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3. L ESSICO CARATTERIZZANTE IL PERIODO 1939-1979

3.2. Terminologia grammaticale

3.2.2. Distribuzione nel tempo

La terminologia grammaticale non esibisce una distribuzione marcata all’interno del periodo in esame bensì, come mostra l’analisi delle corrispondenze condotta sugli anni 1939-1979 (cfr. fig. 55), essa riemerge in ogni quadrante e la sua presenza si mantiene dunque sostanzialmente stabile lungo tutte le annate. Il dato può essere ulteriormente approfondito tracciando la frequenza di tali tecnicismi, riportata in figura 57: il grafico segnala l’assenza di una polarizzazione interna al primo periodo, ed evidenza al tempo stesso una improvvisa e netta frattura che si consuma tra il 1979 e il 1980. Del resto basta scorrere i volumi più recenti per riconoscere la completa assenza di interventi normativi e per rilevare come gli articoli che trattano di usi coevi siano solo uno sparuto manipolo: Un costrutto

dell'italiano contemporaneo: la concordanza ad sensum del participio congiunto (A. Fabbri, XLVII,

1986), Un costrutto di recente diffusione nell'italiano: il tipo «affascinato dalla, e invischiato nella

regola» (A. Fabbri, XLVIII, 1987), Buona giornata, buona serata (P. Janni, LXVII, 2006) e Senza se e senza ma (G. Patota, LXX, 2009). Nonostante ciò, sorprende che le occorrenze di un lessico così

generico come quello qui considerato si concentrino in una singola fase della rivista, caratterizzandola in maniera così forte; possiamo anticipare che ciò è dovuto al peso preponderante assunto, a partire dal 1980, dagli studi lessicali: le trattazioni esterne al lessico vengono progressivamente

marginalizzate, e ciò contribuisce a determinare una distribuzione del lessico apparentemente così anomala.

Figura 57 – Andamento nel tempo della frequenza relativa di un insieme di voci proprie del modello

grammaticale tradizionale190.

Si può dunque concludere che l’attenzione per gli usi contemporanei, con riferimento sia al loro valore semantico-pragmatico sia ad aspetti normativi, è uno degli elementi che maggiormente caratterizza la direzione di Devoto e Migliorini, dall’inizio alla fine; allo spegnersi del Neopurismo nel secondo dopoguerra non corrisponde pertanto l’estinzione né dell’attenzione per la lingua viva né della volontà di contribuire alla diffusione della norma grammaticale, lo studio della quale non era stato contaminato dalla politica fascista allo stesso modo della ricerca in ambito lessicale.

Per ciò che concerne invece la dimensione didattica, essa è rinvenibile in tutto il primo periodo ma con una concentrazione particolare nella sua fase finale191, alla quale si associano i termini

apprendimento, competenza192, educazione linguistica e linguistica applicata (cfr. fig. 55), e le voci

non tecniche, ma comunque altamente significative, didattica, educazione, insegnamento,

insegnante, insegnare e scuola (cfr. fig. 56). Il legame di questa terminologia con il più ampio

dibattito interno alla linguistica italiana è palese: nei primi anni Settanta, infatti, «tutto o quasi tutto dell’insegnamento linguistico tradizionale venne messo in discussione» (Lo Duca, 2003: 18) ed emerge inoltre «una nuova generazione di studiosi del linguaggio […] sensibili alle peculiarità linguistiche della società italiana, di cui cominciarono ad osservare, spesso a denunciare, le gravi carenze scolastiche in fatto di educazione linguistica» (Lo Duca, 2003: 37-38); i linguisti italiani

190 Oltre alle voci individuate dall’analisi delle corrispondenze, riportate anche in cap. 4 par. 4, si sono considerate le seguenti parole: articolo, coordinata, coordinazione, copula, ipotassi, numerale, paratassi e

subordinazione.

191 L’esame della frequenza relativa dei termini in precedenza riportati segnala che l’area semantica della didattica non è equamente distribuita ma si concentra particolarmente in alcune annate: 1964, 1971, 1978 e 1979.

192 L’incremento nella frequenza relativa di competenza non è però dovuto esclusivamente all’espansione della riflessione sulla didattica, bensì sul fenomeno agiscono anche le numerose occorrenze del termine in Su

alcuni anglicismi nella recente terminologia linguistica (I. Klajn, XXXV, 1974) dove si dibatte della

svilupparono dunque per tali questioni una attenzione particolare, dimostrata, tra l’altro, dallo spazio ad esse dedicato nei convegni nazionali della SLI e, ancor di più, dalla costituzione del GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica) nel 1973, responsabile della pubblicazione delle Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica (1975) oltre che di molteplici iniziative nel campo della glottodidattica. Le ragioni che portarono a considerare con maggior interesse le dinamiche e le problematiche dell’insegnamento sono molteplici: dall’impatto della clamorosa Lettera a una professoressa (1967) di don Lorenzo Milani all’influenza della linguistica applicata di area anglosassone, senza scordare le discussioni suscitate dalla “teoria della deprivazione verbale” formulata da Basil Bernstein e dagli studi sul sub standard compiuti da William Labov; il modello più diretto è però probabilmente la Storia linguistica dell’Italia unita (1963) di Tullio De Mauro, che mise in risalto temi come l’analfabetismo, i risvolti delle trasformazioni sociali, l’adozione di modelli linguistici superati da parte della scuola, e che indicò, in particolare nell’Avvertenza alla seconda edizione (1970), gli ambiti in cui i linguisti sarebbero dovuti intervenire per offrire migliori strumenti alla didattica (cfr. Lo Duca, 2003: 38-39)193: la ricognizione delle recensioni all’opera di De Mauro rileva che, generalmente, gli studiosi riconobbero la novità e l’importanza di alcuni elementi che da lì in avanti sarebbero stati imprescindibili per la storia linguistica come, tra gli altri, la «funzione della scuola e della politica scolastica con i programmi, i libri di testo, la situazione degli alunni e dei docenti» (Marazzini, 2017a: 127). In questa sede non ci interessa approfondire ulteriormente il ruolo dell’educazione linguistica in Italia, le sue manifestazioni e le sue cause; piuttosto vogliamo sottolineare la rispondenza tra le pagine di LN e il più ampio dibattito linguistico degli anni ’60-’70, al tempo stesso sottolineando come esso incise sulla rivista senza però modificarne né l’approccio né l’ideologia di base: come abbiamo più volte avuto modo di affermare, l’attenzione per la didattica e la divulgazione, e più in generale la volontà di “impegno” nei confronti della società, sono ben presenti sin dagli esordi e caratterizzano tutti gli anni della direzione di Migliorini.

193 Su LN, la Storia linguistica dell’Italia unita fu recensita da Ignazio Baldelli (XXV, 1964, p. 277), che ne riconobbe immediatamente l’importanza; assai positiva fu anche la reazione di Devoto che, in una nota aggiunta alla seconda edizione del suo Profilo di storia linguistica italiana, riconosce all’opera di De Mauro il grande pregio di proporre una trattazione della storia linguistica che può considerarsi “storia” nella piena accezione del termine (Marazzini, 2017a: 124). La prova più diretta dell’impatto su LN è però la presenza di un gran numero di rimandi a Tullio De Mauro, non di rado in riferimento a questioni sociali o scolastiche, al punto che De Mauro rientra nel lessico caratterizzante questa fase (cfr. fig. 56); inoltre, l’impatto dello studioso non è limitato nel tempo bensì eccezionalmente duraturo: a partire dalla seconda metà degli anni ’60 i richiami al suo lavoro si manterranno costanti e frequenti.