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honorato dall’Imperatore et per suo mezzo fatto cardinale; ma si deve avvertire d

fuggire la simulatione, perché conosciuta fa perdere la gratia del principe; et habbisi sempre l’honor di Dio avanti gl’occhi, et quello del principe» (CESARE SPECIANO,

Propositioni, c.5r). Questa proposizione risulta molto importante per risolvere que-

stioni sollevate intorno al giudizio guicciardiniano intorno al Cancelliere Gattinara dal Ridolfi e da Delio Cantimori per le quali si veda G. BARBERO, A proposito del

giudizio del Guicciardini sul Gattinara gran Cancelliere di Carlo V, «Bollettino

storico per la provincia di Novara», LXI, (1970), pp. 21-28. 27Cfr. J. -L. F

OURNEL, Lectures françaises de Guicciardini, in Francesco Guic-

ciardini Histoire d’Italie 1492-1534, Edition établie par J.-L. Fournel et J.-Claude

Zancarini, Paris, éditions Robert Laffont, 1996, II, pp. 710-729. Sulla fortuna del Guicciardini cfr. V. LUCIANI, Francesco Guicciardini and His European Reputation,

cit.; P.GUICCIARDINI, La storia guicciardiniana. Edizioni e ristampe, Firenze, Ol- schki, 1948.

28 ALESSANDRO TASSONI, Pensieri diversi, IX, 15 in ID. Prose politiche e morali, Roma-Bari, Laterza, 1980, pp. 286-287.

29 CESARE SPECIANO, Propositioni, cc. 145r-v. Si noti anche la presenza, accanto al nome di Guicciardini, del vescovo di Verona Giovanni Matteo Giberti, datario pontificio e personaggio assai vicino al Fiorentino. Del Giberti, il Guicciardini parla nel cap. 11 del Libro XV e nel cap. 12 del Libro XVI della Storia d’Italia.

Ogn’uno resti avvertito, chi leggerà queste propositioni massime politiche, che es- sendo generali difficilmente si ponno accommodare a cose particolari, le quali sem- pre hanno varietà, et per questo ogni regola è pericolosa a chi non se ne sa valere prudentemente, considerando tutte le circonstanze per minime che siano, perciò che ogni cosa può alterare grandemente la deffinitione generale, la quale non serve ad altro che ad illuminare l’intelletto et farlo più atto a considerare le cose particolari, havendo però l’occhio alla regola generale, la quale, specialmente nelli discorsi, è sempre utile.

I fondamenti dell’idea sulla quale poggia tutta l’opera, l’impossibilità di «governarsi secondo regole generali», provengono dalla lettura del volume di avvertimenti guicciardiniani, letti nella edizione del Sansovino dedicata a Rodolfo II o in quella del Nanni- ni31. L’assunto trova però una sua giustificazione anche con le fonti più tradizionali, che l’autore rende esplicite fin dal principio del suo scritto. Le Proposizioni si aprono infatti con una citazione della

Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino, seguita da un’allegazione

del libro De regulis iuris del Digesto sulla pericolosità delle defini- zioni generali. Entrambe le citazioni sono presenti solo nel codice in esame e sono state eliminate nella tradizione manoscritta32:

Sanctus Thomas in prin. secunda secundae dicit sermones morales universales mi- nus esse utiles, eo quod actiones versantur circa particularia [Summa theologiae, IIa IIae, Prol.]. Idem dicit Iurisconsultus in l. omnis, ff. de regulis iuris [D. 50, 17, 202],

ubi omnem definitionem, idest propositionem generalem, periculosam esse affir- mat.33

L’idea della pericolosità delle regole generali, le quali difficil- mente si possono adattare ai casi particolari e che ci fa apparire così innovativo il pensiero del Guicciardini, non doveva essere sconosciu- ta quanto meno ai frequentatori dei testi giuridici e della Summa the-

31 Gino Ruozzi è del parere che lo Speciano conoscesse la compilazione del San- sovino: cfr. Scrittori italiani di aforismi, cit., I, p. 402.

32 C

ESARE SPECIANO, Propositioni, c. 1v. Su questo punto si veda ora P. CARTA,

Guicciardini scettico?, cit.

33 T

OMMASO D’AQUINO, Summa theologiae, IIa IIae Prologus, Milano, Editiones

Paulinae, 1988, p. 1089: «Post communem considerationem de virtutibus et vitiis et aliis ad materiam moralem pertinentibus necesse est considerare singula in speciali: sermones enim morales universales sunt minus utiles eo quod actiones in particula- ribus sunt». D. 50, 17, 202. : «omnis definitio in jure civili periculosa est: parum est enim ut non subverti posset».

ologiae di Tommaso34. Il metodo adottato dal Cremonese, più che mai aderente allo spirito del Guicciardini, si presenta in tutta la sua ‘extravaganza’ alla fine del XVI secolo come particolarmente anima- to da un moto conflittuale verso la trattatistica cattolica intorno alla Ragion di Stato. Di più. Le stesse raccolte di lettere e avvertimenti pubblicate per forgiare una scienza politica dello Stato, parrebbero costituire oggetto di continua critica da parte dello Speciano. Nella proposizione 661, con evidente intento polemico contro la letteratura intenta a fornire istruzioni a coloro che ricoprono cariche pubbliche, scrive35:

Alcuni huomini dotti, et anco prudenti hanno scritto molti documenti per instruire cardinali, et ambasciatori a far bene l’officio suo mostrandoli le virtù, che devono havere, et li vitii, che conviene fuggire. Ma io alle volte mi sono burlato di simili fattiche perché non so, come si possa, o debba sperare, che un huomo già di qualche età iracondo, superbo, o avaro, debba mutarsi con leggere tali documenti, li quali al creder mio sariano stati meglio impiegati, dandoli a quei principi, che devono fare eletione d’ambasciatore, di cardinali, o d’altre dignità, e dire che si debbano dare a quelle persone, le quali già hanno le virtù, ch’essi vogliono insegnare a chi non gl’ha, perché non pare bene dare le dignità, et officii a chi all’hora non li merita, se bene potria forse meritarle, et lasciar adietro quelli, che già sono virtuosi, et che si può essere sicuro, che meritano quelle dignità. Dal che ne seguiria molto utile, per- ché manco si erraria nell’eletioni, pigliando li già conosciuti per buoni, et gli huomi- ni, che ancora non lo sono, cercariano di farsi virtuosi, et non si contentariano di dare speranza di volerlo essere, per conseguire le dignità che si desiderano, et per questo si trovano tanti, che non vi corrispondono, perché si paga avanti tratto la virtù, che si spera, et indietro si lascia quella, che già è conosciuta.

Nella scelta dei ministri atti alle cariche politiche, è necessario prestar fede alla natura del singolo. In tal senso i consigli vanno di- spensati non già a coloro che devono ricoprire un incarico, ma, piut- tosto, a colui che deve operare le scelte. La natura si forma con lo studio, ma soprattutto affinando la prudenza attraverso la pratica diretta della politica mediante l’esperienza. Era dunque l’esperienza diretta delle cose più che la dottrina fissata per regole generali a cat- turare l’interesse di Cesare Speciano. Egli poteva così scrivere, se-

34 Sui luoghi della Summa Theologiae ricordati dallo Speciano e la loro ripresa nella tradizione giuridica tardo medievale cfr. D. QUAGLIONI, Diritto e teologia nel

“Tractatus testimoniorum” bartoliano in ID., “Civilis Sapientia”. Dottrine giuridi-

che e dottrine politiche fra Medioevo ed Età moderna, Rimini, Maggioli, 1989, pp.

107-125 poi in Théologie et droit dans la science politique de l’État moderne, Ro- me, École Française de Rome, 1992, pp. 155-170.

guendo un’idea guicciardiniana, che «gli huomini dotti intendono facilmente ogni difficile auttore et gli huomini prudenti intendono, non dico le scritture degli auttori, ma la mente degli huomini vivi con li quali pratticano et io credo che questa scienza, per chiamarla così, sia da essere più stimata che la prima perché versa intorno a cose più difficoltose»36. E ancora37:

Tre cose sono necessarie a fare un huomo veramente prudente: la natura; l’uso e la dottrina. Ma la natura vale più di tutte le altre, massimamente s’è accompagnata poi dall’esperienza; et queste due vagliono tanto che, anche senza il terzo aiuto della dottrina, molti hanno fatto effetti grandissimi di prudenza, come si può vedere in molte historie antiche e moderne et tra questi si vede l’Argentone ch’era huomo idiota per scienza et pure fu tanto savio. Il che Guicciardino anche fu tale, né si sa che fosse molto dotto ancorché dottore.

L’Argentone, cioè Philippe de Commynes, l’ambasciatore di Car- lo VIII in Italia, e soprattutto il Guicciardini, maliziosamente ricorda- to come esempio di poca dottrina, lui che era invece giurisperito, sono entrambi richiamati come savi e prudenti38. L’ignoranza delle

36 C

ESARE SPECIANO, Propositioni, c.332v. Si confronti l’avvertimento dello

Speciano con la descrizione delle qualità di Luigi XI nei Mémoires di Commynes: «[Luigi XI] era assai istruito: amava interrogare e intendersene di ogni cosa e aveva un grandissimo buon senso naturale, che è la più importante di tutte le scienze che si possono imparare in questo mondo» (PHILIPPE DE COMMYNES, Memorie, cit., p. 91).

37 CESARE SPECIANO, Propositioni, c. 335v.

38 Per Philippe de Commynes e le relazioni dei suoi Mémoires con la letteratura politica italiana, particolarmente con le opere del Guicciardini, si veda ora il bel lavoro di JOËL BLANCHARD, Commynes l'européen : l'invention du politique, Gené-

ve, Droz, 1996. Al Blanchard si deve ora anche l’edizione critica dei Mémoires: PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, introduction, édition, notes et index de J. Blan-

chard, avec la collaboration de M. Quereuil pour le glossaire, Paris, Le Livre de Poche, 2001. I Mémoires vennero pubblicati per la prima volta nel 1524 e godettero ben presto di numerose edizioni. Fu, è possibile affermarlo, il primo esempio del passaggio da una storiografia ‘della corte’ a una storiografia ‘dalla corte’. La fortuna italiana, nella seconda metà del Cinquecento, delle Memorie del Commynes è in qualche modo dipendente dai diversi commentatori della Storia d’Italia di Guicciar- dini, come ad esempio il Porcacchi, che si cimentarono nel confronto delle notizie riportate dal Fiorentino con altri storici che dei medesimi fatti si erano occupati. Non meno delle edizioni francesi giunsero precocemente le traduzioni italiane tedesche e soprattutto latine che favorirono la circolazione dell’opera in Europa: i Mémoires erano ad esempio la lettura preferita di Carlo V (cfr. E. BALMAS - D. VALERI La

letteratura nell’età del Rinascimento in Francia, cit., pp. 154-155) e in Italia ebbero

una traduzione ad opera di quel Lorenzo Conti, che già si era cimentato con la Ré-

lettere e della scienza diviene motivo di ammirazione, poiché ne ri- sulta accresciuto il valore acquisito per il solo tramite dell’esperienza. I due, che per lo Speciano costituiscono un vero e proprio modello di saggezza utile per rimettere in discussione le re- gole della politica contemporanea, restano esclusivamente gli esperti diplomatici. I loro avvertimenti vanno per così dire storicizzati poi- ché ogni cosa precipiterebbe se i principi di oggi si governassero secondo i consigli di questi scrittori, ammonisce lo Speciano nella ricordata proposizione 370. È altresì vero che il loro metodo empiri- co è l’unico in grado di fondare una scienza politica e che si ponga, in sede preliminare, dinanzi al dilemma della validità e dell’effettività della norma politica39. Il termine ‘scienza’, usato con cautela dallo stesso Speciano, ha qui il solo valore di metodo atto a far comprendere le nuove dimensioni della politica. La scienza dello Speciano non ha niente a che vedere con le certezze matematiche che di lì a poco troveranno una loro sistematica applicazione al campo politico e giuridico. La politica è infatti per sua natura incompatibile con l’idea stessa di regola.

Il tema ritorna nelle Considerazioni sopra la vita di Gregorio

XIII, successive alla morte del Boncompagni (che fu tra l’altro giuri-

sta di scuola) e databili intorno al 1585, scritte dallo Speciano con-

pali de’ due re di Francia Ludovico undicesimo et Carlo ottavo tradotte da Lorenzo Conti, in Brescia, appresso Bartolomeo Fontana, 1613).

39 Tra le carte del Cremonese si trova anche lo scritto di un anonimo teologo in risposta al trattato sull’interdetto dei sette teologi di Venezia e quindi, come è noto, anche al Sarpi (elaborato «contro la falsa dottrina del teologo della repubblica vene- ta»). Alla contesa giurisdizionale tra Paolo V e la repubblica di Venezia sono, tra l’altro, dedicati i ricordi scritti dallo Speciano nell’ultimo periodo della sua vita. Nel trattato, ove compare spesso il nome del Botero accanto a quello più ricorrente del Bellarmino, l’anonimo autore, dichiarando di scrivere a beneficio e in aiuto del vescovo di Cremona, ripropone il tema della fallacia delle regole generali dinanzi ai casi particolari della realtà: «è cosa da ignoranti et poco civili, assolutamente et senza limitationi, dedurre, dalle propositioni universali, generali conseguenze et contro le regole dei Sacri Canoni perché in tutto il titolo de regulis iuris [VI, V, 12] si propongono 78 regole overo propositioni universali et non ve n’è alcuna che non patisca eccettione», tanto più, prosegue l’anonimo autore del trattato, che si tratta di questione ormai «‘trita’ in tutte le scuole di grammatica», Milano, Biblioteca Trivul- ziana, Miscellanea storica ecclesiastica, Cod. N. 1128, fasc. X, Trattato del teologo

della cattedrale di Cremona contro la falsa dottrina del Teologo della Rep. veneta

c.194v. Il riferimento è al titolo 12 (De regulis iuris) del Liber Sextus di Bonifacio VIII, che però si compone di 88 e non di 78 regulae iuris come indica l’autore. Proprio la regula LXXVIII sembra essere quella ricordata dall’autore: «In argumen- tum trahi nequeunt quae propter necessitatem aliquando sunt concessa».

temporaneamente all’inizio della stesura delle Proposizioni. Il Cre- monese pone tra le massime virtù del pontefice, tra l’altro giurista di scuola, la ponderazione di ogni singola conseguenza che derivava dalla causa proposta «dalli refendarii», i quali «non s’arrischiavano di proporre alcune cause delle quali et d’ogni circonstanza essi non fossero bene informati»40. Lo scritto è una fonte preziosa perché le

Considerazioni, alle quali fa seguito una raccolta di massime dello

stesso Gregorio XIII, sono compilate ricalcando il metodo adottato da Philippe de Commynes per il ritratto di Luigi XI, al quale lo stes- so Guicciardini si accosta per descrivere la personalità di Lorenzo dei Medici41. Si tratta di un ritratto che pone in risalto i vizi e finisce per esaltare i pregi del biografato, ma che soprattutto parte dalle osserva- zioni di ciò che l’autore poteva conoscere per sua informazione diret- ta, affermando espressamente che per il resto andavano interrogati altri «che avevano preso parte»42. Il valore probatorio della testimo- nianza oculare, tipica del dibattimento giudiziario, entrava così a far parte dell’indagine storiografica mutando in tal modo profondamente il peso dell’esperienza diretta43.

40 Le Considerationi sopra la vita di Gregorio XIII del vescovo di Cremona Ce-

sare Speciani sono trascritte da L. VON PASTOR, Storia dei Papi, cit., vol. IX appen-

dici nn. 81-85, p. 909-911. 41 P

HILIPPE DE COMMYNES, Memorie, I, 10, cit., pp. 47-49. Si veda anche il Pro-

logo del Commynes A Monsignore l’arcivescovo di Vienne ove parla di Luigi XI Ibid., p. 3: «In lui e in tutti gli altri principi che conobbi e servii vidi e bene e male

perché essi sono uomini come noi: a Dio solo si addice la perfezione[...]».

42 Considerationi sopra la vita di Gregorio XIII, cit., p. 909. Cfr. PHILIPPE DE COMMYNES, Memorie, cit., p. 4: «E dove io mancassi voi troverete [...] altri che ve

ne sapranno parlar meglio e metter giù ogni cosa per iscritto in miglior lingua di me».

43 Ciò è particolarmente evidente nell’opera di FRANÇOIS BAUDOUIN, De Institu-

tione Historiae Universae, Parisiis, Apud Andream Wechelum, 1561, sulla quale si

vedano le importanti note di M.-D. COUZINET, Histoire et méthode à la Renaissance.

Une lecture de la ‘Methodus ad facilem historiarum cognitionem de Jean Bodin,

LA BIBLIOTECA DI UN NUNZIO

L’attenzione per il momento eccezionale, il caso particolare, a- vrebbe detto Guicciardini, divenne dunque una costante della lettera- tura politica italiana del tardo ‘500. Gli è che mentre gli epigoni guicciardiniani vissuti a cavaliere tra Cinque e Seicento si affatica- vano nella rincorsa finalizzata all’inserimento dei propri scritti nell’attualità del dibattito intorno alla Ragion di Stato, il tema sul quale si era concentrato e arenato il dibattito politico italiano nel pe- riodo della Controriforma, Cesare Speciano, mostrando quasi di sde- gnarlo, come meglio si dirà, si sofferma a riflettere su questioni che avverte essere assai più urgenti, nel disperato tentativo di recuperare una tradizione che pareva ormai definitivamente in crisi. In tal modo ciò che negli scrittori sulla Ragion di Stato è per così dire sommerso dalle cautele ‘scientifiche’ e ‘sistematiche’ tese a comporre un im- pianto perfettamente logico, nello scritto del Cremonese emerge pre- potentemente e, se si vuole, mostrando i tratti contraddittori di una scienza politica colta ancora nel ‘suo farsi’. È realmente possibile fondare una scienza politica con una sua base etica e equitativa la quale, partendo dall’esperienza della realtà concreta, sia forte a tal punto da non poter essere piegata da alcun interesse «particulare»? È pensabile una scienza dello Stato che, privata dei legami con gli ele- menti normativi tradizionali, non sia riconducibile a una pura somma di opinioni vane e inapplicabili dinanzi al «vivo particolare»? In bre- ve, è possibile ricondurre la politica entro gli argini della norma giu- ridica che disciplina ciò che ‘per lo più accade’, ma che lascia alla coscienza del giudice e in questo caso dell’uomo politico l’adattamento della norma al particolare e all’eccezione?

Sono questi gli interrogativi sui quali riflette Cesare Speciano nel- le sue Proposizioni. Assai poco significava, per il Nostro, che tale interrogativo fosse stato già risolto positivamente dai teorici della Ragion di Stato. Secondo il nunzio, che così poco tempo riusciva a riservare all’attività teoretica, ogni regola politica, stabilita in quei libri si sfaldava dinanzi alla pratica, la quale necessitava piuttosto di un continuo adattamento ai costumi di colui con il quale «si aveva a

trattare» e ai luoghi ove si trattava, così come la testimonianza diretta di un Commynes, non a caso anch’egli un diplomatico, aveva ormai contribuito a rivelare.

Non che le opere politiche dei suoi contemporanei gli fossero estranee: tutt’altro. Si è detto del Guicciardini e del Commynes. Il

Catalogo della libraria di Monsignor Illustrissimo Vescovo Specia- no1, inventario redatto post mortem, nel 1607, rende pienamente con- to di quali fossero le sue letture e quale attenzione riservasse alle opere politiche del tempo. Ciò mostra ancor più che la sua fu una critica serrata e pienamente consapevole alla letteratura ‘cattolica’ del tardo Cinquecento. Il vescovo di Cremona aveva lasciato per testamento la propria biblioteca alla propria sede arcivescovile, con la clausola che essa non fosse smembrata e restasse accessibile a studiosi che desiderassero avvalersene: un legato trasmesso dunque

«pro servitio Patruum et etiam aliorum studiosorum comodo»2. Il

capitolo del Duomo di Cremona rifiutò la clausola e il fondo di Spe- ciano andò a infoltire la già consistente biblioteca del Collegio dei Padri della Compagnia di Gesù. Tale doveva essere anche l’intento originario del Vescovo, al quale il collegio cremonese dovette molto: fu infatti Cesare Speciano a chiamare i gesuiti a Cremona, da princi- pio chiedendo all’Ordine una missione e successivamente impegnan- dosi nell’erezione di un Collegio. Ad assisterlo in punto di morte era stato appunto un gesuita, il già ricordato Niccolò Botta, e molte delle sue proposizioni rivelano quale fosse la ‘simpatia’ che il Cremonese riservava per l’ordine. In uno dei ricordi databili intorno al 1607 Ce- sare Speciano scriveva3:

Ho notato con la esperienza, che li padri Gesuiti, sono molto odiati non solo dalli heretici nemici loro naturali, et capitalissimi, ma anco da catholici, de’ quali, intendo hora di parlare, et dico che ho notato, che catholici savii veramente gl’amano da dovero, et li stimano assai, perché sanno, ch’essi ancora sono molto savii per il più, ma li stessi, che si tengono savii, et altre persone anche grandi, che veramente non sono savie, ma si tengono per tali, gl’odiano grandemente, et ne sono tanti essempi de’ stessi grandi principi et prelati, che farei la cosa chiara, se volessi narrarli; con- cludo dunque, che li veri savii buoni, et anche politici, amano, et stimano li gesuitti, et li falsi savii gl’odiano estremamente, ancorché si tenessero d’essere buoni huomi-

1 Milano, Biblioteca Trivulziana, Cod. 1125, fasc. XXVIII, Catalogo della li-

braria di Monsignor Illustrissimo Vescovo Speciano 1607. Cum brevi manuscripto-