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I distretti biologic

Il biodistretto come strumento di sviluppo territoriale

5. I distretti biologic

Il termine distretto biologico (DB) compare per la prima volta nel Piano nazionale per l’agricoltura biologica del 2005 e nel 2007, in occasione della discussione del disegno di legge sull’agricoltura biologica, il tema della istituzione dei DB quali strumenti per il miglioramento della competitività del settore biologico italiano è stato introdotto nel dibattito scientifico e culturale

nazionale (FRANCO E PANCINO,2015;RRN2017).

Da quel momento l’associazione tra il termine ‘distretto’ e l’agricoltura biologica viene proposta con grande frequenza, e con declinazioni e significati anche molto differenti. È dunque opportuno riflettere sul significato del ‘distretto biologico’ e su come questo si collochi rispetto alle varie interpretazioni ed esperienze dei distretti in agricoltura.

Senza dubbio il concetto di DB si pone in parziale continuità sia con il distretto agroalimentare che con il distretto rurale. La continuità con il primo va identificata nella focalizzazione sulla produzione, sia pure seguendo una logica di modalità di gestione del processo produttivo (metodo biologico) piuttosto che di tipologia di prodotto; forte la connessione anche con il distretto agroalimentare di qualità del Dlgs 228/2001 considerando il particolare regime di qualità UE per i prodotti da agricoltura biologica.

La continuità con il distretto rurale deriva invece dalla consapevolezza di una relazione di equilibrio con il sistema delle risorse del territorio che il metodo biologico consente, e dunque da una idea di tutela dell’agroambiente che a sua volta può divenire più facilmente ‘contenitore’ di altre attività economiche in special modo legate ai servizi alla persona, ma anche luogo di vita più gradevole per i lavoratori e gli abitanti.

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L’adozione di una logica prossima al distretto rurale è di particolare interesse, alla luce della letteratura e delle esperienze in atto. Il DB offre infatti l’opportunità di radicare il biologico dandone una interpretazione territoriale, e allo stesso tempo di «dare identità» a territori distrettuali. Il passaggio da una dimensione settoriale e una visione territoriale risponde anche all’esigenza di sfuggire alla banalizzazione e convenzionalizzazione dell’agricoltura biologica, sempre più spesso interpretata come una semplice tecnica produttiva tra le altre che incorpora gli stessi interessi, rapporti di potere e (dis)valori del sistema

agroalimentare industriale e globalizzato (GUTHMAN, 2004; LOCKIE E LIONS,

2006;DARHOUFER,2010).

Al momento il DB non è normativamente definito né regolato, con la sola eccezione di Liguria e Sardegna che lo hanno introdotto all’interno delle proprie leggi regionali in materia di agricoltura biologica e di qualità. Nonostante questo, secondo uno studio della Rete Rurale Nazionale (RRN, 2017) al febbraio 2017 esistevano in Italia 26 DB, alcuni già costituiti e altri rappresentati da un comitato promotore che stava promuovendone la

creazione. I DB presenti sono riconducibili a tre tipologie (RRN,2017):

1. I DB promossi da AIAB (Associazione italiana per l’agricoltura biologica) con il termine ‘biodistretti’, i quali sulla base di un disciplinare possono utilizzare un marchio distintivo (www.biodistretto.net). In questo caso il biodistretto è definito come “area geografica naturalmente vocata al biologico dove agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni stringono un accordo per la gestione sostenibile delle risorse, partendo proprio dal modello biologico di produzione e consumo”. Il DB e la promozione dei prodotti bio sono visti come strumento per il pieno sviluppo delle potenzialità economiche, sociali e culturali del territorio, da valorizzare mediante politiche locali orientate alla salvaguardia dell’ambiente, delle tradizioni e dei saperi locali;

2. I DB promossi dall’associazione di Comuni ‘Città del Bio’, la quale intende promuovere il biodistretto come “strumento innovativo per una governance territoriale sostenibile”. Grazie al biodistretto “i legami attivati tra amministrazioni pubbliche, aziende, associazioni e consumatori consentono l’attuazione e la promozione di modalità di

gestione integrata delle risorse locali, potenziando le forme di produzione e

utilizzo delle stesse in un’ottica di sostenibilità e di valorizzazione delle autenticità” (http://www.cittadelbio.it/);

3. DB nati da iniziative locali autogovernate, di solito nate da un comitato promotore espressione del mondo produttivo locale, di

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consumatori e di istituzioni locali. Tra queste troviamo i DB del Montalbano e del Casentino.

Tab. 2 - Distretti biologici per anno di costituzione e soggetto promotore.

Secondo lo studio della RRN (2017) i DB sono realtà molto diversificate, a partire anche dal peso che la superficie agricola certificata come bio assume sulla SAU totale (in alcuni casi nulla o prossima allo zero). In questi casi è evidente che il DB non rappresenta un riconoscimento o presa d’atto di una realtà esistente e consolidata, ma piuttosto esprime una necessità e un progetto.

Un’altra importante differenza riguarda la modalità di attivazione del percorso per il DB. In alcuni casi si registra una procedura di Identificazione di tipo top-down, basata spesso sull’impiego di set di indicatori che individuano le vocazionalità di un’area e la rendono eligibile come DB; su questa base è possibile ‘attivare’ il territorio mediante processi di informazione, animazione e supporto agli stakeholder locali, pubblici e/o privati, per l’elaborazione di una strategia di distretto. All’opposto si registrano processi di tipo bottom-up, dove

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una collettività di attori locali (talvolta anche pubblici, in particolare amministrazioni comunali) avvia una dinamica di tipo auto-organizzato allo scopo di promuovere una determinata visione dello sviluppo del territorio, talvolta anche in contrasto con altre visioni, basata sulla sostenibilità dei modelli produttivi agricoli ma talvolta allargata alla valorizzazione di insiemi più ampi di risorse territoriali.

Tra le possibili finalità e funzioni del DB possono essere identificate le seguenti, combinabili in misura variabile all’interno di una ‘strategia di distretto’:

1. Funzioni di promozione del metodo biologico tra i produttori dell’area, anche erogando servizi di supporto alla produzione e/o alla certificazione dei prodotti, e favorendo l’accesso a misure e strumenti all’interno dei Piani regionali di sviluppo rurale (dagli aiuti all’introduzione e mantenimento del metodo biologico, ai progetti integrati di filiera e alle varie misure di cooperazione tra produttori); 2. Funzioni di branding territoriale, in modo da rendere riconoscibile all’esterno il DB e i suoi prodotti, associandoli a un luogo di produzione particolare (nei limiti previsti dalle disposizioni normative sulla segnalazione dell’origine dei prodotti agroalimentari) e sottraendoli così a una concorrenza sempre più forte all’interno dello stesso comparto biologico. Il brand del DB può essere esteso ai servizi offerti sul territorio, in particolare di fruizione turistica, nella logica di creazione di

un “paniere integrato di beni e servizi” (PECQUER, 2001) da offrire a un

consumatore che sia non solo acquirente a distanza dei beni prodotti, ma anche visitatore del territorio. La funzione di branding dovrebbe promuovere dunque la creazione di standard condivisi tra le imprese del territorio;

3. Funzioni di coordinamento della produzione e di organizzazione dell’offerta bio locale, in modo da favorire il raccordo con gli acquirenti e il consumo locale secondo modelli di filiera corta. In questo senso un aspetto di grande importanza è il raccordo con le mense e il sistema di public

procurement;

4. Funzioni di governance territoriale, il che implica uno shift rispetto alle finalità e funzioni precedenti, in quanto il DB ambisce in questo caso a divenire il modello di sviluppo per l’intero territorio rurale, esercitando funzioni di programmazione strategica e di territorializzazione ma anche disegno di strumenti di intervento ad hoc.

Il prerequisito per l’assunzione di questa categoria di funzioni è una forte presa di coscienza da parte di una massa critica di operatori locali, sia imprese che istituzioni e abitanti, circa la necessità di una transizione verso un modello più sostenibile e multifunzionale di cui il biologico è elemento portante.

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Una recente, importante novità è suscettibile di orientare il futuro dei DB nel nostro Paese. La Camera dei deputati in materia di sviluppo e competitività della produzione agricola e agroalimentare e dell’acquacoltura effettuate con metodo biologico, ha approvato il 2.5.2017 il Disegno di legge ora trasmesso al Senato per l’approvazione definitiva. Il testo prevede (art. 10) la possibilità di costituire i DB, intesi come sistemi produttivi locali, anche a carattere interprovinciale o interregionale, nei quali sia significativa la produzione con metodo biologico (pur senza porre soglie quantitative) e con metodologie colturali locali nel rispetto dei criteri della sostenibilità ambientale, ma caratterizzati anche da un’integrazione tra attività agricole ed altre attività economiche e per la presenza di aree paesaggistiche rilevanti. Possono partecipare ai DB gli enti locali che adottano politiche di tutela delle produzioni biologiche, di difesa dell’ambiente, di conservazione del suolo agricolo e di difesa della biodiversità. Ai distretti biologici verrebbero assegnate le seguenti finalità:

 promuovere l’uso sostenibile delle risorse naturali e locali nei processi produttivi agricoli, finalizzato alla tutela degli ecosistemi;

 favorire un approccio territoriale, promuovendo la coesione e la partecipazione di tutti i soggetti economici e sociali con l’obiettivo di perseguire uno sviluppo attento alla conservazione delle risorse, impiegando le stesse nei processi produttivi in modo da salvaguardare l’ambiente, la salute e le diversità locali;

 semplificare, per gli agricoltori biologici operanti nel distretto, l’applicazione delle norme di certificazione biologica e di quelle ambientali e territoriali previste dalla normativa vigente;

 favorire lo sviluppo dei processi di preparazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti biologici;

 promuovere le attività connesse all’agricoltura biologica, quali la somministrazione di cibi biologici nella ristorazione pubblica e collettiva, la vendita diretta di prodotti biologici, l’attività agrituristica, il turismo rurale, le azioni finalizzate alla tutela, alla valorizzazione e alla conservazione della biodiversità agricola e naturale e l’agricoltura sociale;

 promuovere una maggiore diffusione, a prezzi congrui, dei prodotti biologici.

Dal punto di vista della governance è previsto che le imprese agricole, singole e associate, le organizzazioni dei produttori e i soggetti pubblici e privati che intendono promuovere la costituzione di un DB costituiscano un Comitato direttivo incaricato della rappresentanza delle istanze amministrative, economiche e commerciali del medesimo distretto. Il Comitato in particolare

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presenta la richiesta di riconoscimento del distretto alla Regione di appartenenza, la quale può prevedere percorsi graduali di conversione al metodo biologico per il riconoscimento dei distretti biologici. Le Regioni potranno altresì individuare criteri specifici sulla base dei quali attribuire priorità al finanziamento di progetti presentati da imprese singole o associate o da enti locali operanti nel territorio del distretto biologico.

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