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za essere ancora terminata) e poi nelle numerose opere successive, ha sviluppato un pensiero sulla tecnologia d

cui vanno subito sottolineati l’originalità e l’interesse

1

.

Note

* Con la collaborazione di Riccardo Fanciullacci.

1 Cfr. B. Stiegler, La Technique et le temps, Galilée, Parigi 1994 (t. 1: La Faute d’Épiméthée); 1996

(t. 2: La Désorientation); 2001 (t. 3: Le Temps du cinéma et la Question du mal-être). In italiano sono state tradotte alcune altre importanti opere di Stiegler: Reincantare il mondo (ed. or. 2006), Orthotes, Napoli 2012; Prendersi cura. Della gioventù e delle generazioni (ed. or. 2008), Orthotes, Napoli 2014 (entrambi con ampie e articolate introduzioni di P. Vignola); Amare, amarsi, amarci (ed. or. 2003), Mimesis, Milano 2014, cui va aggiunta la tempestiva traduzione della sua seconda opera (ed. or. 1996), scritta con J. Derrida, Ecografie della televisione, Raffaello Cortina, Milano 1997.

Stiegler

di fronte come un mostro che mette a rischio la sua esistenza, Stiegler ha innanzitutto insistito sul fatto che si fraintende del tutto la condizione umana se si inquadra la tecnologia attraverso la categoria di mezzo. Una simile classificazione porta a immaginare che l’uomo sia un soggetto che era già pienamente se stesso prima di inventare e pa- droneggiare quel mezzo, e che ora debba difendere la sua autentica umanità dalla minaccia che quel mezzo è diventato. Per Stiegler, invece, la tecnolo- gia è intrinseca alla natura dell’uomo. Non si tratta solo del fatto che la tecnica ha offerto agli uomini le condizioni della loro sopravvivenza, ma anche del fatto, ben più profondo, che lo stesso sviluppo del pensiero umano è sempre condizionato e reso possibile dall’ambiente tecnico di volta in volta dato (sebbene, naturalmente, quello stesso pensiero, sviluppandosi, contribuisca al progresso delle tec- nologie). Un esempio in proposito è l’invenzione della scrittura: essa ha reso possibile l’elaborazione (e non solo l’espressione esteriore) del pensiero matematico. Ecco dunque la prima tesi: di epoca in epoca, il contesto tecnologico apre delle possibilità tanto al pensiero quanto all’agire umani. Sennon- ché, bisogna subito aggiungere, il contesto sociale definisce i modi in cui usare quelle possibilità, pri- vilegiandone alcuni a discapito di altri. Questi modi sono le forme di relazione sociale e le pratiche all’in- terno delle quali adoperiamo le risorse tecnologiche: per esempio, la stampa ha rivoluzionato la relazione umana con la tradizione e dunque anche il rapporto di trasmissione del sapere, allo stesso modo i con- servanti alimentari industriali hanno trasformato le pratiche del cibo.

In proposito, Stiegler ha dedicato una particolare attenzione all’analisi della trasformazione della so-

cialità dovuta allo sviluppo del sistema economico del capitalismo industriale e consumistico2. Questo

sistema è stato reso possibile da una serie di inven- zioni tecniche, ma non coincide con tale contesto tecnologico: è piuttosto un’interpretazione (Stiegler direbbe: un processo di individuazione psichica e collettiva) delle possibilità offerte da quel contesto. Tale interpretazione, tuttavia, poiché non ha come finalità principale lo sviluppo e il potenziamento della socialità, ha generato una civiltà che tende a distruggere le sue stesse condizioni di vita3. Una se-

rie di fenomeni, tra cui la crisi economica, ma anche la crescente depressione psichica tra gli adulti o il deficit di capacità d’attenzione dei bambini o, an- cora, la fortuna di ideologie reazionarie come quelle delle nuove destre, testimoniano della condizione patologica che caratterizza la nostra società4. Seb-

bene Stiegler non sia un pensatore apocalittico, la sua lucidità non gli permette di sottovalutare la si- tuazione. Lo sfruttamento delle tecnologie novecen- tesche dell’audio-visuale per produrre una società di consumatori ha radicalizzato il fenomeno, già studia- to da Karl Marx e da Max Weber, per cui la catena di montaggio distruggeva i savoir-faire artigiani: nel xx secolo, ciò che è stato distrutto in favore di un con- sumo standardizzato è il savoir-vivre, cioè la capacità di investire su ciò che non si può consumare (che sia l’arte o la ricerca) e la capacità di prendersi cura delle nuove generazioni5. L’energia del desiderio, invece di

essere coltivata in modo da dirigersi su ideali come questi che, proprio perché non li si può possedere o calcolare, restituiscono al desiderio la sua ampiezza, è stata dirottata, grazie al marketing mass-media- tico, su oggetti da consumare, rincorrendo i quali si disperde fino a lasciare dietro di sé solo la sfiducia e la depressione6.

2 Cfr. per esempio: B. Stiegler, Mécréance et Discrédit, Galilée, Parigi 2004 (t. 1: La Décadence des démocraties industrielles); 2006 (t. 2: Les Sociétés incontrôlables d’individus désaffectés); 2006 (t. 3; L’Esprit perdu du capitalisme).

3 Cfr. Id, Économie de l’hypermatériel et psychopouvoir, Mille et une nuits, Parigi 2008; Id, De la misère symbolique, Flammarion, Parigi 2013.

4 Cfr Id, Pharmacologie du Front National (seguito da: Vocabulaire d’Ars Industrialis di V. Petit),

Flammarion, Parigi 2013.

5 Cfr. Id, Pour une nouvelle critique de l’économie politique, Galilée, Parigi 2009; Id, Prendersi cura. Della gioventù e delle generazioni, cit.

6 Cfr. Id, Ce qui fait que la vie vaut la peine d’être vécue, de la pharmacologie, Flammarion, Parigi

2010. Sulla riflessione stiegleriana sul desiderio infinito e le condizioni sociali della sua esistenza, si può vedere anche R. Fanciullacci, «Nell’epoca della desublimazione», Attualità lacaniana, n. 18, 2014, pp. 83-103.

Focus

Per Stiegler, tuttavia, questo fosco quadro non dice tutta la verità sul nostro presente. So- prattutto a partire dagli ultimi decenni del xx secolo, l’invenzione di nuove tecnologie digitali basate sull’informatica ha aperto possibilità ine- dite. Naturalmente esiste, ed è anzi dominante, un’interpretazione di tali possibilità in vista di un potenziamento del capitalismo consumistico: pensiamo al controllo capillare delle nostre vite realizzato sfruttando le scie di informazioni che lasciamo navigando in rete con il computer, lo smartphone, il tablet, il navigatore e le altre risorse di cui disponiamo. Tuttavia, Stiegler e l’associazione che ha contribuito a fondare, Ars Industrialis, studiano – e cercano di promuo- vere – anche quelle altre interpretazioni di tali risorse, che si producono in alcuni contesti e che generano altre forme di socialità, cioè altre forme di relazione e altre pratiche di sapere o di invenzione artistica. Queste nuove risorse, per esempio quelle associate al cosiddetto web 2.0, consentono una maggiore interattività e fini- scono col ridistribuire sulle persone, che dunque non sono più semplici ‘utenti’, né tantomeno solo ‘consumatori’, quelle competenze che fino a qualche decennio fa erano di proprietà esclusiva dei professionisti, per esempio la categorizza- zione delle informazioni, attraverso forme di ‘tagging’ dal basso, e dunque l’organizzazione della memoria7. Al di là dell’uso di queste com-

petenze che è atteso e ricercato dalle compa- gnie che offrono quelle risorse, ce ne sono altri, all’insegna dello scambio, della circolazione e della contribuzione, che generano fenomeni nuovi e promettenti. Come emerge anche dalla seguente intervista, secondo Stiegler, non ci si può, però, limitare ad attendere speranzosi che questi fenomeni crescano da soli e invertano spontaneamente la dispersione di socialità che caratterizza la nostra civiltà, producendo un ‘re-incantamento del mondo’8, ma è necessario

coltivarli anche attraverso politiche istituzionali oculate e creative9.

Stefania Ferrando: Professor Stiegler, lei si propone

di pensare un rapporto tra l’uomo e l’ambiente, in particolar modo l’ambiente urbano, che sappia rico- noscere l’importanza e il valore della tecnica, senza ridurre quest’ultima a una forma di dominio o a un pericolo nei confronti di una presunta ‘vera natura’ dell’uomo. Nel suo legame intimo e costitutivo con la tecnica, che cos’è dunque l’umanità?

Bernard Stiegler: L’umanità è una forma di vita

che produce il proprio ambiente attraverso un processo che per molto tempo ho chiamato di ‘esteriorizzazione’, riprendendo la descrizione dell’etnologo e storico francese Leroi-Gourhan. Ora prediligo il termine di esosomatizzazione (exosomatisation), termine più preciso, per in- dicare il fatto che alcuni organi del corpo, organi che non sono corporei ma che sono indispensabili al funzionamento del corpo umano, sono posti al di fuori di esso. Per fare un esempio, possiamo pensare agli occhiali o alla penna, ma anche all’e- dificio in cui ci troviamo, alla strada che ho fatto per arrivare fin qui (anche Heidegger in Essere e tempo parla della strada come di ‘uno strumento per camminare’). Come dice bene Georges Can- guilhem, è importante capire che l’umanità è una forma di vita tecnica, per la quale gli organi artificiali sono assolutamente indispensabili. Senza questi organi, l’umanità non può soprav- vivere, salvo in condizioni eccezionali che non si realizzano mai e che possiamo solo immaginare. Anche Robinson Crusoe, pur nell’isolamento, può sopravvivere solo cercando di trasformare tecni- camente il suo ambiente.

S. F.: Eppure le trasformazioni tecniche possono

mettere a repentaglio l’organizzazione della vita col- lettiva, se non perfino l’esistenza umana …

B. S.: Sì, certo, e questo accade in primo luogo

perché il processo di esteriorizzazione, di esosoma- tizzazione, produce dei conflitti tra le forme di vita già esistenti, tra gli organi artificiali già costituiti

7 Cfr. B. Stiegler, A. Giffard, C. Faure, Pour en finir avec la mécroissance: quelques réflexions d’Ars industrialis, Flammarion, Parigi 2009.

8 Cfr. B. Stiegler, Reincantare il mondo…, cit.

9 Cfr. Id, La Télécratie contre la démocratie. Lettre ouvert aux représentants politiques, Flammarion,

Stiegler

e quelli che sopraggiungono in seguito. Possono essere dei conflitti fra tribù, come quelli descritti da Leroi-Gourahn, quando, nel 1943, studiando la ‘cel- lula etnica’, analizza il ruolo della tecnica10. Mostra

così che i conflitti tra le diverse tribù sono legati alle trasformazioni e alle invenzioni tecniche: l’adozione di una nuova tecnica consente a una certa tribù di avere un determinato vantaggio sulle altre, crea squilibri nei rapporti interni ed esterni, e quindi con- flitti. Oggi questo accade piuttosto tra le imprese, e meno frequentemente tra le tribù o gli stati. Se insisto su questo punto è perché bisogna riconosce- re che il sistema tecnico funziona perché gli organi artificiali dell’individuo psichico e gli organi artificiali sociali sono strutturalmente collettivi: si scambiano su un mercato e sono praticati in comune (proprio nelle città come spazio comune, talvolta detto an- che pubblico, benché non sia la stessa cosa). Quindi, per praticare questo scambio e questa condivisione bisogna trovare delle convenzioni, che sono definite dai sistemi sociali. Al contempo, quando una nuova tecnica appare, i sistemi sociali e le convenzioni precedenti si rivelano non più validi ed è così che si generano dei conflitti, ingaggiati in primo luogo da coloro che vivono in questi sistemi sociali e in essi hanno le loro abitudini e i loro ruoli. Il conflitto appare allora regolarmente. Nel dirlo, mi appoggio ai lavori di uno storico, Bertrand Gille: le sue ricerche andrebbero aggiornate, ma quel che conta è che Gil- le elabora una ricostruzione storica precisa di quel che chiama ‘i cambiamenti dei sistemi tecnici’11.

S. F.: In che cosa consistono i ‘cambiamenti dei si-

stemi tecnici’? Quali sono le loro caratteristiche nel mondo attuale?

B. S.: La esosomatizzazione, la produzione di orga-

ni artificiali necessari alla vita umana, produce un sistema, che per molto tempo resta locale. Progres- sivamente, nei millenni, si de-territorializza, diven- tando sempre più ampio. Al contempo, il sistema ha una durata gradualmente sempre più breve: il primo sistema tecnico, il chopper (uno strumento tecnico preistorico, costituito da un ciottolo di selce scheggiato) dura un milione di anni. Poi vi sono

sistemi che durano centinaia di migliaia di anni, decine di migliaia di anni, o migliaia di anni e così progressivamente: il sistema romano si prolunga per qualche centinaio di anni, la termodinamica e la macchina a vapore, settant’anni. Invece oggi il sistema tecnico si trasforma in permanenza, non è più stabile. È in questo quadro di instabilità che bisogna ragionare per pensare il nostro presente, chiedendosi: che cosa accade quando il sistema tecnico è in continua trasformazione? Penso che questa trasformazione continua (disruption), in cui oggi viviamo, generi dei problemi immensi.

S. F.: Nel quadro di un sistema tecnico così instabile,

che cosa significa allora pensare, e anche eventual- mente orientare, il rapporto tra l’umanità e le inno- vazioni tecniche che la costituiscono?

B. S.: In primo luogo, significa riconoscere che le

tensioni tra il sistema tecnico e il sistema sociale producono delle patologie. Faccio ricorso a questo termine non in senso strettamente medico: pos- sono esserci delle patologie sociali o religiose. La patologia è ciò che produce pathos, affetto e senso, e non ha un significato solo negativo: le patologie negative appaiono quando la tecnica circola nel corpo sociale come un veleno, perché la società non ha la capacità di elaborare una cura, di trovare un rimedio allo squilibrio che si è prodotto in seguito all’innovazione tecnica.

L’approccio che sviluppo insieme ad Ars Industrialis, l’associazione con cui lavoro, è allora un approccio che si potrebbe dire ‘farmacologico’. Consideriamo infatti le tecniche come pharmaka (che in greco significa tanto rimedio quanto veleno), e quindi la domanda che ci poniamo di volta in volta è: quale terapia mettere all’opera per evitare che lo sviluppo della tecnica distrugga i gruppi e quindi anche gli individui? Insisto su questo punto: tramite le te- rapie che cerchiamo di mettere in atto, si tenta di preservare dalla distruzione non solo gli individui, ma anche i gruppi, i collettivi, di cui questi fanno parte. Nonostante quel che dice l’ultra liberalismo libertario, che oggi è molto virulento e che si na- sconde dietro a fenomeni quali il transumanismo,

10 Si veda A. Leroi-Gouhran, Il gesto e la parola ii. La memoria e i ritmi (ed. or. 1964), Einaudi, Torino 1977. 11 Cfr. B. Gille, Histoire des téchniques, Gallimard, coll. La Pléiade, Parigi, 1978.

Focus

gli individui non vivono infatti senza un gruppo e, se si trovano isolati, come può accadere a causa delle patologie negative generate dalla riposta sociale alle trasformazioni tecniche, gli individui diventano folli e pericolosi. È proprio quello che stiamo vivendo oggi: il tasso di pericolo all’interno della vita collet- tiva cresce perché c’è una patologia, una disruption, nei processi di individuazione collettiva, di gestione sociale, delle nuove tecniche.

S. F.: Ma allora qual è il rapporto tra sistema tecnico

e sistema sociale? È solo il primo, il sistema tecnico, che sollecita e perturba il secondo, o vi è tra i due una circolarità più complessa, che ci può portare a riconoscere che, se certe innovazioni tecniche hanno fortuna e importanza, è anche perché all’interno del- la società vi sono delle attese in tal senso?

B. S.: Se seguiamo le tesi dell’etnologo Leroi-Gou-

rahn e del filosofo Gilbert Simondon, la tecnica evolve secondo delle logiche evolutive interne. Det- to altrimenti, nelle tecniche vi sono tendenze evo- lutive che sono molto antiche e prolungano all’inizio perfino delle tendenze biologiche: l’esosomatizza- zione, la creazione di organi artificiali al di fuori del corpo ma necessari alla vita, incarna inizialmente delle tendenze biologiche. Poco a poco però queste tendenze evolutive si emancipano dalla biologia per arrivare infine, come scrive Gilbert Simondon, al ‘processo di concretizzazione’, che si sviluppa se- condo una logica di evoluzione strettamente indu- striale e non biologica. Ci sono allora delle tendenze tecniche che possono esistere senza realizzarsi, per- ché il sistema sociale può contenere o rimuovere – almeno per un certo tempo – le tendenze che sono incompatibili con la sua configurazione esistente. Può anche accadere che alcune forze sociali cerchino di appropriarsi delle nuove tendenze tecniche per deviarle o sviarle: penso al caso di imprese come edf, primo produttore e fornitore di elettricità in Francia, che comprano delle imprese di energie rin- novabili per poi farle morire. Così, da un lato, com- prandole, sostengono una tendenza tecnica, ma, dall’altro, la recuperano per impedirle di svilupparsi. Secondo me, anche nel caso di Google e dei social network assistiamo allo stesso fenomeno: vi sono delle tendenze che nascono nei sistemi digitali e che non vengono propriamente distrutte, ma piut- tosto sviate da questi sistemi. È questo che mi fa

pensare alla possibilità di un web più partecipativo, capace di dare uno spazio a queste tendenze.

S. F.: Le tendenze tecniche possono essere sviate, ma

anche le attese della società possono essere tradite da un certo uso e da un certo rapporto con le inven- zioni tecniche del momento…

B. S.: Sì, dal lato della società vi sono delle attese:

si tratta di attese anche archetipiche, come quella di volare (è probabilmente dal paleolitico che l’uomo sogna di farlo). Poi vi sono attese strutturate dal desiderio dell’individuo e della società. E poi ci sono le domande sociali, irriducibili alle attese e suscitate dal marketing: da un secolo esistono degli esperti che sanno come intercettare le tendenze tecniche per orientarle in funzione di domande che loro stessi creano. La società, infatti, non ha mai delle domande: ha sempre e solo delle attese. Le faccio un esempio per illustrare la mia idea: un medico mi raccontava che molti pazienti si rivolgono ai dottori perché hanno male alla schiena. In realtà non hanno niente alla schiena, ma problemi di coppia, di lavoro, e la loro angoscia è come fissata e rivolta tutta alla colonna vertebrale e così hanno male alla schiena. Rivolgono ai medici una domanda – vorrebbero che si curasse loro la schiena – ma in realtà hanno un’attesa, che è tutt’altro. La loro domanda è allora solo un sintomo dietro al quale si nasconde l’attesa, irriducibile a ogni domanda.

S. F.: A partire da questo quadro, come potremmo

analizzare il sistema tecnico attuale? Quali attese vi riconosce?

B. S.: Penso che oggi stiano apparendo numerosi

fattori di rottura rispetto al sistema precedente, che ci chiedono di prendere in conto dimensioni molto diverse. Per lungo tempo, almeno per due- cento anni, la produzione industriale era fatta dai bureaux d’étude, dei laboratori che svolgevano le loro ricerche per lo sviluppo e l’organizzazione del lavoro. Si trattava di una struttura piramidale, o, come si dice, top-down. Da trent’anni, con l’appari- zione del web che, a differenza di Internet, riguarda tutti (Internet era all’inizio solo per pochi), si è crea- ta una situazione nuova: tutti possono comunicare in permanenza con tutti. Questa possibilità si è svi- luppata rapidamente: in dieci anni una parte molto

Stiegler

rilevante delle popolazioni dei Paesi industriali vi ha avuto accesso e oggi due miliardi di persone sono connesse in permanenza. In questo contesto è accaduto qualcosa di importante non solo nella produzione industriale, ma anche nell’economia che ha trasformato le relazioni tra l’interno e l’esterno dell’impresa: prima l’impresa elaborava proposte, prodotti, idee e iniziative dall’interno, a partire dal proprio ambiente, per usare un vocabolario bio- logico. Nel corso degli ultimi quindici anni, però, questa dinamica si è profondamente trasformata grazie all’open innovation: le imprese, soprattutto quelle che lo fanno sistematicamente, sviluppano la produzione e l’ideazione a partire da un rapporto di collaborazione stretto e sempre più necessario con il loro ambiente. Questo ambiente, che sia la città o il territorio, diventa quindi in qualche modo prescrittivo per le imprese, che a loro volta sanno approfittarne. Così un tale ambiente diventa reti- colare e, attraverso questa messa in rete (reticu- lation), diventa sempre più possibile creare delle cooperazioni organiche tra gli attori del territorio – imprenditori, clienti, ricercatori e molte altre figure. Ma un ambiente umano in cui sia possibile questa reticolazione cambia di natura: vi si aprono possibi- lità inattese di produzione di intelligenza, un’intel- ligenza relazionale che si sviluppa e rende possibile nuove esperienze.

S. F.: Quali sono le conseguenze sul mondo del lavoro? B. S.: Con la reticolazione e soprattutto con la digi-

talizzazione, i modi di produzione, la distribuzione, la logistica e il marketing sono intimamente stra- volti. E questo innanzi tutto perché ci troviamo in una forma nuova di economia, la data economy, in cui sempre più valore è prodotto spontaneamen- te dall’ambiente reticolare: i data e i big data, il sistema che permette di utilizzarli, consentono di estrarre del valore senza costi. Si verifica allora un cambiamento importante, che è in primo luogo un mutamento in termini di lavoro. Assistiamo alla scomparsa del lavoro e di impieghi, e non sempli- cemente di lavori di manutenzione o di trasporto, ma anche di impieghi legati a professioni mediche,

giuridiche o all’ingegneria. Questa trasformazione si accompagna a un aumento inaudito della robotizza- zione. Sto lavorando molto su questa problematica,

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