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L’impugnazione della decisione europea dinanzi alla Corte di giustizia: sentenza 21 marzo 1991, causa C-305/89

CAPITOLO QUARTO

SCELTE NAZIONALI DI POLITICA ECONOMICA IMPEDITE DALL’APPLICAZIONE DEL DIRITTO EUROPEO DELLA

2. Il caso Alfa Romeo

2.2. L’impugnazione della decisione europea dinanzi alla Corte di giustizia: sentenza 21 marzo 1991, causa C-305/89

La Repubblica italiana proponeva ricorso diretto all’annullamento dell’anzidetta decisione della Commissione, a mente della quale gli aiuti sotto forma di apporto di capitale per un importo complessivo di 615,1 miliardi di Lit, concessi dal governo italiano al gruppo Alfa Romeo attraverso le società finanziarie IRI e Finmeccanica, erano illegali e, pertanto, incompatibili con il mercato comune ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (già articolo 92, paragrafo 1, TCE).

risanamento (in genere non oltre sei mesi); c) non devono esercitare alcun effetto negativo sulla situazione industriale degli altri Stati membri; d) devono essere notificati in anticipo alla Commissione, in casi individuali significativi.

339 V., in particolare, sentenza della Corte di giustizia del 10 luglio 1986, causa 234/84, Meura, in

Raccolta, 1986, p. 2263 e sentenza della Corte di giustizia del 10 luglio 1986, causa 40/85, Boch, in Raccolta, 1986, p. 2321.

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a) Sui mezzi relativi all’insussistenza di un aiuto di Stato lesivo della concorrenza ai sensi dell’articolo 92, n. 1, del Trattato (oggi articolo 107, n. 1, TFUE).

La Corte non ha accolto l’argomentazione della Repubblica italiana, secondo la quale i controversi conferimenti di capitale erano frutto di decisioni autonome, di natura economica, adottate dall’IRI o dalla Finmeccanica, come tali non configurabili alla stregua di aiuti di Stato.

A tal proposito, l’organo giurisdizionale europeo ha rilevato che, ai sensi del decreto legislativo 51/1948, lo Stato italiano ha assegnato all’IRI un fondo di dotazione e che l’IRI controlla il capitale di Finmeccanica. Inoltre, il governo italiano nomina i membri dell’organo direttivo dell’IRI, che a sua volta designa i membri dell’organo direttivo della Finmeccanica. Infine, l’IRI, sebbene sia tenuto ad operare secondo criteri di economicità, non dispone di una piena e totale autonomia dovendo invero attenersi alle direttive impartite dal CIPE.

Da quanto sopra, deriva pertanto che l’IRI e la Finmeccanica sono sotto il controllo dello Stato italiano.

La Corte ha all’uopo richiamato gli arresti di una costante giurisprudenza, secondo la quale non deve distinguersi tra l’ipotesi in cui l’aiuto viene concesso direttamente dallo Stato e quella in cui l’aiuto è concesso da enti pubblici o privati che lo Stato istituisce o designa per la gestione dell’aiuto340

. Di conseguenza – ha precisato la Corte – “quand’anche i mezzi finanziari assegnati all’IRI o alla Finmeccanica non fossero stati specificamente destinati ai conferimenti di capitali controversi, è innegabile che i detti conferimenti sono stati effettuati mediante fondi pubblici destinati a interventi economici”341.

340 V. ex multis sentenza della Corte di giustizia del 02 febbraio 1988, cause riunite 67, 68 e 70/85,

Kwekerij Gebroeders Van der Kooy BV, in Raccolta, 1985, p. 01315. In Dottrina, v. U. LAENZA, Aiuti concessi agli Stati, in Commentario CEE, Milano 1965, 721, secondo cui per “aiuti che si avvalgono di risorse statali” si intendono “tutti gli aiuti concessi da enti od istituti di diritto pubblico in base a norme statali o regionali”.

341 Secondo la citata giurisprudenza Van der Kooy, si ha un aiuto di Stato anche nel caso in cui quest’ultimo rinuncia “a introiti che esso potrebbe avere dalla partecipazione alla … [impresa a partecipazione statale], sicché il vantaggio che ne scaturisce per … [i beneficiari] va a carico delle

risorse dello Stato”. Pertanto, anche se non fosse stata dimostrata l’interconnessione tra i fondi

attribuiti all’IRI e gli apporti di capitale all’Alfa Romeo e fosse stato provato che le erogazioni erano state effettuate da IRI e Finmeccanica utilizzando fondi propri, le erogazioni sarebbero state egualmente censurabili da parte della Commissione.

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Tali rilievi hanno portato il giudice europeo a concludere che i conferimenti di capitali in questione costituivano il risultato di un comportamento imputabile allo Stato italiano, come tali idonei a rientrare nella nozione di aiuti concessi dagli Stati ai sensi dell’articolo 107, n. 1, TFUE (già articolo 92, n. 1, TCE).

Per quanto riguarda l’asserita carenza di motivazione sostenuta da parte ricorrente circa i motivi per cui un investitore privato non avrebbe effettuato i controversi conferimenti di capitali, la Corte ha precisato che, per stabilire se gli interventi abbiano natura di aiuti statali, occorre valutare se, in circostanze analoghe, un investitore privato di dimensioni paragonabili a quelle degli enti che gestiscono il settore pubblico avrebbe effettuato conferimenti di capitali di simile entità. Segnatamente, il comportamento dell’investitore privato cui deve essere raffrontato l’intervento dell’investitore pubblico che persegue obiettivi di politica economica, anche se non è necessariamente quello del comune investitore che colloca capitali in funzione della loro capacità di produrre reddito a termine più o meno breve, deve quantomeno corrispondere a quello di una holding privata o di un gruppo imprenditoriale privato che persegue una politica strutturale, globale o settoriale, guidato da prospettive di redditività a più lungo termine.

Premesso quanto sopra, la Corte, in considerazione del deterioramento dei risultati finanziari dell’Alfa Romeo nel 1984 e nel 1985, ha condiviso la valutazione della Commissione per cui “un investitore privato, anche operante a livello di gruppo in un contesto economico ampio, non avrebbe potuto, alle normali condizioni di un’economia di mercato, attendersi una redditività accettabile, sia pure a più lungo termine, dei capitali investiti, che nel 1986 hanno raggiunto un totale di 1.387,5 miliardi di Lit”. L’organo esecutivo europeo avrebbe, pertanto, a ragione ritenuto che i conferimenti di capitali de quibus fossero destinati soltanto ad azzerare i debiti dell’impresa beneficiaria per assicurarne la sopravvivenza, atteso che il piano decennale di investimenti adottato nel 1980 si era rivelato inidoneo a risanare la situazione finanziaria dell’Alfa Romeo nel momento in cui le anzidette sovvenzioni erano intervenute.

La Corte ha conclusivamente statuito che un investitore privato, anche se avesse seguito una politica globale a lungo termine senza perseguire una redditività immediata, non avrebbe accettato, alle normali condizioni di un’economia di mercato,

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di procedere ai conferimenti di capitali effettuati dalla Finmeccanica, come tali qualificabili alla stregua di aiuti di Stato342.

Infine, il giudice europeo ha rilevato l’idoneità dei conferimenti di capitali controversi a pregiudicare la concorrenza intracomunitaria, posto che quando un’impresa opera in un settore caratterizzato da sovraccapacità produttive, nel quale viene esercitata un’effettiva concorrenza da parte di produttori di vari Stati membri, qualsiasi aiuto che essa riceva dalle autorità pubbliche è idoneo ad incidere sugli scambi tra gli Stati membri e a pregiudicare la concorrenza, in quanto la sua conservazione sul mercato impedisce ai concorrenti di accrescere la loro quota di mercato e diminuisce le loro possibilità di incrementare le esportazioni343.

b) Sui mezzi relativi all’illegittimità del comportamento della Commissione.

Per quanto riguarda il ritardo della Commissione nell’apertura del procedimento di cui all’articolo 108, n. 2, TFUE (già articolo 93, n. 2, TCE), la Corte ha sottolineato essere stato dovuto al comportamento della Repubblica italiana, che aveva omesso di notificare gli aiuti in fase di progetto e non aveva collaborato attivamente durante la procedura di indagine amministrativa.

Analogamente, con riferimento all’asserita violazione del principio di parità di trattamento, il giudice europeo ha precisato che la dichiarazione di compatibilità con il mercato comune degli aiuti concessi ad altri costruttori europei di automobili344 era

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V., tuttavia, ORLANDI, Aiuti di Stato mediante conferimento di capitale alle imprese, nota alla sentenza Alfa Romeo, in Giurisprudenza di merito, n. 2, 1993, p. 543, secondo cui “i fondi conferiti nel

1985 (206,2 miliardi) e nel 1986 (408,9 miliardi) gli unici presi in considerazione nella decisione, sono stati erogati successivamente ad un avvenimento di importanza centrale, cui né la Commissione né la Corte di giustizia sembrano aver dato sufficiente risalto: la determinazione di cedere l’azienda automobilistica e la conseguente esigenza di evitare il fallimento dell’Alfa Romeo. L’erogazione sanzionata avrebbe dovuto esser valutata in relazione al conseguimento dell’obiettivo di riuscire ad alienare l’azienda. Ne sarebbe conseguito l’irrilevanza del fatto che i conferimenti non siano stati finalizzati a ristrutturazioni, tenuto conto che l’obiettivo consisteva nel mantenere, nelle migliori condizioni possibili, l’Alfa Romeo fino alla vendita. La remunerazione del capitale investito dallo Stato non deve essere infatti considerata in funzione del saldo di esercizio ma in relazione al profitto conseguente alla vendita dell’azienda”.

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V., in questi termini, anche sentenza della Corte di giustizia del 02 luglio 1974, causa 173/73,

Repubblica italiana c. Commissione delle Comunità europee, “Assegni familiari per i lavoratori

dell’industria tessile”, in Raccolta, 1974, p. 709. In particolare, come da conclusioni dell’avv. Warner, in Raccolta, 1974, p. 728, “allorché è evidente che la conseguenza naturale della concessione di un

aiuto ad un’industria in uno Stato membro dev’esser quella di aumentare la competitività di detta industria rispetto alle imprese concorrenti negli altri Stati membri, credo che si possa trarre la conclusione che l’aiuto falsa la concorrenza ed ostacola gli scambi tra gli Stati membri”.

344 Il riferimento deve intendersi ai piani presentati dalla Renault e dalla Rover, i quali erano basati sullo smaltimento di rilevanti eccessi di capacità produttiva mediante una drastica riduzione del

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dipesa dall’esistenza di programmi di ristrutturazione che comportavano forti riduzioni delle capacità produttive, proporzionate all’importo degli aiuti. Pertanto, in assenza di un analogo piano di ristrutturazione dell’Alfa Romeo, la Commissione, nel valutare sul piano economico la compatibilità degli aiuti con il mercato comune, non avrebbe violato – secondo il giudizio della Corte – il principio di parità di trattamento. c) Sui mezzi relativi alla compatibilità degli aiuti con il mercato comune.

La Corte ha, sul punto, statuito che le sovvenzioni de quibus costituivano, in linea con il giudizio della Commissione, aiuti di salvataggio non rispondenti alle condizioni prescritte nella Comunicazione del 24 gennaio 1979 agli Stati membri, in quanto non connessi ad un programma di ristrutturazione o cessione.

d) Sulla restituzione degli aiuti controversi.

Il giudice europeo ha ribadito la disposizione di recupero dell’aiuto presso la società Finmeccanica atteso che, in quanto holding di cui l’Alfa Romeo faceva parte all’epoca dei fatti in causa, doveva considerarsi la beneficiaria degli aiuti in questione345.