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[c. 1r]

P

ROPOSITIONI CHRISTIANE ET CIVILI*

subalternate a Dio

con le quali s’intende et prattica le cose politiche senza offendere la propria conscienza

Pro me solo, non aliis donec vixero

Questo libro si cominciò a Roma di ottobre l’anno 1585

*NOTA AL TESTO: Il testo delle Propositioni che qui si presenta è rica-

vato dal manoscritto 1544 conservato nella Biblioteca Trivulziana di Mila- no. L’ortografia è stata rigorosamente rispettata; si è fatta naturalmente eccezione per la distinzione fra u e v e per l’uniformazione dell’uso di i e j. Tutte le abbreviazioni sono state sciolte, salvo quelle di carattere tecnico e quelle facenti parte dell’uso corrente.

[c. 1v]

Sanctus Thomas in prin. secunda secundae dicit sermones morales univer- sales minus esse utiles, eo quod actiones versantur circa particularia. Idem dicit Iurisconsultus in l. omnis, ff. de regulis iuris, ubi omnem definitio- nem, idest propositionem generalem, periculosam esse affirmat.

[c. 2r] Monitione

Ogn’uno resti avvertito chi leggerà queste propositioni massime politiche, che essendo generali difficilmente si ponno accommodare a cose particola- ri, li quali sempre hanno varietà, et per questo ogni regola è pericolosa a chi non se ne sa valere, principalmente considerando tutte le circonstanze per minime che siano, percioché ogni cosa può alterare grandemente la dif- finitione generale, la quale non serve ad altro che ad illuminare l’intelletto et farlo più atto a considerare le cose particolari, havendo però l’occhio alla regola generale, la quale, specialmente nelli discorsi, è sempre utile. Il me- desimo avvertimento è dato avanti nel n. 151 più amplamente.

[c. 3r] Al lettore

Quantunque dal principio della mia gioventù mi fossi didicato alla vita ec- clesiastica et mi facessi sacerdote di XXVII anni, con speranza di continua- re la vita mia in grado inferiore sin’ al fine negli officii della Chiesa et della disciplina ecclesiastica che havevo incominciato l’anno 1567 sotto il grande et santo mio cardinale Carlo Borromeo, nondimeno piacque a lui per qualche occulto giuditio di Dio di adoperarmi in molte cose et man- darmi spesso a Roma a trattare col sommo pontefice per cose pertinenti alla sua Chiesa. Onde con questa occasione il medesimo Pio Quinto volse che io lo servissi in altre cose col mandarmi in Spagna; et poi, ritornato a Roma, gli altri pontefici non mi lasciarono andar più a Milano, ma sempre in diversi tempi m’occuparono dentro di Roma, et poi fatto vescovo, fuori, in varii officii et nuntiature, nelle quali havendo col longo uso notate alcu- ne propositioni fondate nell’esperienza per maggior servitio di Dio, della Chiesa et publico, le ho voluto mettere insieme in un volume, acciò non vadino a male come fariano facilmente se fossero sparse, con un qualche dì potriano venire in tali mani che dassero loro miglior forma che non hanno adesso per essere poi più fruttuose, [c. 3v] massime non havendo io havuto da principio altra mira che scriverle per memoria di me solo. Però se mai verranno in mano di alcuno, desidero che si sappia, che non si sono scritte credendo che siano cose di prudenza, della quale mai ho fatto professione, ma solo si sono scritte con simplicità dettata da quel zelo dell’honore di Dio et servitio publico, che è piacciuto alla Maestà Sua di darmi, et dal ve- dere molte cose andare a male, o per non esser bene considerate, o per ma- litia; contra li quali dui mali ad un animo ben inclinato forse saria facile cavare da questi pochi ricordi qualche buon remedio, et quando non se ne cavasse se non uno, mi terrei contento per quello che ha da essere doppo me, perché la prima intentione come ho detto è stato di scriverle per mia memoria et non per altri, sebene mi saria caro che il frutto fosse grande ap- presso tutti coloro che li leggeranno, massime se saranno huomini di go- verni grandi per servitio della Chiesa santa per la quale io ho affaticato più di trenta anni sin’a questo dì primo dell’anno MDLXXXVII. Fatta in Praga ove ero nuntio di Nostro Signore Clemente VIII appresso Rodolfo Secondo Imperatore.

[c. 8r]

1. Chi ha luoco principale appresso un principe savio è buon mezzo da conservarselo il non far cosa per la quale esso conosca che tu credi di pote- re assai con lui, et questo sarà in andare circonspetto di non risolvere da te cosa importante, percioché oltra che puoi errare, etiam per gl’accidenti alli quali tutte le deliberationi sono soggette, acquisti anche gratia appresso il principe con mostrare che stimi assai il giuditio suo etiamdio nelle cose non grandi, ma avverti di non lo straccare et farti dire fuori di proposito: mi avete sturbato.

2. Appresso ad un principe di che qualità si voglia, niuna cosa ti aiutarà più ad acquistare la gratia sua, che se gli mostrarai d’havere li medesimi fini ch’egli ha; et però nel parlare seco, mostrati d’essere affetionatissimo alle cose sue, et sia con verità, et in questo non si può errare, ancora che qual- che volta si passano i termini della modestia, per servitio del padrone, col padrone stesso, come fece il gran cancelliero Gattinara che non vuolse sot- toscrivere la liberatione del re di Francia etiam che l’imperatore glielo co- mandasse, allegando che non conveniva al servitio di Sua Maestà il liberare il re nel modo resoluto; et detto gran cancelliero fu poi sempre ho- norato dall’imperatore et per suo mezzo fatto cardinale. Ma si deve avverti- re di fuggire la simulatione perché conosciuta fa perdere la gratia del principe et habbisi sempre l’honor di Dio avanti gl’occhi, et quello del principe. [c. 8v]

3. Il principe terribile et severo ama più li servitori miti che li terribili, et la causa è che li miti gli paiono suoi servitori et dipendenti tutti da lui, ma gl’altri paiono più tosto compagni nel governo; et se bene da principio li severi vanno un poco inanzi, nondimeno ho visto per esperienza che in fine restano adrietro et li miti veramente virtuosi sono stati premiati, perché la virtù della quale manca il principe severo è riconosciuta in chi la tiene. 4. Chi governa una città grande et nobile deve temere di tumulto o seditio- ne più presto da quello che ha l’amore del popolo basso che di quello che ha seguito di nobili; perché li nobili che sono ricchi non vogliono arrischia- re il loro havere in un motivo et forse non gli piace d’havere un par loro per signore; ma li popolari et plebei corrono appresso l’appetito di colui che è loro capo, né giova dire che la parte de nobili possa resistere al capo della plebe, perché molte volte si suole stare a vedere l’esito del negotio, et il capo della plebe con fare un motivo d’importanza sarà seguitato da gran moltitudine, et di questo ce ne sono essempi non molto antichi.

5. Ove non è giustitia non può anche essere la pace, perché iustitia et pax osculatae sunt, et se bene non si vede sempre guerra [c. 9r] quando manca la giustitia, nondimeno la ci è sempre tra cittadini, perché si veggono mor- ti, latrocinii et altri mali infiniti simili a quelli della guerra; et però dove non è giustitia ogni buono deve fuggire di stare. Né ci è cosa che causi più questa ingiustitia, che il transcurarsi dal principe li buoni costumi publici, come di spese grosse che fanno i cittadini in banchetti, vestiti, famiglie so- verchie, giochi et simili cose, dalle quali nascono le violenze, l’inimicitie particulari et finalmente il poco rispetto verso il principe et in consequenza l’oppressione della giustitia, et qualche volta ancora il desiderio della mu- tatione dello stato; et specialmente quando a questi tali mancano le com- modità di continuare nelle spese; et però chi governa doveria aprire molto bene gl’occhi a queste cose, et non lasciarle andare troppo avanti, acciò non si faccino irremediabili come ho veduto in qualche luoco, et è cosa na- turale, che li mali costumi non corretti sempre diventano peggiori.

6. Se tu ha servito un principe in luoco buono et che poi morto il successo- re, conoscendo qualche tua virtù, si voglia esso ancora servire di te, è bene di avertire che se il secondo principe non è della natura ch’era il primo sarà difficil cosa per non dire [c. 9v] impossibile il soddisfarlo; et meno sodisfa- rai a te medesimo, perché sei avezzo ad altro modo di procedere; et però io ti conseglio che se puoi, cerchi di servire questo secondo in servitio più lontano che d’appresso; ma bisogna raccomandarsi a Dio et indrizzare ogni pensiero principalmente a lui perché questo è un negotio che ha più diffi- cultà che forse altri non si crede.

7. Si come è licito a ministri in qualche caso estendere la facoltà datagli dal padrone, così devono ancora limitare la facoltà assoluta che gli fosse stata concessa, quando credono che convenga così all’honore o all’interesse im- portante del padrone.

8. Se un principe in gioventù è huomo irresoluto, aspettalo pure declinando l’età quasi affatto inutile, né spera ch’egli mai sia per far cosa virile, se non in caso che sia forzato da pura necessità, et più tardi che potrà, in maniera tale che sarà l’attione sua in buona parte anche fuori di tempo, né si deve sperare nel consiglio delli suoi, perché essendo di natura tale non gli piace- ranno se non huomini simili a lui.

9. Chi vuol sapere la natura di qualche persona, se bene non la conosce, poco si gabberà conoscendo li suoi amici, giudicandola tale come son’ essi, et perciò è anche buona regola [c. 10r] di conoscere la natura d’un princi- pe, per grande ch’egli sia, sapere la qualità degli huomini che pratticano con lui domesticamente; in caso però ch’esso principe non fosse tanto sa- vio (il che si vede in pochi) che sapesse trattare con tutti et valersi di cia-

scuno, secondo la virtù che tiene; et a questo tal principe è meglio servire che ad ogn’altro, perché con esso poco può la malignità della corte, né si è così soggetto alle mutationi che si veggono tanto spesso, onde se quel che serve è savio, può essere quasi sicuro di riuscir bene. Il che non si può neanche verisimilmente promettere servendo ad un principe di poca pru- denza, perché il poco savio si muta, come dice Salomone, stultus ut luna

mutatur, et mutandosi è forza al fine che te ne riesca male per prudente et

utile che tu sii. Onde è meraviglia che huomini savii vadino a servire a si- mili principi, perché non se ne può sperare né honore et meno utile che sia durabili.

10. Pare un paradosso, et pure credo io che sia vero, che è manco male per il ministro che il principe si scorrucci seco spesso con ragione che a torto, perché scorrucciandosi con ragione, se tu t’emendi et servi di poi bene rac- quisti la gratia sua, ma se si adira a torto tu stai fresco, perché è segnale ch’è alienato [c. 10v] da te in modo che ingiustamente accusa quello che tu fai bene, et perciò raccomandati a Dio et cerca di partirti da lui col manco male che sia possibile, che forse col tempo si mutarà, et tu haverai fuggito la borasca.

11. Pare, come è vero, che la giustitia rigorosa tiene la republica quieta et viene molto lodata da chi non intende bene le cose come sono, ma io dirò che sicome la giustitia rigorosa leva molte insolenze nei grandi et potenti che sono quelli che più facilmente le ponno fare, così fa anche li poveri in- solenti verso li grandi, percioché questi o per guadagno o per mala natura, come suole essere nella feccia della plebe, non porta alcun rispetto alli no- bili, ma li strapazza sotto lo scudo della giustitia, il che forse è danno più considerabile che non pare.

12. Conviene sempre al suddito haver gran patienza in suffrire le cose del principe, specialmente se questo inclina alla tirannide, perché se ti fa di- spiacere con giustitia, tu hai il torto a lamentarti et mormorare di lui, ma se tu hai ragione, tanto più devi haver patienza et tacere, perciocché se il prin- cipe ti offende senza che gli habbi data giusta causa, né apparenti ragioni, tanto più ti perseguitarà [c. 11r] s’egli sente che tu l’offendi col mormorare di lui; et però col tuo principe sii sempre humile et ringratialo quando ti fa bene et mostra di non sentire quando ti fa male, se tu non vuoi laudarlo an- che di questo, come saria più espediente se fai pensiero di vivere nello sta- to suo.

13. Quelli che governano devono più tosto essere terribili di fatti che di pa- role, che così saranno meglio voluti et più stimati che non sono quelli che sono aspri di parole et dolci di fatti; percioché colui che è aspro di parole lo suole essere communemente con tutti et perciò offende molte persone et di

quelli che non meritano reprensione; ma gl’altri, con la terribilità di fatti solamente, offendono li colpevoli che sono ordinariamente pochi, li quali l’odiano a torto, poiché il giudice ha fatto quello che voleva la giustitia, et però siate dolci et affidabili di parole et con fatti severi, che sarete tenuti buoni giudici et amati dalli buoni et stimati da tutti et temuti dalli tristi. 14. Dirò una cosa che parerà strana et nuova, et pure l’esperienza ha mo- strato essere verissima, che è necessario essere più liberale et splendido et meno interessato servendo a un principe stretto e avaro, che ad uno ma- gnanimo et [c. 11v] liberale, et la ragione è in pronto, perché il principe che ha la virtù della liberalità si pretia d’haverla, et non si cura d’essere imitato dalli suoi, anzi ad un certo modo gli dispiaceria, che altri contendessero seco in questa virtù; ma l’avaro sente il contrario come quello che non de- sidera cosa più che l’haver sempre più et perciò gli piace d’havere il mini- stro liberale, così perché lo presenta, come anche perché non lo molesta importunamente di paghe et non l’aggrava di spese, et in un certo modo il ministro cuopre con la sua liberalità il mancamento dell’avaritia del princi- pe, il quale non amando la virtù della liberalità, ma si la robba, è obligato ad amare più quello che lo seconda et non gli fa concorrenza, come se gli faria se il ministro fosse esso ancora avaro, perché si suol dire che non stanno bene dui ghiotti ad un tagliero.

15. Molte volte sono ito pensando donde procede che molti principi gravi et savii si dilettino de’ buffoni et d’altre persone impertinenti et mezzo pazze, parendo che di ragione doveriano fare tutto il contrario, perché quanto più uno è savio tanto più conosce et gli dispiaciono le impertinenze: ma considerando meglio, trovo che questa prattica [c. 12r] può havere al- cun bene in sé di sostanza oltra il trastullo, che alle volte danno simili huomini, per non dir bestie, et questo bene è che li principi, massime gran- di, si ponno assuefare a sentirsi riprendere et biasmare le loro attioni, et fare con questi mezzi habiti buoni di tollerare con patienza li difetti altrui, et che siano con verità ammoniti nelli proprii da huomini savii che gli stanno appresso, et io ho conosciuto (forse per questa causa) principi gran- di di grandissima prudenza et patienza a trattare con simili huomini; et quando il principe non ne cavi questo bene, mi pare che non possi fare la più biasmevol cosa che trattare massime spesso con simili huomini imper- tinenti.

16. Non deve il principe mai disauttorizare il suo ministro etiam che faccia cosa che non convenga, ma più presto rimoverlo et anche castigarlo se lo merita, perché il levare la reputatione al ministro che tuttavia lo serve è mala cosa et tanto mala che se il ministro lo tollera non può essere se non malo, percioché un ministro buono vedendosi levare l’auttorità, conosce ancora che la giustitia ne patirà, et il bene del padrone istesso, et però deve

licentiarsi in ogni modo, et non lo tollerare et se fa altrimente è segnale [c. 12v] che costui sia interessato, et che non curi la giustitia né il bene del pa- drone, anzi si rallegra, vedendo che le cose vadino a male, quasi in vendet- ta dell’auttorità et reputatione che gli è stata levata dal suo padrone imprudentemente.

17. A me pare che sia grande errore il dire che a Roma possa il tutto la for- tuna, et che si faccia grande ingiuria a quella santa città, perché oltre che la nostra santa fede esclude questo nome di fortuna, essendo ogni cosa nelle mani del Signore; intendendosi anche politicamente non sta bene, perché il dire che possa la fortuna, non vuol dire altro, se si considera la cosa bene et intrinsecamente, se non che ci sia mal governo, et che il principe sia im- prudente, percioché questa fortuna ben considerata non è fondata se non sopra l’imprudenza et male qualità di quelli che governano, li quali, o per ignoranza, o per malitia non sanno li motivi delli buoni o non li vogliono remunerare, ma più presto loro piacciono li vitii altrui, et quelli esaltano, il che è bestemmia a dirsi, specialmente in Roma. Il principe adunque savio et virtuoso esclude quasi affatto questo nome di fortuna con remunerare li buoni et benemeriti et tener bassi gli altri et castigarli. [c. 13r]

18. Un principe il quale desidera di complire bene, quando fa provisione di vittovaglie in una fortezza, ovvero fortificar meglio la medesima fortezza, o fare altre provisioni per assicurarsi di non essere offeso, farà sempre me- glio a dar queste cura ad una persona timida di natura, che ad un valente, purché nel resto sia habile et intelligente, et si lasci intendere che a lui me- desimo forse darà la cura di difendere quel luoco, perché il timido sempre fa assai più per paura di quello che bisognaria per difendersi et perciò può il principe star sicuro che sarà il luoco ben provisto et d’avantaggio, il che non gli riuscirà così bene dandone il pensiero al più valente, il quale col suo valore non pensarà a tante cose per difendersi come fa il timido. 19. Li principi mai lasciano morire le loro ragioni che hanno nelli stati al- trui, anzi le vanno cercando sotto terra, et questo non serve ad altro che a giustificare quando verrà loro l’occasione di spogliare li possessori, onde questa regola ha solamente luoco nelli principi molto potenti, et non nelli mediocri, li quali non possono haver speranza di occupare lo stato altrui, massime di principi più grandi ch’ [c. 13v] essi non sono, percioché devo- no più presto attendere a difendersi da loro et non se ne fidar mai, impero- ché quando hanno pigliato non mancano poi ragioni di difendere il fatto voltando tutte le historie et archivii del mondo.

20. Io veggo nelli principi certe contrarietà nelli pensieri loro et errori che mi fanno spesso maravigliare delli consiglieri che li veggono et non prove-