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Se i fablab, per esempio, hanno bisogno di ospitare attrezzature avanzate in spazi non necessariamente ampi ma in grado di adattarsi al mutare delle tecno- logie, in maniera simile molti ambienti destinati alla fruizione e/o produzione di contenuti culturali si di- stinguono per la compresenza e l’ibridazione di funzio- ni differenti (somministrazione o vendita di prodotti, produzione, laboratori, corsi ed esposizioni), richie- dendo una altrettanto marcata flessibilità spaziale e capacità di adattarsi a usi mutevoli. La nuova sede di Eataly a Milano è un buon esempio di questo tipo di commistione, anche se non certamente l’unico11.
Condizioni di partenza e localizzazioni: dismissio- ni, accessibilità, ai margini
La relazione ‘innovazione-spazio’ può essere os- servata anche alla scala urbana. In alcuni casi si
possono riconoscere alcune localizzazioni ricorrenti di tali attività innovative e, guardando da vicino, altrettanto ricorrenti risultano anche alcune condi- zioni di partenza. Il caso di Milano fornisce evidenze interessanti nell’ambito delle industrie creative e culturali. I quartieri che negli ultimi anni si sono affermati come ‘creativi’, spesso sostenuti dagli usi temporanei durante eventi come il Fuorisalone, hanno in comune alcune caratteristiche: si tratta di aree semi-centrali, dotate di una buona accessi- bilità con i mezzi pubblici, hanno un passato indu- striale caratterizzato da edifici produttivi di medie dimensioni che convive facilmente in un tessuto urbano misto con una percentuale di residenza e di terziario. È il caso di spazi produttivi come Su- perstudio Più in Zona Tortona che, fin dalla metà degli anni ottanta, ha rappresentato un’importante innovazione a Milano per il tipo di attività condotta
Bruzzese
(sperimentale, ibrida, temporanea) e ha avuto un ruolo di apripista per trasformazioni analoghe nelle stesse Zone12.
L’uso di edifici produttivi abbandonati o sottouti- lizzati per questo tipo di attività è diventato un fe- nomeno ricorrente per diversi motivi: per la grande disponibilità di queste aree a seguito dei processi di dismissione, per le difficoltà del mercato di far partire operazioni di recupero più consistenti, per gli investimenti relativamente contenuti necessari a insediare tali attività, e ancora, per il successo che un certo immaginario o una sorta di estetica dell’ex-industriale ha avuto in alcuni settori, tale per cui l’accostamento start-up/aree dismesse/creativi- tà riscuote successo. È il caso di lx Factory a Lisbo-
na, un’area industriale di 23mila m2 ad Alcântara –
zona semi-marginale della città, alle spalle del fiume Tejo, situata sotto il Ponte della Rivoluzione, sede nel passato di importanti aziende13 –, che dal 2008
ha subìto un processo di riconversione come hub culturale e creativo, coworking e sede di start-up, proprio in virtù del fatto che un recupero tradizio- nale non appariva all’operatore né economicamente sostenibile né, alla luce dei fatti, così interessante. Il risultato è un mix di imprenditoria privata più o meno innovativa che ha raccolto l’invito a insediarsi lì, spazi commerciali, librerie e bar, in cui l’estetica da centro sociale, luogo creativo e spazio dismesso recuperato con poco è il tratto distintivo, comune a diverse esperienze analoghe.
12 A. Bruzzese, Addensamenti creativi, trasformazioni urbane e Fuorisalone, Maggioli editore,
Santarcangelo di Romagna 2015.
13 Tra cui la Companhia de Fiação e Tecidos Lisbonense e la Gráfica Mirandela. Informazioni sul
sito internet www.lxfactory.com. FIGURA 2 - lx Factory a Lisbona
Nuovi processi di governo
Processi di addensamento e concentrazione: il ruolo della prossimità e del branding
Sebbene le mappe della localizzazione di moda e de- sign a Milano restituiscano una situazione apparen- temente diffusa sul territorio comunale, alcune Zone cittadine emergono per la maggiore concentrazione di attività con un’alta reputazione o perché sono in grado più di altre di mobilitare interessi e attirare attenzione. In altri termini, alcune attività, al di là del
loro numero, riescono con maggiore efficacia a carat- terizzare un contesto urbano e a rendere più visibile la propria presenza, spesso grazie anche a fattori eterogenei che vanno dal tipo di network in cui sono inserite, alla scala internazionale in cui operano, alle strategie di comunicazione che adottano. Questi fattori hanno contribuito non solo ad alimentare la reputazione di certe attività, ma anche a favorire pro- cessi di ‘addensamento’ di attività economiche simili, rimarcando i vantaggi della prossimità fisica.
14 P. Cook, L. Lazzaretti (Eds), Creative Cities, Cultural Clusters and Local Economic Development,
Edward Elgar Publishing, Northampton 2008.
15 M. Storper , A.J. Venables, «Buzz: Face-To-Face Contact and the Urban Economy», Journal of Economic Geography, vol. 4, n. 4, 2004, pp. 351-370.
16 Si veda W. Santagata, «Cultural Districts, Properthy Rights and Sustainable Economic Growth», International Journal of Urban and Regional Research, vol. 26, n. 1, 2002, pp. 9-23; G. Ferilli, P.L.
Sacco, Il distretto culturale evoluto nell’economia post-industriale, Working Paper, n. 4, dadi, iuav, Venezia 2006.
17 J. Jansson, D. Power, «Fashioning a Global City: Global city brand channels in the Fashion and
Design industries», Regional Studies, vol. 44, n. 7, 2010, pp. 889-904. FIGURA 3 - Mappa moda e design a Milano
Fonte: A. Bruzzese, Addensamenti creativi, trasformazioni urbane e Fuorisalone, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna 2015
La letteratura sui cluster creativi ha proposto diver- se chiavi di lettura per comprendere il fenomeno14:
dalla rilevanza di una certa atmosfera locale15, a
quella delle logiche distrettuali tra differenti fi- liere16, finanche al ruolo giocato da spoke persons
Bruzzese
Nel caso delle industrie creative e culturali milanesi, per esempio, la concentrazione in alcune parti della città è dovuta, in primo luogo, a un tessuto urbano non ‘saturo’, disponibile alla trasformazione e dun- que capace di accogliere – dopo il primo intervento pioniere – altre esperienze analoghe; in secondo luogo, a una condizione di networking che in molti casi ha favorito l’arrivo di soggetti appartenenti alla stessa rete e con profili simili; in terzo luogo, alla capacità di fare della prossimità fisica un veicolo per azioni di marketing urbano volto a promuovere e a comunicare un’area, un ambito, e ad attrarre ulte- riori soggetti.
A Milano tale addensamento è riconoscibile ad almeno tre differenti scale, ciascuna delle quali consente di evidenziare differenti ruoli giocati dalla prossimità fisica tra attività.
La prima scala è quella che coinvolge il quartiere o la Zona: i casi più noti e consolidati sono quelli di Zona Tortona e Ventura Lambrate. Qui, il successo dei progetti pionieri (ex Faema a Lambrate e Su- perstudio Più in Zona Tortona) – nel contesto di un generale ripensamento dell’offerta di spazi di produzione, integrati a spazi espositivi, residenziali e con una forte propensione agli usi temporanei – ha attirato altri attori e ha avviato campagne di promozione legate al Fuorisalone che negli ultimi anni hanno dato importanti risultati18. In questi
casi, il valore della prossimità fisica delle attività, che si concentrano in una o due strade contigue, si manifesta soprattutto in due aspetti, che si sono
reciprocamente influenzati nel tempo: le attività di promozione e di branding alla scala della Zona (e non della singola attività), e gli interventi di re- cupero di diversi manufatti che complessivamente hanno avviato un processo di rigenerazione urbana, spesso con effetti sui valori immobiliari dell’area. Una seconda scala di riferimento, in cui il valore della prossimità è visibile, è quella del recinto indu- striale di medie dimensioni. Milano fornisce diversi esempi di addensamenti di industrie creative in questi contesti. Mi limito in questa sede a citarne due, opposti per genesi e obiettivi. Il primo riguarda il recinto industriale dismesso della Safa, azienda produttrice di batterie da trazione, in via Tertulliano e via Cadolini. Qui la concentrazione di attività creative e la loro prossimità sono l’esito di un processo quasi informale e non pianificato di sostituzione delle atti- vità dismesse, dapprima da parte di una serie di pic- cole botteghe (fabbri, vetrai, artigiani e falegnami, alcuni dei quali tuttora presenti e attivi), poi dagli anni Duemila – grazie al passaparola tra soggetti si- mili – da parte di altre attività come studi di profes- sionisti, architetti, designer, studi di comunicazione, danzatori ecc. Il secondo esempio è rappresentato dai Frigoriferi Milanesi, dove la prossimità tra atti- vità analoghe, non è ‘accaduta’ per le condizioni fa- vorevoli, ma è l’obiettivo ricercato dall’operatore con la consapevolezza/auspicio che possa generare si- nergie e collaborazioni; una vicinanza gestita quindi da un soggetto che fa da regia per la costruzione di una sorta di hub creativo.
18 Dati e riflessioni in proposito si trovano in A. Bruzzese, Addensamenti creativi…, cit.