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ROSPERI, Tra evangelismo e controriforma. G. M. Giberti,

Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1969. 36C

ESARE SPECIANO, prop. 370.

37ID., Monitione, c. 2r. 38Ibid., c. 142r-v

39Ibid., prop. 176: «Chi pensa a governare li Stati e trattare con gl’altri prencipi come si governa la Città et la Giustitia, s’ingannarà sempre».

da parte dell’autore. Le Proposizioni sono, infatti, costellate da con- tinui richiami ai «tempi tanto cattivi», che egli compara col momento in cui suo padre, Giovanni Battista, senatore di Milano, serviva Carlo V41: ora infatti, scrive il Cremonese, non ha più luogo la ragione, la

ratio, ma solo la violenza42.

Il nuovo assetto politico degli Stati sovrani impone nuove regole per l’azione politica, e in tal modo lo stesso antimachiavellismo di fine secolo ‘muta di segno’. Dinanzi ai problemi posti in essere dal Calvinismo in Francia, nelle Fiandre e nell’Impero, al Segretario fiorentino non spettava più il primato tra gli scrittori condannati all’Indice: egli era ormai divenuto più modestamente un gregario. È solo in seguito alle guerre di religione in Francia che il controllo cat- tolico sulla circolazione delle idee si svincola dalla mera condanna di teoriche manifestamente eretiche, rispondendo sempre più a precise esigenze della politica inquisitoriale. Non si tratta più di scongiurare la penetrazione delle dottrine luterane in Italia, come era accaduto nella prima metà del secolo: lo Stato pontificio si trova a fare i conti con i calvinisti in Francia, e con quelli «di Olanda et Zelanda [che] inviano occultamente de’ libri della lor setta in Ispagna et si vantano con gli amici di farlo, dicendo che l’Inquisitione di Spagna non pro- cede più con tanto rigore quanto soleva»43.

Accanto al Calvinismo che penetrava negli Stati ‘cattolici’ dalle Fiandre, restava aperto il problema della successione al trono di Francia; le trattative e la soluzione del caso furono il capolavoro po-

41Sulla figura di Giovan Battista Speciano, cfr.A

NTONIO TADISI, Vita di monsi-

gnor Cesare Speciano vescovo di Cremona, Bergamo, Antoine, 1786; PAOLO

MORIGIA, Historia dell’antichità di Milano, In Venetia, Appresso i Guerra, 1592,

pp. 637-641; ID., La nobiltà di Milano divisa in sei libri, In Milano, nella Stampa del

quon. Pacifico Pontio, 1595, p. 111 (il Morigia ricorda che al tempo in cui scrive Cesare Speciano è ancora nunzio a Praga); F. CHABOD, Il ducato di Milano e

l’impero di Carlo V, Torino, Einaudi, 1971; ID., Lo Stato e la vita religiosa di Mila-

no nell’epoca di Carlo V, Torino, Einaudi, 1971, ad indicem.

42C

ESARE SPECIANO, prop. 417: «Ho detto più volte, che siamo nati in tempi tan-

to cattivi, che hora mai non ha luogo la ragione, ma solo la violenza». Si metta in relazione questo ricordo con l’avvertimento guicciardiniano: «non si può tenere Stati secondo conscienzia, perché - chi considera la origine loro - tutti sono violenti». Si noti la contrapposizione operata dai due uomini di legge di «coscienza, giustizia e ragione» rispetto alla «violenza».

43Istruzione per Camillo Caetani, nunzio in Spagna, Roma 20 settembre 1592, in K. JAITNER, Die Hauptinstruktionen, cit., p. 86.

litico dell’assolutismo pontificio di Clemente VIII44. Le ricerche più recenti, condotte su documenti finora inaccessibili del Sant’Uffizio, mostrano come una nuova spinta propulsiva alla condanna degli scritti machiavelliani giunse proprio in seguito alle censure della

République di Jean Bodin, e ciò a conferma di quanto già individuato

da Anna Maria Battista nelle pagine dedicate all’antimachiavellismo in Francia e in particolare alla Ligue45. Fu in seguito alla violenta reazione della Ligue contro la politica di corte che mutò la fortuna del Machiavelli in Francia. È un fatto però che i pamphlets dei li-

guers non possedevano alcuna autonomia di giudizio né, tanto meno,

una valutazione fondata sulla lettura delle opere del Fiorentino. Par- tendo da tale premessa, Anna Maria Battista segnalava la necessità metodologica di un’indagine che differenziasse l’antimachiavellismo ugonotto da quello cattolico, valutando in tal modo la reale incidenza storica dell’uno rispetto all’altro: il primo rimase un fenomeno cultu- rale, circoscritto ad una élite di intellettuali; il secondo portò il nome del Machiavelli nelle piazze, come sinonimo di corruzione e perfidia nell’azione politica46. Calvino poteva essere indicato quale ‘figlio del Machiavelli’, come doveva scrivere l’Autore del De iusta Reip. chri-

stianae in reges impios et haereticos auctoritate (Paris, 1590) e

l’attacco dei liguers, per il tramite del Machiavelli, si spostò di volta in volta a colpire tanto Caterina de’ Medici e Enrico III, quanto l’eretico relapso Enrico di Navarra47. Il problema di questa letteratura propagandistica, negli anni ‘90 del Cinquecento, era dunque legato non già alle idee del Segretario fiorentino, ma piuttosto a scongiurare l’assunzione del potere da parte di ‘pessimi calvinisti’. E fu in questo preciso momento che la letteratura ugonotta poté essere associata, da parte del cattolicesimo romano, agli scritti del Machiavelli. Lo Judi-

cium del Possevino è il frutto dello sterile terreno dottrinale entro il

quale maturò lo spirito polemico della Ligue francese. Il Gesuita mantovano, come ebbe modo di indicare più tardi Gaspare Sciop-

44Sulle trattative di Clemente VIII per la conversione di Enrico IV, per il tramite di Alessandro Franceschi cfr. R. DE MAIO, La curia Romana nella riconciliazione di

Enrico IV, in ID., Riforme e miti nella Chiesa del Cinquecento, Napoli, Guida, 19922, pp. 143-187. Sul tema si veda anche P. C

ARTA, Nunziature ed eresia nel

Cinquecento, cit.

45A. M. B

ATTISTA, Sull’antimachiavellismo francese del sec. XVI, cit., pp. 75-

107.

46Ibid., p. 80. 47Ibid., pp. 90-91.

pio48, nel segmento antimachiavelliano si limitò a giudicare il Ma- chiavelli ricalcando il trattato di Innocent Gentillet49. Ciò dimostra come, nel 1592, l’antimachiavellismo costituisse, per il cattolicesimo romano, nient’altro che il ‘necessitato’ corollario per la legittimazio- ne dell’azione politica anticalvinista dei liguers.

Il nome di Machiavelli accanto a quello dei politiques era dunque necessario, ma a stento si crederebbe che esso costituisse ancora un momento centrale nell’azione inquisitoriale e di controllo avviato dalla politica cattolica: almeno alla fine del Cinquecento, il Machia- velli aveva insomma cessato di essere il «martello del papato»50. Gli interessi di Speciano non sono, in tal senso, differenti da quelli del Minucci o dello stesso Possevino. Il Cremonese, per di più, resterà fermo nella sua idea del tutto contraria alla ‘assoluzione’ di Enrico di Navarra, anche quando, questi, convertitosi, assumerà la corona di Francia col favore e la conferma di Clemente VIII. Il Machiavelli non pare dunque costituire per lo Speciano, così come per molti scrit- tori del tempo, un serio problema, o comunque un problema tale da giustificare la stesura di un lungo quanto articolato scritto come le

Proposizioni. Speciano, intendeva piuttosto individuare i caratteri

peculiari che il pensiero del Guicciardini era in grado di offrire alla soluzione dei dilemmi che il dibattito intorno allo Stato ridestava a fine secolo. Si allontanava in tal modo dalle compilazioni di avver- timenti del tempo, che, si è detto, furono essenzialmente rifacimenti alquanto appiattiti del testo guicciardiniano, miranti esclusivamente alla riproduzione dell’originale51.

48Cfr. M. D’A

DDIO, Il pensiero politico di Gaspare Scioppio e il machiavellismo

del seicento, Milano, Giuffrè, 1959.

49I

NNOCENT GENTILLET, Discours sur le moyen de bien gouverner et maintenir

en bonne paix un Royaume ou autre Principauté contre N. Machiavel florentin,

1576.

50Un’argomentazione contraria almeno per quel che concerne la fortuna di Ma- chiavelli a Praga si può trovare nell’importante volume di R. J. W. EVANS, The

Making of the Habsburg Monarchy. 1550-1700. An Interpretation, Oxford, The

Clarendon Press, 1979, trad. it. di A. Prandi, Felix Austria. L’ascesa della monar-

chia asburgica. 1550-1700, Bologna, Il mulino, 1981, p. 50 ss.

51A questo tipo di letteratura appartengono le compilazioni del Sansovino (FRANCESCO SANSOVINO, Propositioni overo Considerationi in materia di cose di

Stato, sotto titolo di Avvertimenti, Avvedimenti Civili, et Concetti Politici, In Vine-

gia, Presso Altobello Salicato, 1583), il quale rende peraltro esplicito il tentativo di imitazione, del Nannini (REMIGIO NANNINI, Considerationi civili, sopra l'Histoire di

M. Francesco Guicciardini, e d'altri historici. Trattate per modo di discorso da M. Remigio Fiorentino. Dove si contengono precetti, e regole per principi, per rep., per

Nel secolo della ‘precettistica politica’, i Ricordi potevano esser sì letti come un enchiridion per l’uomo di Stato, ma costituivano altresì la più completa negazione di ogni catechesi. Brevi come gli aforismi, i ricordi non richiedevano più alcuna giustificazione oggettiva e au- toritativa alla ritmica intermittente del pensiero. Essi, propendendo per una prospettiva soggettivistica, negano di fissarsi come regole generali di comportamento civile, e anzi, l’idea sulla quale poggiano è proprio la sanzione della loro invalidità in quanto regole; atti dun- que ad essere ricordati, i singoli avvertimenti non sono applicabili indistintamente, ma lasciano ben aperto lo spiraglio alla discreziona-

lità, da indirizzarsi secondo prudenza52. Il modello rompe con

l’incessante ricerca dell’auctoritas della storiografia umanistica: so- lamente l’esperienza viva e personalissima ha valore autoritativo nella pratica politica. È questa l’amara e consapevole attestazione della perdita di valore delle regole giuridiche e morali, del loro ordi- ne e della fallacia degli exempla politici e giuridici. Il riconoscimento della crisi politica e giuridica è senza dubbio il dato più rilevante e più cupo del pensiero di tardo Cinquecento al cospetto della maturità dello Stato. La piena crisi dell’umanesimo rinascimentale, nel pen- siero cattolico, apriva da un lato la via ad una visione pessimistica della politica, scettica dinanzi alla miglior forma di governo e di Sta- to, come fu per Montaigne; dall’altro al tentativo di rifondare un or- dine della respublica christiana, che dava per acquisita «la forma che gli stati avevano assunto nella seconda metà del ‘500», fermo restan- do un certo pregiudizio per quella repubblicana, prescelta dal Calvi- nismo53. Proprio il calvinismo diveniva, con l’accessione alla corona

capitani, per ambasciatori. Con CXLV advertimenti di M. Francesco Guicciardini nuovamente posti in luce, In Venetia, appresso Damiano Zenaro, 1582) che legge la Storia d’Italia come una lunga serie di massime generali estratte dalla storia, di

validi exempla (cioè quanto di più lontano dal mondo ideale del Guicciardini). E lo stesso Corbinelli, impegnato a ricercare, nella lunga aggiunta alla sua edizione pari- gina dei Ricordi, in modo più o meno arbitrario i fondamenti teorici e dottrinali greci e latini dei singoli avvertimenti. Ciò che redeva «esplosiva» la scrittura rapsodica era l’assenza dell’idea sulla quale si fondava ogni «trattato»; in essa mancava l’elemento più ricercato dai pensatori politica, cioè la ‘via’, la methodus. Si sdegnava il metodo, ma anche l’elemento fondante il trattato: la ricerca della verità attuata mediante il richiamo all’autorità (cfr. W. BENJAMIN, Il dramma barocco tedesco, cit., pp. 5 ss.).

52 Sul significato assunto nel ‘500 dal termine «discrezione» cfr. P. C

ARTA,

Guicciardini scettico?, cit.

53Cfr. V. I. C

OMPARATO, Il pensiero politico della Controriforma e la Ragion di

di Francia di Enrico di Navarra, il problema centrale di ogni possibile equilibrio interstatuale nel progetto di una respublica christiana. Le Guerre di religione in Francia avevano attivato una crisi delle «co- scienze», la cui forza propulsiva difficilmente poteva essere ricom- presa entro i confini propri della cristianità. I nunzi pontifici furono gli attivi protagonisti delle mutazioni negli assetti politici e confes- sionali degli Stati: è questo il momento in cui emergono figure tanto importanti quanto trascurate dalla storiografia come i fratelli Caetani; il Bonomi; Filippo Sega; Ottavio Mirto Frangipani; il Taverna e Ce- sare Speciano, per l’appunto.

LA POLEMICA CONTRO LA RAGION DI STATO

Il dibattito intorno al quale si dispiegano gli avvertimenti schiet- tamente politici di Cesare Speciano, si è detto, è più che mai legato ai temi che circolavano ampiamente nell’Europa di fine Cinquecento e che avevano avuto il loro avvio con la stampa del primo trattato poli- tico, in senso stretto, dell’Età moderna: la République bodininana, presto seguito dalle prime confutazioni, il De Republica di Pierre Grégoire in testa1. Lo Speciano è nunzio nella Spagna di Filippo II e dal maggio 1592, egli ricopre il medesimo ufficio presso la corte di Rodolfo II, ove risiederà fino al 15972. È nell’Impero che si può, a ragione, ritrovare il momento più drammatico della crisi politica di fine Cinquecento; è lì che si coagulano più esperienze politiche e religiose tra loro contrastanti. Se da un lato l’accordo del 1555 am- metteva le differenze religiose, dall’altro non contemplava in alcun modo la presenza dei calvinisti, i quali restavano privi di un proprio statuto legale. Il modello repubblicano delle Fiandre divenne ben presto anche la spinta per una politica antimperialista tra i calvinisti delle città libere di Germania. A complicare il quadro antimperiali- stico si aggiungeva anche il problema dei «principi vescovi» riforma- ti, sottoposti alla clausola reservatum ecclesiasticum, che accompa- gnava gli accordi della Pace di Augusta. La disposizione, con la qua- le si sanciva la confisca dei beni nei territori dei vescovi che avevano aderito al protestantesimo e la loro cessione alla Chiesa cattolica, non promanava da un accordo tra le parti, ma era stata sancita con vero e proprio decreto imperiale. La clausola costituiva anche la leva per

1Fu la République a riportare in auge il trattato, propriamente inteso, nel terreno politico. Solo dopo Bodin sarà possibile concepire una Politica Methodice Digesta. Quello bodiniano era realmente la riproposizione del trattato così come lo concepiva la scienza medievale, cioè come mosaico di auctoritates, in cui «la frammentazione in capricciose particelle non lede la maestà, la considerazione filosofica non soffre una perdita di empito» (W. BENJAMIN, Il dramma barocco tedesco, cit., pp. 4-5). Ciò

che siamo soliti chiamare «trattatistica politica», prima di Bodin, necessiterebbe di una più appropriata definizione.

2Cfr . R. J. W. EVANS, Rodolfo II, cit., pp. 67-122, ma soprattutto le eccellenti pagine, che richiamano direttamente quelle di Evans, di R. SCHNUR, Individualismo

mezzo della quale lo Stato pontificio avviava, a fine secolo, la sua azione politica nell’Impero, come mostrano le istruzioni compilate dal mons. Minucci per il nunzio a Praga, Cesare Speciano.

La finalità politica della nunziatura era di «instillare» nell’Imperatore una precisa «rappresentatione de’ rispetti politici et della publica quiete [...] prevedendo che non sia ingannata S. Maestà Cesarea da’ Ministri et eretici»3. A tal fine si rendeva opportuno af- fiancare all’Imperatore «i consiglieri più catolici et più sinceri» e far comprendere a Rodolfo quanto importasse «al buon governo dell’Imperio oltre ’l divino servitio, che si deve curare sopra ogn’altra cosa, il mantenere li stati catolici et accrescerli; poiché è proprio degli heretici denegare anco l’obedienza al principe»4. Al mantenimento e all’ampliamento del cattolicesimo, o meglio degli Stati cattolici, ogni occasione poteva essere buona per «instillare concetti utili al servitio divino» nella mente e nella coscienza dell’Imperatore5. Il primo passo da compiersi era la sostituzione del padre agostiniano Martin Guzman, confessore dell’Imperatore, con persona «zelante, prudente et grave»: il negozio necessitava di «cir- conspettione grandissima, perché il solo credersi che V. S. Reveren- dissima se ne pigliasse pensiero, potria adombrare et impedire talvol- ta il bene»6. Ma veniamo alla clausola reservatum ecclesiasticum, così come il Minucci la descrive al Cremonese.

Il pericolo da scongiurare era quello di lasciare una larga autono- mia politica ai ‘riformati’, in particolare a quei principi vescovi «ere-

3Istruzione per Cesare Speciano, Roma 5 maggio 1592, in K. J

AITNER, Die

Hauptinstruktionen, cit., pp. 54-55.

4Ibid., p. 55 [il corsivo è mio]: «et S. Maestà Cesarea tocca con mano che in ogni occorrenza è più obedita et più servita dalli cattolici et in spetie dalli ecclesiastici che dalli heretici, li quali si mostrano non meno ribelli dell’Imperio et delle leggi che di Christo et della vera fede sua».

5Ibid., p. 56. A pochi anni dalla pubblicazione della Ragion di Stato il lessico bo- teriano era entrato a pieno titolo anche negli atti ufficiali della Chiesa. Poco più avanti il Minucci scrive (Ibid., p. 61, il corsivo è mio): «Venendo hora alla Germa- nia [...] si toccaranno solamente alcuni particolarii necessarii alla conservatione et

mantenimento dello Stato presente et a quelli avanzi che se ne ponno andare procu-

rando».

6Ibid., p. 56. «Zelante, prudente et grave», questi erano i requisiti che il Minucci richiedeva ai consiglieri cattolici. Gli attributi ritornano costantemente (Ibid., p. 57): «s’haveria almeno a procurare che i ministri, che s’adoperano nel governo delle cose spirituali o temporali, fossero catolici et zelanti»; i medesimi attributi sono riferiti al padre Paul Baranyay ungherese del Collegio germanico in Roma (Ibid., p. 58). Sul caso si veda ora P. CARTA, Nunziature ed eresia, cit.

tici» che solevano evitare la conferma a Roma, che necessariamente doveva seguire il conferimento della carica da parte dall’Imperatore7. Presentandosi la vacanza di una sede arcivescovile, era indispensabi- le esortare l’Imperatore a scegliere «soggetto catolico et atto a tanta cura» e «che non potrà essere appobato da S. Maestà se non sarà tale che la sede Apostolica habbia a confirmarlo»8. Si trattava dunque di eliminare dal campo politico i cosiddetti «falsi vescovi»9, con giuri- sdizione sopra i sudditi e dichiarati principi dell’Impero, sebbene privi dell’approvazione romana. Il Minucci chiedeva allo Speciano che si impedisse che coloro i quali non chiedevano o ottenevano la conferma dalla Sede Apostolica (alla quale si erano sottoposti per giuramento al momento del conferimento del titolo), ricevessero giu- risdizione alcuna sui propri sudditi. Era necessario che ad essi fosse interdetto di «impetrare i regali di S. Maestà, co’ quali gl’eletti ven- gono a dichiararsi prencipi dell’Imperio»10. La proliferazione dei «falsi vescovi» doveva essere frenata limitando il loro spazio nelle diete, infatti se così non fosse11:

Veniriano essi senz’altro al conseguimento delle loro antiche pretensioni solecitate da gran tempo in qua con molta premura d’ottenere per l’Imperio una libertà di religione con indifferente adito alli cattolici et alli heretici per tutte le dignità et beneficii ecclesiastici grandi o piccioli; la quale enorme et importuna dimanda si suol esprimere con nome composito ‘freistellinga’, che significa constituzione di libertà, mediante la quale intendono di liberare gl’heretici dall’obligo in che li mette la Constituzione della Pace, cioè di cedere alle dignità, beneficii et emolumenti ecclesiastici, qualunche volta si dipartono dalla religione cattolica [...].

A Speciano si richiedeva una precisa conoscenza di tutti i fonda- menti giurisdizionali dell’«una et dell’altra parte, non solo per saper- ne parlare ove farà bisogno, ma anco per saper difendere la verità»12. A tal fine era indirizzata la richiesta del Minucci perché lo Speciano facesse tradurre il Tractatus De Autonomia13, il quale poteva fornire

7Ibid., p. 61.

8Ibidem.

9Ibid., p. 62: «In spetie nell’ultima Dieta d’Augusta [...] hanno tenuto il luoco in nome de’ falsi vescovi».

10Ibid, p. 61. 11Ibid., p. 62-63. 12Ibidem.

13Ibid., p. 63 n. 19-20. Si tratta del trattato De autonomia. Das ist von Freystel-

lung mehrerley Religion und Glauben ..., pubblicato a Monaco nel 1586. Il trattato,

«grandissimo lume, non potendosi far fondamento in Germania di propugnare il vero culto et la vera religione solo con l’autorità de’sacri canoni o de’ concilii, ma con quella ancora delle constitutio- ni imperiali le quali sono ordinationi stabilite nelle publiche ragu- nanze di tutti li prencipi et stati dell’Imperio. Et con queste se ben si sono fatti grandissimi pregiuditii alla parte catolica, è però da deside- rare che almeno li sieno anco conservate quelle securezze et quelle ragioni che dalle medesime ci sono riservate»14.

Questo era dunque il quadro generale dell’Impero che il Minucci tratteggiava per il nunzio entrante, prima di siglare i restanti capi delle istruzioni con i diversi negozi rimasti pendenti dalle precedenti nunziature. Passando oltre la Francia che restava ancora una «nazio- ne turbata e afflitta più di quanto si possa immaginare»15, come la indicava Francesco Pucci, nella lettera dedicatoria a Clemente VIII del suo De Christi servatoris efficacitate (1592), è l’Impero di Ro- dolfo II che appare, in quel frangente, come il più recettivo delle eterogenee linee di pensiero europee del tempo. La «tensione univer-