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viene con la sapienza, lo Speciano oppone la sua realistica constata- zione85:

Si suol dire che gli Stati si conservino con quelle medesime vie, che si sono acqui- stati, et queste s’intende con la giustitia, bontà, et valore, con i quali s’acquistarono, ma questo è tenuto da alcuni tanto vero, che l’esperienza ci ha mostrato, che quelli stati che s’acquistano con violenza, et tirannide, o con altre male arti, li patroni si sforzano di conservarli con le medesime arti, come quelli che mai si sacciano di far male, et non s’accorgono mai di quello, che fanno, et del conto ch’infine hanno da rendere a Dio, et si trovano anche spesso ingannati al mondo.

Se dunque manca una vera definizione della ragion di Stato (ma non bisogna mai dimenticare che le Proposizioni del Cremonese non sono un trattato politico e non ne hanno la pretesa) è pur vero che egli accosta spesso il termine ai «particolari» e agli «accidenti» del suo tempo. Il termine si ritrova nei momenti in cui lo Speciano discu- te questioni legate alla successione di Enrico IV, all’appoggio dato al Navarra dagli Stati italiani, in particolare dalla repubblica veneziana. Si veda ad esempio la proposizione 433, datata 25 novembre 1597, e dedicata alle «ragioni» dello Stato pontificio per riprendere Ferrara, alla morte di Duca Alfonso II. Lo Speciano, pur sottolineando le giu- ste ragioni dello Stato pontificio sopra Ferrara, mostra la necessità di evitare più che è possibile l’uso delle armi. Egli propende piuttosto per una negoziazione, eventualmente per l’applicazione di un inter- detto o comunque per il ricorso ad una misura della giustizia eccle- siastica: «io havrei detto, che Ferrara è della Chiesa, et che come tale si doveva tenere, senza dare l’Investitura, ma havrei anche detto, che si pensasse a modi più soavi per rihavere quel Stato, li quali forse, non sariano mancati di censure, et interdetti et altre negotiationi, et massime con offerire all’Imperatore, un grosso essercito per la guerra di Ungaria»86. Presto aggiunge, non senza una nota critica rivolta alla politica papale nel trattare il caso di Enrico IV, che è ormai la ragion di Stato a muovere gli interessi dei singoli Stati:

piaccia a Dio, che m’inganni, e che Nostro Signore recuperi il suo, secondo il desi- derato zelo, et giustitia che ha, et che non si vegghino quei mali, che probabilmente si temono per via delle armi, et specialmente delle heresie, et altri scandali, massime

85Ibid., prop. 233. Su questa proposizione si vedano le annotazioni di D. QUAGLIONI, Prudenza politica e ragion di Stato nelle Proposizioni morali e civili di

Cesare Speciano (1539-1607), cit., pp. 45-56.

parendomi, che gl’animi hora in Italia, et anche in Roma per causa delle cose di Francia, trattate al tempo, ch’il Re era ancora heretico manifesto, non siano così haborrenti dalli heretici, come già erano, et come doveriano essere sempre, perché si è diffeso pubblicamente Navara quando era ancora condannato, et tenuto heretico da tutti et questo solo per ragione di Stato et per opporre quel Re agli spagnuoli, e tutto passò senza il debito castigo di quei fautori delli heretici su gl’occhi del Papa, et dell’universale inquisitione, la medema cagione di Stato mi dubito che si allegarà anche adesso da qualche principe, per tenere che la Chiesa non ricuperi il suo, o cresca con gelosia delli prencipi, massime più vicini.

Così come Enrico IV, ancora eretico, poté godere dell’appoggio di alcuni Stati italiani, solamente per «ragion di Stato», con l’intento di contrastare la politica di Filippo II di Spagna e senza il debito ca- stigo da parte dello Stato pontificio, allo stesso modo accadrà per la questione di Ferrara. «Per dichiararmi meglio», scrive Speciano nella proposizion 160, «dico che li signori venetiani et il Gran Duca, et altri principi italiani non hanno mai approbato che il Papa impedisca la corona di Francia al mal Re di Navarra, immaginandosi, che non l’haveria potuto impedire, et che se lo saria fatto inimico capitale, et della Chiesa»87. La questione di Ferrara si presentava ancora aperta e in tal senso lo spirito del Guicciardini dei Ricordi poteva ancora ap- parire di notevole attualità per il Cremonese88. Intorno al caso di Fer- rara l’Autore dispiega il discorso sugli interessi degli Stati. La sua annotazione del 1° dicembre 1597 riguarda l’esortazione dei principi italiani affinché Clemente VIII non muova «l’armi contra Don Cesa- re d’Este» e prende il suo avvio dalla lettura delle storie comparate all’esperienza89:

Io ho letto molti libri anche d’historie con qualche annotationi, et ho notate simil- mente molte cose ch’ho veduto con longa esperienza, che ho tenuta nelle corti, et di cose grandi, et dico che quando un principe, o più principi per mezzo dei loro amba- sciatori si riscaldano gagliardamente a raccomandare un altro principe a quello ap- presso al quale risiegono, se non è ascoltata la loro raccomandatione, passaranno alle armi, et con essi si procuraranno d’ottenere quello che di buona voglia non è loro stato concesso.

È solo l’utilità e non più la giustizia che muove la politica tra gli Stati. È la realistica constatazione di una completa assenza, nella