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CAPITOLO SECONDO

IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA NEL SISTEMA EUROPEO

1. La nascita del diritto della concorrenza in Europa

1.1. Il divieto delle intese restrittive

Il divieto di intese restrittive è previsto dall’articolo 101 del TFUE (già articolo 81 del TCE), secondo il quale: “Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno (…)”.

Le intese anticoncorrenziali si distinguono in orizzontali, quando sono messe in atto dai partecipanti ad uno stesso mercato, e verticali, le quali riguardano tipicamente stadi successivi della produzione e vendita di un prodotto.

Dal punto di vista formale, le intese ex articolo 101 del TFUE (già articolo 81 del TCE) possono assumere la forma di accordi, di pratiche concordate o di decisioni di associazioni.

L’evidenza di un accordo presuppone in via sufficiente “un’espressione di un’intenzione comune delle parti in causa per comportarsi in un certo modo all’interno del mercato rilevante, avendo come oggetto o come effetto la prevenzione, la distorsione o la restrizione della concorrenza”70. Si ha un accordo, pertanto, quando le parti raggiungono la comune intenzione di comportarsi in modo interdipendente fra loro e di limitare la loro libertà di azione all’interno del mercato al fine di perseguire i loro obiettivi a danno della concorrenza. La manifestazione di volontà prescinde dalla forma e validità ai sensi del diritto nazionale, rilevando anche accordi che non hanno forma scritta e/o che non prevedono sanzioni nel caso di contravvenzione delle condizioni dell’accordo.

La definizione di pratica concordata, invece, si basa sull’esistenza di un parallelismo di comportamenti tra le imprese interessate, cioè una forma di coordinamento o consapevole collaborazione tra le stesse che si riflette in un danno alla concorrenza in

70 V. sentenza della Corte di giustizia dell’8 luglio 1999, procedimento C-235/92 P, Polipropilene, in

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quanto idonea a limitare il grado di indipendenza economica di ciascuna delle imprese coinvolte71.

Rientrano, inoltre, nel novero delle intese vietate le decisioni di associazioni (inclusi gli ordini professionali) che siano dirette alle imprese (in senso lato) associate, anche qualora tali decisioni non abbiano carattere vincolante.

Il concetto di pregiudizio richiamato dalla norma inerisce a ogni tipo di effetto prodotto dall’intesa che abbia un’influenza diretta o indiretta, effettiva o solo potenziale sugli scambi intracomunitari72. Per quanto concerne, infine, l’effetto distorsivo – integrato, secondo la costante giurisprudenza comunitaria, dalla minima e potenziale deviazione dal modello ideale della libera concorrenza astrattamente considerato – il divieto ideale cede ad un criterio di tipo quantitativo, attesa l’esclusione delle intese inidonee a produrre effetti sensibili sul mercato (c.d. regola

71 La necessità e, al tempo stesso, sufficienza di un concorso, anche tacito, di volontà ai fini dell’esistenza di una “intesa” ex art. 101 TFUE è desumibile proprio dalla giurisprudenza comunitaria in tema di pratiche concordate nei termini in cui allude ad una “consapevole collaborazione tra le

imprese”: v. sentenza della Corte di giustizia del 14 luglio 1972, Causa 48-69, Imperial Chemical Industries Ltd., in Raccolta, 1972, p. 00619 e sentenza della Corte di giustizia del 20 giugno 1978,

Causa 28/77, Tepea BV, in Raccolta, 1978, p. 01391. Segnatamente, è stato evidenziato che “Il fatto

che l’art. [101] distingua la nozione di “pratica concordata” da quello di “accordi tra imprese” e di decisioni di “associazioni di imprese” è dovuto all’intenzione di comprendere fra i comportamenti vitati da questo articolo una forma di coordinamento dell’attività delle imprese che, senza esser stata spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, costituisce in pratica una consapevole collaborazione fra le imprese stesse, a danno della concorrenza.” e che “benché il parallelismo di comportamenti non possa da solo identificarsi con la pratica concordata, esso può costituire tuttavia un serio indizio, qualora porti a condizioni di concorrenza che non corrispondono a quelle normali del mercato, tenuto conto della natura dei prodotti, dell’entità e del numero delle imprese e del volume del mercato stesso”: v. Imperial Chemical Industries Ltd., cit., punti 64 e 66. Si ritengono tuttavia esclusi,

in linea generale, dalla fattispecie definita dal legislatore i casi di “accordo” tra imprese di un medesimo gruppo societario, sulla base di una nozione sostanziale di impresa accolta dalla Corte di giustizia secondo la quale il gruppo è configurabile come una singola unità economica, all’interno della quale le società affiliate, pur avendo personalità giuridica distinta, non dispongono di una effettiva autonomia nella determinazione del proprio comportamento sul mercato, ma applicano in sostanza le direttive impartite dalla società madre: v. sentenza della Corte di giustizia del 25 novembre 1971, Causa 22-71, Béguelin Import Co., in Raccolta, 1971, p. 00949; sentenza della Corte di giustizia del 21 febbraio 1973, Causa 6-72, Europemballage Corporation e Continental Can Company Inc., in

Raccolta, 1973, p. 00215; sentenza della Corte di giustizia del 31 ottobre 1974, Causa 15-74, Centrafarm BV ed Adriaan de Peijper, in Raccolta, 1974, p. 01147.

72 La Corte di giustizia ha richiamato la nozione di “pregiudizio” elaborata in relazione alla libera circolazione delle merci nella sentenza dell’11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville, in Raccolta, 1974, p. 00837 (v. sentenza del 17 settembre 1980, causa 730/79, Philip Morris, in Raccolta, 1980, p. 2671). Il concetto di “pregiudizio al commercio intracomunitario” è stato inoltre oggetto di una Comunicazione della Commissione del 2004, contente le linee direttrici in materia (consistenti nell’introduzione di presunzioni negative di non pregiudizio agli scambi al di sotto di determinate soglie di fatturato e di presunzioni relative di pregiudizio per certe tipologie di accordi).

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de minimis)73. L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE (già articolo 81, paragrafo 1, TCE) elenca, a titolo esemplificativo, una serie di intese vietate, quali la fissazione (orizzontale e verticale) dei prezzi (lett. a), la ripartizione dei mercati, della produzione o degli investimenti (lett. b e c), l’applicazione di condizioni discriminatorie nei contratti o l’imposizione di prestazioni contrattuali aggiuntive (lett. d ed e).

Nonostante l’indicazione perentoria di cui sopra, l’articolo 101, paragrafo 3, TFUE (già articolo 81, paragrafo 3, TCE) contempla la possibilità di una deroga con riferimento alle intese “che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva, ed evitando di imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi e di dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi”. Pertanto, affinché le intese possano essere esentate dal divieto, sono richiesti, da un lato, il conseguimento, anche parziale, di risultati conformi ad alcune delle finalità aventi particolare valore dal punto di vista degli obiettivi ultimi del Trattato e, dall’altro, l’assenza di conseguenze particolarmente distorsive per la concorrenza74

.

73 All’enunciazione della regola de minimis da parte della giurisprudenza comunitaria ha fatto seguito una Comunicazione della Commissione (del 12 settembre 1986), con la quale sono stati fissati dei parametri minimi, relativi alla quota dei prodotti oggetto dell’accordo (non superiore al 5% del mercato rilevante) e alla dimensione delle imprese coinvolte (fatturato non superiore a 200 milioni di ECU), al di sotto dei quali le intese sono escluse dal divieto e sono state inserite automaticamente nell’ambito della regola de minimis le intese tra piccole e medie imprese. La Commissione ha precisato, tuttavia, che le intese che superano i limiti predetti non debbono necessariamente essere considerate rilevanti poiché “in determinati casi è possibile che anche accordi conclusi tra imprese che superano i limiti

stabiliti incidano sul commercio fra gli Stati membri o sulla concorrenza soltanto in misura insignificante, e di conseguenza non siano contemplati dal disposto dell’art. [101] par. 1”.

74 Il fatto che la liceità delle intese dal punto di vista della concorrenza vada analizzata anche con riferimento agli effetti sul sistema economico, in particolare quelli relativi ai consumatori, è un aspetto comune alle discipline antitrust e caratterizza segnatamente l’esperienza americana, che, oltre alle intese vietate di per sé, conosce anche quelle vietate in base alla rule of reason. Quest’ultimo tipo di valutazione comporta che l’intesa sia dichiarata vietata solo in quanto determini effetti irragionevolmente negativi sul mercato. Nel sistema americano, tuttavia, la ragionevolezza rappresenta il criterio di valutazione dell’operatività del divieto e il principio del precedente vincolante consente di definire un sufficiente livello di certezza del diritto. In ambito europeo, invece, gli effetti positivi idonei a fondare un’esenzione al divieto di intese anticoncorrenziali non sono ritenuti inerenti al funzionamento del mercato – atteso che l’“ideale” non ammette contaminazioni – bensì interpretati alla stregua di deroghe la cui concessione costituisce un’eccezione all’assoggettamento al divieto, eventualmente ripristinabile.

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In assenza di indicazioni nel Trattato, è stato il Consiglio, nel 1962, a riconoscere alla Commissione il monopolio sul potere di esenzione e ad istituire un regime centralizzato di notifica preventiva delle intese potenzialmente restrittive finalizzato al riconoscimento dell’esenzione75

. Tale disciplina è stata profondamente modificata con decorrenza dal 1° maggio 2004, mediante l’attribuzione ai giudici e alle autorità di concorrenza nazionali – ai quali era precedentemente riconosciuto il solo potere di vietare le intese restrittive in applicazione del diritto comunitario – anche del potere di esentarle76. Alla Commissione resta riservato il potere di esentare collettivamente intere categorie di accordi mediante regolamenti di esenzione per categoria.

L’articolo 101, paragrafo 2, TFUE (già articolo 81, paragrafo 2, TCE), infine, sancisce la nullità di pieno diritto degli accordi e delle decisioni di associazioni di imprese restrittive e non esentati77.