• Non ci sono risultati.

13Ibidem. 14Ibid., prop. 636. 15J

EAN BODIN, Rep. IV, 7, cit., cfr. ID., I sei libri dello Stato, II, cit., p. 585: «la

peggiore tirannide non arriva ad essere detestabile quanto l’anarchia»; si veda anche

Rep. IV, 3, Ibid., p. 470 e n.; Rep. VI, 4, Ibid., p. 445.

ci della ‘Biblioteca Speciano’17. Nella proposizione 735 egli tratta della tirannide ex parte exercitii e afferma di aver considerato «due sorti de’ principi mali, sotto il governo de’ quali li poveri sudditi vanno in rovina e sono trattati tirannicamente»18. I primi sono i tiran- ni, propriamente detti, appunto «quei che governano a modo loro, senza far conto degl’ordini, ch’essi sono obbligati ad osservare per promessa, o per giuramento, o per leggi del Paese» e questi «peccano per havere il cervello troppo gagliardo»19. I secondi sono i «pazzi» che peccano «per il puoco cervello, sì come il primo n’ha troppo, ma guasto» lasciando che «il popolo stesso diventi tiranno, et faccia ciò che vuole senza timore della Giustitia, o sospetto di offendere il suo principe»20. Al tiranno è lecito resistere per il Cremonese, che giunge a dichiarare l’ammissibilità del tirannicidio al fine di porre termine al «mal comune». Nessuna soluzione appare possibile per la tirannide del popolo. In perfetta aderenza al ricordo C 140 del Guicciardini, Speciano afferma l’impossibilità di una via politica e di resistenza dinanzi a un popolo «che non muore, et è una bestia di molti capi, e tutti pazzi»21. Sono soprattutto Bodin e Grégoire gli autori dai quali lo Speciano mutua l’idea22. La tirannide di un popolo, per il Cremo- nese, eclissa ogni responsabilità politica rendendo vano ogni diritto di resistenza. In tal senso l’anarchia, cioè l’assenza di ogni comando e di ogni obbedienza (quindi dello Stato stesso), che segue appresso la tirannide di un popolo, è il peggiore dei mali anche rispetto alla tirannide di uno, nella quale è pur sempre possibile rinvenire e isola- re una responsabilità politica. L’assunto, che Bodin giustificava col richiamo alla Politica di Aristotele e, per il tramite di Agostino, al De

17Cfr. Milano, Biblioteca Trivulziana, cod. 1125, fasc. XXVIII, Catalogo della

libraria di Monsignor Illustrissimo Vescovo Speciano (1607), cum brevi manuscrip- torum indice (1631), c. 7v: di seguito alle Lecturae di Cino da Pistoia il redattore del

catalogo segnalava «Tolos. in Singtamata T.2 info», si trattava per l’appunto del

Sintagma Juris Universi, di Pierre Grégoire.

18C

ESARE SPECIANO, prop. 735.

19Ibidem. 20Ibidem.

21Ibidem. Cfr.FRANCESCO GUICCIARDINI, Ricordi, cit., C 140, p. 152: «Chi disse uno popolo disse veramente uno animale pazzo, pieno di mille errori, di mille confu- sione, sanza gusto, sanza deletto, sanza stabilità».

22J

EAN BODIN, Rep. VI, 4 in ID., I sei libri dello Stato, III, cit., p. 449: «e

d’altronde, come potrebbe un popolo, ossia una bestia a più teste, senza giudizio e senza ragione, consigliare qualcosa di buono». Per le pagine di Pierre Grégoire cfr. D. QUAGLIONI, I limiti della sovranità, cit., pp. 270-271.

Republica ciceroniano, non doveva essere estraneo al Nostro23. L’unica via per prevenire la tirannide di un popolo, cioè lo sfalda- mento dell’assetto giuridico sotto un sovrano che l’Autore chiama «pazzo», è quella di affiancargli buoni consiglieri. L’affermazione è assai prossima all’intento bodiniano, così come lo annotava al mar- gine del capitolo I del Libro III della République, il traduttore italia- no dell’Angevino, Lorenzo Conti, per cui «è meglio d’haver tristo principe e bon consiglio, che buon principe e cattivo consiglio»24. Speciano ricalcava anche l’idea che sta alla base dei Ricordi del Guicciardini e alla quale deve molto la traduzione italiana dell’opera bodiniana25.

La legittimazione del tirannicidio da parte dello Speciano si inse- risce in una linea che va dalle posizioni dei gesuiti della tarda scola- stica spagnola, si pensi a figure come Juan de Mariana26, transitando per Pierre Grégoire, il Tolosano, fino a giungere al Bellarmino e alle polemiche libellistiche in tema di giurisdizione intorno all’interdetto di Paolo V alla Repubblica di Venezia (1605). Nel trattato scritto dal teologo della Cattedrale di Cremona con l’intento di prendere parte attiva nella «guerra dei libelli» contro il Trattato dell’Interdetto dei Sette teologi della Repubblica Veneta27, la posizione dell’Autore, che dichiara di voler scrivere in aiuto del proprio vescovo, intorno al tema del tirannicidio è chiara28:

Ragionando anco de’ sudditi laici, non sono obligati in tutti i casi obedire al Prenci- pe loro, ancora che da principio havessero immediatamente l’auttorità da Dio; per- ché se di pastore diventa lupo et di principe Tyranno et comandi cose ingiuste, non

23 A

GOSTINO, De civitate Dei, II, 21; per la citazione di ARISTOTELE, Politica, V

20 [ma V, 10, 1312 b] cfr. JEAN BODIN, I sei libri dello Stato, III, cit., pp. 445-446 n.

5. 24J

EAN BODIN, I sei libri della Republica del Sig. Giovanni Bodino tradotti di

lingua francese nell’italiana da Lorenzo Conti, cit., III, 1, p. 214.

25Cfr. La fortuna del modello guicciardiniano dei Ricordi, cit.

26Si veda per il pensiero politico dei gesuiti l’affresco approntato da V. I. COMPARATO, Il pensiero politico della controriforma, cit. Cfr. G. M. BARBUTO, Il

principe e l’anticristo, Napoli, Guida, 1994.

27Trattato dell’Interdetto Della santità di Papa Paulo V. Nel quale si mostra che

egli non è legittimamente publicato, et che per mlte ragioni non sono obligati gli Ecclesiastici all’essecutione di esso, ne possono senza peccato osservarlo, In Vene-

tia, Appresso Roberto Meietti, 1606.

28Milano, Biblioteca Trivulziana, Miscellanea storica ecclesiastica, Cod. N. 1128, fasc. X, Trattato del teologo della cattedrale di Cremona contro la falsa dot-

sono tenuti obidire i sudditi: anzi, in alcuni casi giustamene lo possono amazzare. Aggiungasi se ‘l Prencipe diventa heretico, se induce i sudditi all’heresia, se ingiu- stamente pisce quel d’altri [...]

Dinanzi al principe che diventa tiranno è ammissibile un diritto di resistenza, fino alla estrema possibilità del tirannicidio. Tra le condi- zioni che mutano il principe in tiranno, oltre all’eresia, ai comandi palesemente ingiusti e alla confisca, vi è anche il mancato rispetto delle proprie leggi positive. L’esempio del principe si riverbera sul popolo, in termini di «rilasciatezza» giuridica che può degenerare in una vera e propria ‘tirannide popolare’ o anarchia, di gran lunga più pericolosa perché impossibile da arginare. Speciano, d’altra parte, non manca di riconoscere implicitamente i cardini della sovranità, così come Bodin la aveva delineata. Non solo al sospetto dell’eretico convertito, che accompagna la sua trattazione si legano i motivi per cui è necessario dubitare delle azioni del Re di Francia Enrico di Navarra. In un ricordo successivo alla accessione al trono da parte del Navarra, lo Speciano individua proprio nel carattere primo della sovranità un motivo per cui diffidare della conversione del Re di Francia. «La volontà del principe è più forte ch’ogni scritta legge che vi sia”, esordisce nella proposizione 640 lo Speciano, infatti essa “è tutta fondata nella potenza, et imperio del prencipe, le quali due cose, quando veramente mancano alla legge scritta questa è molto inferiore alla prima»29. La forza della legge sta nella sua esecuzione, infatti quando il sovrano «non preme molto nella sua Legge, ancor che scritta, resta languida, et quasi sprezzata, o di niun momento, perché pare fatta più presto per complimento, che per altro»30. In tal modo il Cremonese giudica la conversione di Enrico IV, riprendendo l’idea che la volontà del sovrano deve essere obbedita e ne ribalta il postu- lato che la caratterizzava in origine: «per questo io dico, che nelle cose di Francia, si deve rimirare più alla natura del moderno Re, ch’è stato heretico così terribile, et nuovo, che alle leggi ch’habbi fatto, o sia per fare in servicio della nostra santa Religione, perché la legge servirà più tosto per inganno, che per altro, se il Re non preme assai nell'osservanza, ma se la volontà sarà contraria alla legge, sarà ubbi- dita esattamente, con rovina d’ogni bene»31. Difficile non trovare un’eco dell’assioma bodiniano nella proposizione. È dunque alla