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Montalbano in transizione Una partecipazione ricca e polifonica

Sergio De La Pierre1

In una recente pubblicazione sui Biodistretti si afferma che “la più importante innovazione del biodistretto è rappresentata dalla governance multilivello, costruita su basi partecipative e sul coinvolgimento dell’intera comunità di riferimento. Al suo interno vengono promosse e valorizzate tutte le altre innovazioni: organizzative, tecnologiche, di conoscenza e sociali”.

Gli organizzatori – dieci amministrazioni locali, diverse sedi universitarie toscane, una miriade di associazioni – del Convegno del 21-22 gennaio 2017 presso la magnifica villa La Magia di Quarrata su Montalbano in transizione.

Convegno su strategie e opportunità per il Biodistretto del Montalbano si aspettavano

forse la metà degli oltre 200 partecipanti, dei quali ben 143 hanno partecipato attivamente agli otto tavoli di lavoro tenutisi nel pomeriggio del 21 gennaio. Ne è emerso un caleidoscopio ricchissimo di interventi, osservazioni critiche, proposte operative: che ha dato l’immagine, per chi come il sottoscritto veniva da fuori Regione, di una realtà viva e multiforme, attraversata da cultura – e culture – diffuse e competenze plurime, entusiasmo e passione nell’affrontare una nuova ‘avventura’ – quella del biodistretto - che potrà rappresentare per tutti una sfida a un più alto livello di operatività e consapevolezza.

Per l’organizzazione di queste due giornate è stata assai importante l’attenzione posta a garantire un’effettiva ‘partecipazione’ ai convenuti. Ormai è nota l’insufficienza della dimensione assembleare tradizionale dei ‘convegni’ che creano disparità tra ‘relatori’ e ‘pubblico’: questo può andare bene per una parte introduttiva del convegno stesso, quando si tratta di affrontare tematiche di carattere molto generale; ma quando occorre passare a proposte specifiche e operative, è essenziale che gli ‘attori in campo’ vengano davvero ascoltati, a cominciare dal garantire loro il diritto di parola. Ecco allora l’importanza dei ‘Tavoli tematici’ – gestiti da 16 facilitatori, due per tavolo – che avendo un minimo di 12 e un massimo di 25 presenze hanno permesso per quasi tre ore di affrontare il loro ‘tema’ in modo approfondito e con il contributo di tutti. Ciò è stato preceduto da un’intera giornata di ‘autoformazione’ degli stessi

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facilitatori – affidata al sottoscritto e a Maddalena Rossi – che ha in qualche modo ‘simulato’ il convegno stesso: dopo una relazione ‘teorica’ sulla costituzione e gestione di un ‘gruppo di lavoro’, si è passati a una ‘prova di Tavolo’ in cui una facilitatrice ‘in erba’ provava a guidare la discussione su un tema predefinito, dove i presenti svolgevano un ‘ruolo’ loro attribuito. Ne è uscita un’esperienza coinvolgente e anche divertente, che si è tradotta in un impegno serio e di notevole bravura dei ‘nuovi facilitatori’ nel corso del convegno ‘vero’ sul Montalbano.

Quel che mi pare di poter qui sottolineare è la relazione tra i risultati in termini di contenuto del convegno stesso e dei ‘tavoli’, e l’importanza dell’attenzione profusa al metodo partecipativo. In un Report di uno dei tavoli il facilitatore parla della costruzione di ‘capitale relazionale’ come di uno degli obiettivi centrali del futuro biodistretto. Ebbene mi pare che questa osservazione abbia carattere generale. Un elemento che balza agli occhi leggendo i diversi Report (esposti dai facilitatori nella plenaria del 22 gennaio) è la sottolineatura critica di elementi di frammentazione, scollamento, frazionamento di aziende, isolamento di singole parti del territorio o singole dimensioni dell’attività umana; e per altro verso la necessità, nella parte ‘Strategie condivise’, di costruire ponti, ‘integrazione’ (questa è parola chiave che torna spesso), progetti sovralocali a livello di distretto per quanto riguarda l’energia, le mense scolastiche, la convivenza tra le diverse ‘agricolture’, tra i diversi settori economici (agroalimentare, turistico, economie circolari legate al riciclaggio dei rifiuti ecc.), la definizione di normative ‘distrettuali’ o regionali ad esempio sulla garanzia partecipata o sull’uso dei terreni abbandonati o sull’edilizia rurale o sulla promozione turistica o sul bando ai pesticidi.

Ebbene, tutto ciò a mio parere ha a che fare in profondità col metodo partecipativo, e ciò in due sensi: i risultati ottenuti in gran parte dei tavoli vanno nella direzione di costruire una progettualità ‘integrata’ nel senso sopra detto, e la validità di questo risultato è assai più ‘affidabile’ proprio perché nasce concordemente da otto tavoli ‘a tema’ con larghissima partecipazione degli intervenuti, mentre il singolo ‘studioso’ o ‘relatore’ non è detto che arrivasse allo stesso risultato. Inoltre, la strutturazione del Convegno ha permesso ai partecipanti di sperimentare in prima persona il metodo relazionale e la possibile ‘integrazione’ dei punti di vista, nel vivo di un incontro ‘in carne ed ossa’ tra persone interessate e competenti per lo stesso argomento.

Ma tutto ciò ha avuto anche un significato assai importante per come sono stati trattati i ‘Punti di difficile accordo’ presenti come item nei cartelloni predisposti per il tavolo. A volte si è verificata una discussione assai vivace, ma in conclusione non c’è stata una cristallizzazione di posizioni (ad esempio sulla

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costruzione di nuovi edifici rurali), ma una ‘problematizzazione condivisa’ – mi vien da dire, e quindi un rinvio a ulteriori, necessari momenti di approfondimento. In ciò acquista importanza, allora, la proposta fatta da diversi tavoli di prevedere momenti istituzionali di educazione/formazione/autoformazione (sull’alimentazione scolastica, sulla cultura del ritorno alla terra, sulla garanzia partecipata ecc.): che significa consapevolezza dei limiti degli attuali livelli di elaborazione ma, soprattutto, consapevolezza del carattere processuale della costruzione del biodistretto, stimolata proprio da un ‘piacere della partecipazione’ che può autoalimentarsi proprio in vista dei nuovi traguardi.

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