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do da un rapporto diretto con la regola, da una ‘regolarità politica’ o giuridica» [Ibi-

dem].

61C

ESARE SPECIANO, prop. 417.

62Si veda ad esempio la proposizione 722 nella quale l’ideale di sovrano della Controriforma è affiancato proprio al ‘modello ideale di vescovo’ [cfr. G. ALBERIGO, Carlo Borromeo come modello di vescovo nella Chiesa post-tridentina, «Rivista storica italiana», LXXIX (1967), pp.1031-1052]: «Ho veduto prencipi, che per ogni puoca cosa si turbavano assai, et altri, che niuna cosa ancor che grande li turbava, et questi senza comparatione sono migliori, più savii et più virtuosi, et d'animo più grande, perché niuna cosa mostra meglio la grandezza dell'animo, che l'essere sempre placido, tranquillo, et imperturbabile come io conobbi essere il Re di Spagna Filippo Secondo, et il beato Carlo Borromeo». Si veda anche la prop. 240 dove il Re di Spagna è esemplato come modello di giustizia: «Gl'huomini mal con- dicionati hanno un grande vantaggio nel loro trattare, per il rispetto, che viene loro portato dagli huomini, che vogliono parere prudenti, ma non lo sono veramente, perché come dissi già, bisogneria con questi tali procedere altrimenti di quello, che si fa da molti quando però la cosa importa. A questa opinione, che giovi politica- mente al prencipe di esser mal condicionato, vi hanno aggionto alcuni, almeno con fatti mali christiani, et anche imprudenti prencipi, dicendo che è bene non solo esse- re mal conditionati, ma sdegnoso, vindicativo, et ostinato, credendosi d’arivare con questi vitii a farsi più stimare, et temere, che con le virtù, et diccono, che il prencipe sdegnoso; vindicativo, et ostinato sarà stimato da tutti, dubitandosi ogn’uno di non l’offendere, per essere sdegnoso, et tenendo che se l’offenderanno se ne vorrà vendi- care con ostinazione, sin tanto che ne vegga la vendetta, ma questa è una prudenza falsa, et del Demonio, perché sarà sempre più stimato il prencipe benigno, giusto et costante, che ogn’altro, perché la benignità lo farà amare, la Giustitia temere, et la costanza nel fare la Giustitia, et altre sue operationi spaventerà ogn’uno, et si come di questo vi è l’esempio nei tempi nostri di Filippo II, Re di Spagna, ch’hebbe tutte queste virtù, et fu stimatissimo, et temuto, così degl’altri ve ne sono essempi anche moderni, che mostrano la fallacia della mala opinione sudetta, che si potriano speci- ficare».

come insidioso compromesso tra pratica politica e coscienza cristia- na. La fittizia differenza tra «prudenza» e «astuzia» che caratterizza- va l’espediente boteriano «inteso a salvare insieme utile e coscien- za»63 non pare coinvolgere lo Speciano, il quale nell’introdurre le sue

Propositioni al lettore, desidera affermare con chiarezza di non aver-

le scritte «credendo che siano cose di prudenza, della quale mai ho fatto professione»64. D’altra parte egli non sembra prestare alcuna cautela al possibile sviluppo cui il relativismo applicato al terreno politico poteva condurre, travolgendo irrimediabilmente il versante confessionale. Speciano tratta sporadicamente del problema della ragion di Stato in termini generali, eccezion fatta per due proposizio- ni. Egli preferisce piuttosto discuterne con esempi concreti legati a precisi accadimenti storici. Nella proposizione 843 egli parla della ragion di Stato, dell’«empio vocabolo» in questi termini65:

quanto più penso a quella ragion di Stato, che adesso va per il mondo appresso li principi, o consiglieri cattivi, tanto più resto maravigliato, parendomi non solo im- pietà, come veramente è, et senza alcuna scintilla di ragione vera; ma anche conosco la malitia, che ha congionto seco in grandissima ignoranza, perché è più propria delle genti senza ragione che dei savii che hanno studiato et pratticato assai per farsi prudenti [...].

Il suo interesse è legato alla politica tra gli Stati: la politica inter- nazionale diremmo oggi. La ragion di Stato è dunque la politica così come viene attuata nei rapporti tra gli Stati. È il nunzio, l’ambasciatore, il diplomatico, che parla al lettore in questa proposi- zione tarda. La ragion di Stato è nient’altro che una ragione di inte-

resse esclusivo di un sovrano nei suoi rapporti con altri Stati. La ra-

gion di Stato, in quanto scienza di regole fondate sull’interesse priva- to, è dunque opposta alla ratio, all’aequitas che contempera non solo l’interesse di chi «l’esercita» ma anche gli interessi dello Stato col quale si tratta. Infatti, prosegue lo Speciano, la «moderna falsa ragion di Stato consiste tutta in se stesso, cioè in colui che l’essercita, senza fare alcuna riflessione verso quelli con li quali ha da trattare, perché pensa li fatti suoi solamente per diritto, et per traverso, né si cura d’altri, né di quello che conviene, o che altri possa fare»66. La propo- sizione fa il paio con la descrizione del momento politico europeo

63L. F

IRPO, Introduzione a GIOVANNI BOTERO, Della Ragion di Stato, cit., p. 23.

64CESARE SPECIANO, Al Lettore. 65Ibid., prop. 843.

della già ricordata proposizione 370 dedicata al Guicciardini e ai suoi ‘ricordi’, validi a inizio secolo, cioè quando «li Principi vigilavano per non lasciare crescere troppo la potenza dell’altro, né si curavano d’offendere alcuno secondo che tornava loro conto», ma inadatti al presente67.

Non vi è dunque vocabolo «più sciocco, empio et diabolico», scrive ancora Speciano nella sua proposizione 320, «che quello che è in bocca quasi d’ogn’uno, cioè ragione di Stato», sinonimo di «vio- lenza»: nessuno dovrebbe farne uso, meno che mai «gli huomini cri- stiani»68. Se da un lato vi è il riconoscimento di una dilagante fortuna del termine «ragion di Stato», non di meno egli ne rimarca l’incompatibilità con lo spirito cristiano. L’attacco era ancora una volta rivolto proprio al Botero, del quale lo Speciano aveva un’ottima conoscenza non solo personale, per via della comune fre- quentazione del Borromeo, ma anche per la lettura delle sue opere conservate nella propria biblioteca69. Speciano, si è detto, era anche un attento lettore dei testi cattolica maturati come risposta ai politi-

ques francesi; lo Judicium del Possevino e i Discorsi politici

dell’Albergati costiuivano gli esempi più vivi di tale letteratura nell’Italia della Controriforma70. Il Cremonese non sembra essere dello stesso avviso del Mons. Minucci, suo corrispondente ‘familia- re’ presso la Segreteria dello Stato pontificio, il quale, nella ormai celebre lettera scritta al Possevino, rimarcava la necessità di una ri- sposta cattolica al dibattito in corso sulla ragion di Stato71. Egli san- cisce piuttosto la piena condanna del termine e della sua pretesa

ratio: le norme politiche di cui la ragion di Stato si nutre sono di fatto

senza alcuna «scintilla di ragione vera»72. Gli stessi affetti umani tra i