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La valutazione giuridica della Commissione europea ai sensi della decisione 89/43/CEE del 26 luglio 1988

CAPITOLO QUARTO

SCELTE NAZIONALI DI POLITICA ECONOMICA IMPEDITE DALL’APPLICAZIONE DEL DIRITTO EUROPEO DELLA

1. Il caso ENI-Lanerossi

1.1. La valutazione giuridica della Commissione europea ai sensi della decisione 89/43/CEE del 26 luglio 1988

La Commissione ha rilevato che gli interventi pubblici a favore di ENI-Lanerossi destinati a finanziare le perdite di esercizio registrate dalle aziende del settore confezioni maschili tra il 1983 e il 1987 per complessivi 260,4 miliardi di Lit “hanno impedito alle forze operanti in un’economia di mercato di avere le loro normali conseguenze – la scomparsa di tali fabbriche non competitive – le hanno tenute in attività artificiosamente per un lungo periodo di tempo e hanno appesantito la struttura delle industrie delle confezioni maschili della Comunità europea che stava affrontando gravi difficoltà di adattamento dovute a sovraccapacità strutturale, prezzi insufficienti e intensa concorrenza all’interno e dall’esterno della Comunità”. L’organo esecutivo europeo ha, inoltre, osservato che il conguaglio delle perdite è avvenuto in circostanze che non sarebbero state accettabili per un investitore privato operante alle normali condizioni di un’economia di mercato, posto che nel caso di specie non si poteva contare su una redditività normale in termini di dividendi o di incrementi di valore del capitale per gli investimenti effettuati.

In conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, la Commissione ha ritenuto improbabile che le imprese interessate avrebbero ottenuto capitali sufficienti per garantire la loro sopravvivenza sul mercato dei capitali privati, rilevando che nessuna società o investitore privato, che basasse la sua decisione sulle prevedibili possibilità di profitto, escludendo qualsiasi considerazione sociale o di politica regionale o settoriale, avrebbe sottoscritto quote di capitale destinate a coprire le perdite di esercizio su un arco di tempo di tale lunghezza. Di conseguenza, qualificava gli interventi per 260,4 miliardi di Lit come aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 92, paragrafo 1, del Trattato (oggi articolo 107, paragrafo 1, TFUE).

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In via preliminare, stante l’omessa notificazione preventiva delle misure anzidette da parte del governo italiano, la Commissione ha rilevato l’illegalità degli aiuti de quibus ai sensi della normativa comunitaria sin dal momento dalla loro erogazione.

L’organo esecutivo europeo, inoltre, ha espressamente sancito l’incompatibilità di tali aiuti col mercato comune ex articolo 92 del TCE (oggi articolo 107 del TFUE) in considerazione degli effetti distorsivi della concorrenza derivanti dalla concessione delle sovvenzioni in questione, che avrebbero “risanato la situazione finanziaria di imprese che in circostanze normali sarebbero scomparse dal mercato al più tardi nel 1983” e “migliorato in modo accertabile la situazione finanziaria di ENI-Lanerossi e delle sue quattro aziende, conferendo loro un vantaggio concorrenziale nei confronti di altri produttori, tutti colpiti dal ristagno della domanda, dai prezzi insufficienti e da sovraccapacità”. In altri termini, i sussidi finanziari pari a 260,4 miliardi di Lit sotto forma di conguaglio delle perdite avrebbero risanato la situazione finanziaria delle imprese e agevolato la loro riconversione e assorbimento in misura tale da conferire a ENI-Lanerossi un vantaggio estremamente consistente rispetto ai suoi concorrenti non beneficiari di aiuti.

La decisione della Commissione prosegue rilevando l’idoneità delle misure in questione – che hanno consentito alle quattro aziende di ENI-Lanerossi di sopravvivere dopo il 1982 e, in secondo luogo, hanno agevolato la riconversione e la cessione di taluni stabilimenti produttivi – a pregiudicare il commercio e falsare o minacciare di falsare la concorrenza tra gli Stati membri ai sensi dell’articolo 92, paragrafo 1, TCE (oggi articolo 107, paragrafo 1, TFUE), escludendo l’applicabilità delle ipotesi di deroga di cui ai paragrafi successivi della medesima disposizione normativa.

Dichiarato l’integrale assoggettamento degli aiuti de quibus agli orientamenti comunitari per gli aiuti all’industria tessile e dell’abbigliamento del 1971 e del 1977, la Commissione ha osservato come gli aiuti a tale settore, caratterizzato da una forte concorrenza a livello comunitario, rischiassero di falsare la concorrenza a detrimento dei concorrenti non beneficiari di tali misure.

Secondo gli anzidetti orientamenti, gli aiuti che di norma hanno ripercussioni sensibili nel settore in questione possono trovare giustificazione solo in quanto migliorino la struttura dell’industria tessile, dovendo tuttavia soddisfare le condizioni

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specificatamente previste dagli orientamenti medesimi. In particolare, la disciplina comunitaria di riferimento non prevede la possibilità di concedere aiuti destinati a mantenere un’impresa in attività e richiede che gli aiuti a società tessili e dell’abbigliamento si applichino esclusivamente per un breve periodo. Inoltre, in base agli orientamenti, lo scopo degli aiuti è quello di portare rapidamente il beneficiario ad un livello di competitività sufficiente per poter operare sul mercato comunitario dei tessili e dell’abbigliamento. Infine, gli aiuti non devono pregiudicare la concorrenza e gli scambi in misura superiore a quanto strettamente necessario.

In considerazione di un uso degli aiuti in questione genericamente destinato a migliorare la situazione finanziaria delle imprese interessate e del mancato soddisfacimento delle anzidette condizioni, la Commissione ha concluso che tali sovvenzioni erano state concesse in contrasto con gli orientamenti comunitari relativi agli aiuti all’industria tessile e dell’abbigliamento.

Con lettera del gennaio 1979, la Commissione informava gli Stati membri in ordine alle condizioni alla quali gli aiuti di salvataggio potevano essere considerati compatibili con il mercato comune, segnatamente: avrebbe dovuto trattarsi di aiuti alla liquidità sotto forma di garanzie di prestiti o di prestiti concessi ai normali tassi di interesse commerciali; avrebbero dovuto essere corrisposti soltanto per il tempo strettamente indispensabile, in genere non superiore ai sei mesi, per predisporre le misure di risanamento necessarie e fattibili; non avrebbero dovuto avere effetti negativi sulla situazione dell’industria degli altri Stati membri; avrebbero dovuto essere notificati alla Commissione in via preventiva nei casi individuali di una certa importanza.

Per le ragioni anzidette, l’organo esecutivo europeo escludeva la conformità delle iniezioni di capitale sotto forma di conguaglio delle perdite ai requisiti di legittimità di cui sopra.

La Commissione, pertanto, concludeva la sua analisi dichiarando che “gli aiuti concessi tra il 1983 e il 1987 a ENI-Lanerossi sotto forma di iniezioni di capitale a favore delle aziende del gruppo operanti nel settore del capospalla e pari a 260,4 miliardi di Lit” erano da ritenersi “illegali in quanto corrisposti in infrazione alle disposizioni dell’articolo 93, paragrafo 3 del Trattato CEE [oggi articolo 108, paragrafo 3, TFUE]” nonché “incompatibili col mercato comune ai sensi dell’articolo

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92 del Trattato [oggi articolo 107 del TFUE]”, dovendo come tali costituire oggetto di recupero.

1.2. Il vaglio di legittimità della Corte di giustizia: sentenza 21 marzo 1991, causa