo individuare l’intreccio di tre fattori storic

principali: la crisi, la città, la tecnologia.

In primo luogo, non è possibile comprendere l’emer- gere del concetto di smart city senza metterlo in re- lazione con la crisi economica e, allo stesso tempo, politica, sociale e ambientale che esplode a partire dal 2008. Aumento della disoccupazione, disaf- fezione nei confronti delle istituzioni, incremento delle disuguaglianze sociali, nonché inquinamento e consumo delle risorse naturali, sono solo alcune

delle principali problematiche alla base del tema delle smart city. Problematiche che, in modo parti- colare, vengono messe in relazione con la vita urba- na, considerata emblema di un modello di sviluppo ormai insostenibile e, allo stesso tempo, portatrice di nuove possibilità di trasformazione.

Il secondo fattore vede, infatti, un reinvestimento, sia discorsivo sia pratico, delle città del pianeta. Se il tren-

Focus

tennio precedente, spinto dall’entusiasmo per l’avven- to della società dell’informazione6, aveva annunciato

la fine della città grazie ai processi di de-materializ- zazione e di sostituzione digitale7, a partire dal nuovo

millennio si torna a prestare maggior attenzione alla dimensione territoriale urbana quale cornice entro cui concentrare e radicare i processi di innovazione. Rie- merge l’importanza della città, della sua materialità, dei suoi attori, delle sue istituzioni e dei suoi processi: tutti fattori persi di vista in precedenza per il prevalere del processo di globalizzazione8.

Infine – e arriviamo così al terzo fattore – entrano in gioco le nuove tecnologie. Queste possono esse- re materiali, come un sistema di car sharing, oppu- re immateriali, come un social network; possono essere applicate sulla scala di un intero quartiere oppure essere discrete come un’applicazione per smartphone: in ogni caso, nuove possibilità tecno- logiche si aprono per le città. In particolare, la più grande trasformazione tecnologica è legata all’ac- cresciuta pervasività del codice binario nel tessuto urbano. Sensori e dispositivi mobili sempre più diffusi, per un verso, e piattaforme di condivisione di contenuti e dati, per un altro verso, costitui- scono i due volti di quella che è una vera e propria ‘città senziente’9: una città nella quale materiale e

immateriale si fondono sempre più strettamente grazie al linguaggio digitale.

Il vecchio e il nuovo

La domanda sorge a questo punto spontanea: che cos’è, dunque, una smart city? Come detto, a par- tire dal 2008, due tipologie di attori sostengono il rilancio del termine a livello globale. Da una parte abbiamo una serie di corporation strategicamente orientate a creare nuovi mercati per i propri prodotti e servizi tecnologici. Dall’altra parte, invece, tro-

viamo una serie di discorsi di tipo più istituzionale, mirati al sostegno nella creazione di nuovi mercati tecnologici attraverso l’infrastrutturazione innova- tiva di porzioni crescenti di tessuto urbano. Entrambe le visioni, per quanto tra loro non sovrap- ponibili, risultano accomunate da una concezione della smart city che possiamo definire ‘tecno-im- prenditoriale’10, dove la dimensione ‘tecno’ è da rife-

rirsi a una concezione determinista e utopista delle nuove tecnologie, ritenute capaci di risolvere di per sé i problemi urbani, mentre la dimensione ‘imprendito- riale’ – da non confondere con il mondo dell’impresa tout court – va riferita a una serie di modelli di busi- ness, dominanti nel trentennio precedente, orientati esclusivamente alla massimizzazione del profitto attraverso la creazione di un rapporto unilaterale tra imprese e città. La smart city tecno-imprenditoriale è la smart city disseminata di soluzioni tecnologiche calate dall’alto mediante accordi stretti tra venditori di tecnologie e amministratori urbani con il solo sco- po di dare visibilità alla città a livello locale, regionale, nazionale o, persino, internazionale proprio attra- verso l’adozione della soluzione ‘smart’ in voga al momento. Slegate tra loro e, soprattutto, slegate dal contesto urbano circostante, queste soluzioni riman- gono giustapposte, dando vita a quello che, con una felice espressione, il sindaco di Torino, Piero Fassino, ha definito ‘effetto presepe’.

Volgendo lo sguardo, tuttavia, è possibile intendere la smart city anche in un altro modo. Un processo di progressiva problematizzazione, infatti, investe il concetto così come presentato nella sua versione tecno-imprenditoriale. In Italia, per esempio, una visione di smart city che possiamo definire ‘abilitan- te’11 guadagna lentamente terreno a partire dal 2012,

sostenuta da una serie di reti inseritesi nel dibattito. Si pensi, per esempio, alla costituzione dell’Osservatorio nazionale smart city12 da parte dell’anci o al lancio di

6 A. Mattelart, Storia della società dell’informazione, Einaudi, Torino 2002. 7 S. Graham, S. Marvin, Città e comunicazione, Baskerville, Bologna 2002.

8 Le analisi di Saskia Sassen sulla città globale in un certo senso hanno anticipato questa con-

clusione. A tal proposito si veda S. Sassen, Le città nell’economia globale, il Mulino, Bologna 2010.

9 M. Shepard, Sentient City, mit Press, Cambridge (ma) 2011.

10 Mi permetto di rimandare a D. Lampugnani, «Questioning The Smart City: From The

Techno-entrepreneurial To The Intelligence-enabling», in G. Aiello, K. Oakley, M. Tarantino (Eds)

Communicating The City, Peter Lang Publishing, ny, di prossima pubblicazione. 11 Il riferimento è di nuovo a D. Lampugnani, «Questioning The Smart City...», cit. 12 http://osservatoriosmartcity.it/.

Lampugnani

Smart City Exhibition13, la principale manifestazione

italiana dedicata alle smart city, da parte di Forum pa14. Aprendo il dibattito a ulteriori attori rispetto a

quelli imprenditoriali o istituzionali, queste reti hanno permesso di ampliare la portata del termine, legan- dolo anche alla ricerca e alla sperimentazione di nuovi modelli di creazione di valore attraverso l’incontro tra il portato abilitante delle nuove tecnologie e l’intelligen- za collettiva generata a livello urbano15. Emblematica,

in questo senso, è la traiettoria del movimento degli open data16, orientata a creare nuovo valore sociale ed

economico dall’incontro tra l’apertura del patrimonio informativo urbano e la creatività di cittadini e civic hackers, capaci di valorizzare questa conoscenza me-

diante nuovi servizi e applicazioni; oppure il riemergere del paradigma della social innovation17, proteso alla

ricerca di una ‘terza via’ tra Stato e mercato per il sod- disfacimento di bisogni sociali attualmente disattesi; o, infine, il movimento della sharing economy18, nato

dall’incontro tra le inedite possibilità di connessione permesse dalle tecnologie digitali e nuove forme di produzione e di consumo condiviso.

Dove stiamo andando?

La sfida posta dal concetto di smart city appare, quindi, molto più ampia di quanto il suo attuale uso retorico e superficiale possano lasciare intendere.

13 http://www.smartcityexhibition.it/. 14 http://www.forumpa.it/.

15 Il concetto di ‘intelligenza collettiva urbana’, usato in modo polivalente nel dibattito italiano, fa

riferimento all’intelligenza di cui sono portatori gli smart citizens, cioè i cittadini attivi, sotto for- ma sia di conoscenze codificate sia di conoscenze tacite. Si veda P. Levy, L’intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano 2002.

16 Per un’introduzione al tema dei big data e degli open data in relazione allo sviluppo urbano si

rimanda a R. Kitchin, The Data Revolution, Sage, Londra 2014.

17 Benché siano numerosi gli approcci alla social innovation, per un’introduzione si veda R. Ali,

G. Mulgan, B. Sanders e S. Tucker, Social Innovation: What It Is, Why It Matters, How It Can Be

Accelerated, The Young Foundation, Londra 2007.

18 Per un approfondimento sul tema si rimanda a C.J. Fitzmaurice, J.B. Schor, «Collaborating and

Connecting: The Emergence of The Sharing Economy», in L. Reisch, J. Thogersen (Eds), Handbook on

Research on Sustainable Consumption, Edward-Elgar, Cheltenham, uk, di prossima pubblicazione. 19 T.P. Hughes, Networks of Power, Johns Hopkins University Press, Baltimora-Londra 1983.

Parlare di smart city significa, infatti, parlare del rap-

porto tra le nostre città e le innovazioni tecnologiche

che le stanno cambiando.

Se, da una parte, ciò significa riallacciarsi alle grandi trasformazioni tecnologiche e urbane della storia della modernità, dall’altra parte significa anche sa- per cogliere le novità che la nostra epoca presenta; novità legate non solo alle nuove tecnologie oggi disponibili, ma anche alle forme economiche, so- ciali, politiche e culturali attraverso cui queste sono incorporate e plasmate nelle nostre città.

In questo senso, può essere interessante riprendere l’insegnamento dello storico statunitense Thomas Hughes il quale, analizzando la genesi dei proces- si di elettrificazione urbana nella seconda metà

dell’Ottocento19, ha messo in evidenza il passaggio

di ogni sistema tecnologico della storia attraverso diverse fasi di sviluppo. In particolare, a una fase in cui diverse invenzioni e innovazioni convivono parallelamente in modo frammentato Hughes fa subentrare una fase di integrazione e convergenza, attraverso la quale il sistema acquista un momen- tum, cioè un’inerzia e una solidità, che gli consen- tono successivamente di plasmare socialmente e tecnologicamente un’intera epoca storica. Attualmente il termine smart city, più che un vero e proprio modello definito di città intelligente,

Focus

raccoglie una posta in gioco per il nostro futuro. La questione è, infatti, quella del rapporto tra le nuove tecnologie e le nostre città e, soprattutto, quella delle forme storiche che questo rapporto andrà ad assumere. Lo scenario attuale vede una moltepli- cità di forme innovative attraverso cui pensare, costruire e vivere le nostre città; forme che si pre- sentano in modo frammentato ma che, in futuro,

potrebbero integrarsi e consolidarsi, segnando così le nostre città e le nostre tecnologie negli anni a venire. Diventerà, di conseguenza, fondamentale saper discernere tra i discorsi e le pratiche delle no- stre smart city, evitando di riprodurre insostenibili modelli di creazione di valore e, viceversa, cercando di individuare e sostenere quelle forme in cui scor- giamo il futuro che vogliamo costruire.

SEGNALI DI FUTURO?

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