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ARTA, Nunziature ed eresia nel Cinquecento, cit.

2 Milano, Biblioteca Trivulziana, Cod. 1544, CESARE SPECIANO, Propositioni

Christiane et civili subalternate a Dio con le quali si intende et prattica le cose politiche senza offendere la propria conscienza, Al lettore c. 2r.

attivi presso lo Stato pontificio, coloro che si adoperavano per «la Chiesa santa». Del resto la scelta di modellare il proprio scritto su quello del governatore e diplomatico Francesco Guicciardini rispon- deva a uno scopo evidente3. Speciano adotta la scrittura privata per ‘ricordare’, intendendo il verbo nella sua accezione cinquecentesca. Il termine era tipico delle istruzioni diplomatiche e non della sola tradizione memorialistica dell’umanesimo fiorentino dei cosiddetti ‘ricordi di famiglia’4. Nei suoi ricordi politici è possibile rinvenire, in tutta la sua drammaticità, il dissidio tra teoria e prassi, tra validità ed effettività della norma giuridica così come politica, che caratterizzò le riflessioni più vive di fine Cinquecento5: la linfa vitale del ‘reali- smo’ cinquecentesco sta tutta nella piena acquisizione del dramma politico in atto. Le molteplici manifestazioni del pensiero, che muo- vevano la scrittura politica, andavano dalla memorialistica alla riela- borazione machiavelliana dello speculum umanistico; dai ricordi

3 Non dissimile, in tal modo, dal Lottini, cfr. G. R

UOZZI, Scrittori italiani di afo-

rismi, I, cit., p. 347.

4A titolo d’esempio basterà qui ricordare la chiusa delle istruzioni compilate dal Nunzio uscente a Praga Camillo Caetani per lo Speciano in J. SCHWEIZER, Nuntia-

turberichte aus Deutschland. 1589-1592, Paderborn, 1919, p. 586: «Fin’a questo

termine arriva l’osservatione, che io ho potuto fare quest’anno, congiunta con li prudenti ricordi del mio antecessore [...]». Non sono mai state studiate da una pro- spettiva strettamente letteraria le istruzioni diplomatiche, eppure credo riservino molteplici linee di notevole interesse per la migliore comprensione del linguaggio degli storici e degli scrittori politici del Cinquecento. Quello appena ricordato è solo un esempio, ma se ne può ritrovare una lunga serie. I ricordi erano nient’altro che gli avvertimenti sulle questioni pendenti annotate dal nunzio uscente o dalla segreteria pontificia sulla base delle relazioni del precedente nunzio per quello entrante. Le istruzioni si dividono generalmente per capi. I ricordi restano regole generali, al nunzio entrante si chiede però di opeare non solo seguendo tali avvertimenti, ma anche di applicarli «secondo desterità e prudenza» [Cfr. Istruzione per Cesare Spe- ciano, Roma, 5 maggio 1592, in K. JAITNER, Die Hauptinstruktionen Clemens’ VIII,

Tübingen, Niemeyer, 1984, p. 79]. Si veda al proposito l’esordio delle istruzioni per Camillo Caetani, nunzio in Spagna compilate da Bartolomeo Cesi, Roma, 27 ottobre 1592, Ibid., p. 94: «Sono sicuro che V. S. per la sua naturale prudenza et valore et per la lunga esperienza che ha de le cose gravi non ha bisogno di ricordi altrui, et massime de’ miei. Tuttavia per servare la buona usanza et per obedire al comman- damento di N. S., de le molte le dirò alcune poche cose, che paiono più necessarie, accioché facendo ella assai più di quello che ricordarò io, le dia occasione di corri- spondere largamente quella opinione che S. Bne si ha concetta de la sua singulare virtù et nobiltà d’animo et di sangue».

5Cfr. R. J. W. EVANS, Rudolf II and his World. A Study in Intellectual History

1576-1612, Oxford, The Clarendon Press, 1973, trad. it. di A. Prandi, ID., Rodolfo II

fondati sull’esperienza agli scritti utopistici; dal tentativo idealistico di dotare l’assetto statuale di un nuovo impianto giuridico fino al programmatico e deciso rifiuto dell’azione politica e della sua prete- sa giurisdizione sulle coscienze dei singoli6. Legato a tale riconosci- mento, ogni singolo tentativo di formulare una teorica politica «fon- data» sulla realtà, nel momento in cui si svincolava da ogni pretesa apologetica, finiva, malgrado l’originario intento dell’autore, per mettere in discussione il difficile equilibrio sul quale il potere costi- tuito si reggeva. Fino al momento hobbesiano, quanto meno, ogni scrittura sul potere e sullo Stato non poteva che essere una scrittura sui limiti del potere. Fossero essi ancora legati alla teologia, al dirit- to, alla morale o anche alla prevedibilità delle sue manifestazioni, si trattava pur sempre di limiti, di argini. L’indagine intorno alla loro

6Robert Evans, riferendosi al noto Ein Bruderzwist in Habsburg, indica in Franz Grillparzer l’autore che più di ogni altro ha saputo dar corpo a tale tensione. È in quel dramma del romanticismo tedesco, sul quale molte pagine spese Walter Benja- min (cfr. W. BENJAMIN, Ursprung des deutschen Trauerspiels, Frankfurt, 1963, trad. it. di E. Filippini, Il dramma barocco tedesco, Torino, Einaudi, 1971, pp. 52 ss.), che viene dato rilievo al ‘corto circuito’ che costituisce altresì il lascito ideale delle teo- rie politiche del Cinquecento: lo Stato come ideale armonico si contrappone alla realistica constatazione del potere come “realtà che deve accordarsi con ogni realtà”, il quale non può originare se non «istituzioni umane [alle quali] è unito necessaria- mente un grano di stoltezza». F. GRILLPARZER, Ein Bruderzwist in Habsburg, trad. it a c. di E. Pocar, Parma, Guanda, 1977, p. 115. Si veda anche l’interpretazione in chiave decisionistica e schmittiana di E. Castrucci nel saggio introduttivo a R. SCHNUR, Individualismus und Absolutismus, Berlin, Duncker & Humblot, 1963,

trad. it. E. Castrucci, ID., Individualismo e Assolutismo, Milano, Giuffrè, 1979, p.

IX. Il monologo merita di essere riportato per intero poiché scopre che l’intento di Grillparzer fu di offrire al lettore un quadro della complessità politica che si incardi- nava perfettamente nell’ambigua figura di Rodolfo II: «Imparerà [Mattia] che la censura è facile, e fallace l’esser saccente, ché svariate sono le possibilità; invece difficile è l’azione che deve accordarsi con ogni realtà. Capirà allora che alle istitu- zioni umane è unito necessariamente un grano di stoltezza; che son fatte per uomini, rampolli della stessa». Grillparzer nel ritrarre Rodolfo II aveva bene in mente l’idea, che fu tutta di Montaigne, per cui all’indomani delle guerre di religione di Francia, cioè del momento più drammaticamente vitale dell’azione politica della Riforma, le «istituzioni umane» non potevano essere più riconosciute come depositarie di valori etici assoluti. Difficile è, infatti, giudicare secondo equità, quella stessa equità, con la quale Jean Bodin, tra i giuristi più apprezzati e ricercati nella Praga di Rodolfo, chiude il libro VI della République, voleva connaturata e determinata con certezza nella «proporzione armonica» della giustizia (JEAN BODIN, I sei libri dello Stato, III,

cit., VI, 6, pp. 586 e ss): il valore morale al quale non doveva sfuggire il ‘giudizio’ nel momento di necessità; si trattava di risolvere more geometrico l’annosa questio- ne della «sinderesi» .

applicabilità nello spazio riservato alla politica implicava altresì la perfetta conoscenza dei meccanismi più reconditi del potere in ogni suo dispiegamento. Era la piena maturazione dell’idea di Stato che ormai indicava le vie da percorrere per la riflessione politica, distan- ziando sempre più il terreno di indagine che fu del Machiavelli7. La Firenze del Rinascimento, e di colui che per primo aveva «dato le regole della crudele e disperata politica moderna», restava pur sem- pre un laboratorio sperimentale per i teorici politici, ma niente di più, almeno nel tardo Cinquecento8.

Speciano si situa esattamente su questo crinale ove diritto, teolo- gia e esperienza politica impongono una attenta disamina sia dell’agire politico al cospetto della propria coscienza, sia della possi- bilità di dotare la politica di regole sue proprie, extra-giuridiche9.

7Della sterminata bibliografia sul tema è appena il caso di ricordare i seguenti studi, divenuti ormai veri e propri ‘classici’. Lo studio più importante è quello di F. MEINECKE, Die Idee der Staatsräson in der neueren Geschichte, München-Berlin,

1924, trad. it di D.Scolari, L’Idea della Ragion di Stato nella storia moderna, Firen- ze, Sansoni,1977, cui si affiancano gli studi di A. M. BATTISTA sull’ antimachiavel-

lismo della Ligue e sulla penetrazione di Machiavelli in Francia, ora rifusi in ID.,

Politica e morale nella Francia dell’Età moderna, a c. di A. M. Lazzarino Del Gros-

so, Genova, Name, 1998; G. PROCACCI, Studi sulla fortuna di Machiavelli, Roma, 1965 e ora rielaborato in alcune sue parti e nella bibliografia col titolo Machiavelli

nella cultura europea dell’età moderna, cit.; S. MASTELLONE, Venalità e machiavel-

lismo in Francia (1572-1610), cit.; per la fortuna internazionale del Segretario fio-

rentino, sia pur datati, risultano ancora imprescindibili gli Atti del Convegno per il V

Centenario della nascita di Niccolò Machiavelli (S. Casciano-Firenze 28-29 settem-

bre 1969), Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, 1972; sulla linea di Meinecke e di una certa importanza per la fortuna di Machiavelli nei Paesi dell’ Est europeo è il volume di J. MACEK, Machiavelli e il machiavellismo, Firenze, La Nuo-

va Italia, 1981 (sul volume di Macek mi permetto di rinviare al mio Il ‘machiavelli-

smo’ di Josef Macek e i suoi scritti sul Rinascimento italiano, «Annali dell’Istituto

storico italo-germanico in Trento», XXI (1995), pp. 69-91); S. BERTELLI, P.

INNOCENTI, Bibliografia machiavelliana, Verona, 1979. Sul rapporto tra il pensiero

del Machiavelli e il tema della ragion di Stato il saggio più valido apparso di recente è quello di C. VASOLI, Machiavel inventeur de la raison d’Etat?, in Raison et Dérai-

son d’Etat. Théoriciens et théories de la raison d’Etat aux XVIe et XVIIe siècles, a c.

di Y- Ch. Zarka , Paris, PUF, 1994, pp.43-66.

8TRAIANO BOCCALINI, Ragguagli di Parnaso, Centuria III, Ragguaglio XXV, in ID., Ragguagli di Parnaso e scritti minori, III, a c. di L. Firpo, Bari, Laterza, 1948,

p. 77.

9 Imprescindibili per comprendere i nessi tra politica e diritto nella tradizione ita- liana, sono i rilievi esposti da A. ANDREATTA, A proposito di politica e ragion di

Stato. Riflessioni sul volume di Maurizio Viroli, in La ragion di Stato dopo Meine- cke e Croce, a c. di A. E. Baldini, Genova, Name, 1999, 77-113. Si veda a questo

Quest’ultima linea, dalla quale l’ideale del Cremonese è ben tenuto al riparo, perseguiva l’intento di fondare una dogmatica terrena, le cui regole erano dettate dagli arcana imperii, in contrapposizione alle verità teologiche, cioè ai più «reconditi pensieri di colui che go- verna il mondo»10. Di tali sembianze si rivestiva, allo sguardo del giurista cattolico, l’elaborazione di una scienza della ‘conservazione dello Stato’ da perseguire con le sole vie politiche. È complesso sta- bilire con quale grado di consapevolezza il Nostro poneva in discus- sione le regole certe e scientifiche della politica. È certo che le sue

Proposizioni minavano i fondamenti stessi della scienza politica, così

come dal primo Cinquecento i lettori machiavelliani andavano elabo- randoli.

Fin dalla Monitione iniziale, che segue l’Epistola Al Lettore scrit- ta «di Praga il primo dell'Anno MDLXXXXVII» ove era «Nuntio di Nostro Signore Clemente VIII apresso all'Imperatore Rodolfo Se- condo»11, il Cremonese rende esplicito il suo intento. Dopo aver ri- cordato che le proposizioni, «fondate nell’esperienza», sono state annotate «col longo uso», lo Speciano avverte12:

ESARE SPECIANO, Al Lettore, c. 2r-v.

icordi dedicati ai ‘casi particulari’ dal Gu

proposito la puntuale ed efficace recensione di R. Descendre («Laboratoire italien», 3 (2002), pp. 181-186).

10Cfr. C

ESARE CAMPANA, Della guerra di Fiandra, In Vicenza, appresso Giorgio

Greco, 1602, pp. 1r-v. Singolare figura quella di Cesare Campana (L’Aquila 1540- Vicenza 1606), poeta e storico filospagnolo (Ibid., L. I, p. 1: «La guerra fatta dal Re di Spagna Filippo di tal nome secondo contra suoi ribelli popoli della Fiandra, o per più propriamente de’Paesi Bassi, fu per la cagione importantissima, poich’ella prin- cipalmente nacque a difesa di religione [...]») che mostrava una sua particolare av- versità contro la tendenza storiografica che ricercava sentenze nei ‘sacrari dei prin- cipi’ (cfr. G. BENZONI, Cesare Campana, in Dizionario biografico degli italiani, vol.

XVII, pp. 331-334). Egli ribaltava in buona sostanza l’assunto polibiano (ad esem- pio Hist., IX, 1) e che Machiavelli fece proprio nel Proemio dei suoi Discorsi, sulla differenza tra la storiografia meramente narrativa e quella politicamente più utile.

11 C

12Ibid., c. 3r. Lunghissima è la lista dei r

icciardini. Basterà segnalarne alcuni a titolo d’esempio (Mi limito qui a segnalare solo alcuni dei Ricordi relativi alla sola redazione C, per un confronto con le reda- zioni A e B si veda l’apparato dello Spongano posto in calce ai singoli ricordi). FRANCESCO GUICCIARDINI, Ricordi, a c. di R. Spongano, Firenze, Sansoni, 1951, C 6, p. 11: «È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assoluta- mente e, per dire così, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione ed eccezione per la varietà delle circunstanze, in le quali non si possono fermare con una medesi- ma misura: e queste distinzione e eccezione non si truovano scritte in su’ libri, ma bisogna le insegni la discrezione»; ma anche C 76 (p. 87); C 113 (p. 124); C 122 (133); C 186 (p. 198). Per la ‘varietà dei particulari’ cfr. Ricordi C 23 (p. 28); C 71

Ogn’uno resti avvertito, chi leggerà queste propositioni massime politiche, che es- sendo generali difficilmente si ponno accommodare a cose particolari, le quali sem- pre hanno varietà, et per questo ogni regola è pericolosa a chi non se ne sa valere prudentemente, considerando tutte le circonstanze per minime che siano, perciò che ogni cosa può alterare grandemente la deffinitione generale, la quale non serve ad altro che ad illuminare l’intelletto et farlo più atto a considerare le cose particolari, havendo però l’occhio alla regola generale, la quale, specialmente nelli discorsi, è sempre utile.

La Monitione segue da vicino la già ricordata Epistola dedicata Al clarissimo Signor Alvise Michele, Patrizio veneto, apposta dal Fra

Sisto veneziano in apertura alla stampa delle Considerationi civili

sopra l’Historie di M. Francesco Guicciardini del Nannini (partico-

larmente per l’utilità delle massime nelle «conversazioni») e non pare possedere alcun tratto di originalità. È però l’uso consapevole del paradigma guicciardiniano che comporta una attenta valutazione critica del suo ‘metodo’. Nel secolo della precettistica politica, infat- ti, l’adozione di un impianto guicciardiniano lascerebbe intravedere, è stato detto, un intento polemico contro lo spirito politico del Ma- chiavelli13. L’ipotesi, che ridurrebbe di gran lunga la riflessione dell’autore intorno alla propria esperienza politica, sarebbe plausibile solo qualora si considerasse l’antimachiavellismo come un nucleo ideale ancora vivo e operante al declino del secolo; in un momento in cui sono ormai i temi della sovranità, della ragion di Stato, della pra- ticabilità o meno di una scienza politica a dominare le dispute teori- che. I percorsi ideali che generano tali riflessioni, ha di recente rile- vato Cesare Vasoli, difficilmente possono essere ricondotti al pensie- ro del Machiavelli14. Il problema centrale che la prospettiva di un Machiavelli inventore della ragion di Stato pone in rilievo è quello della fragilità «d’une historiographie qui accepte l’idée du ‘précur- seur’ ou, si l’on préfère, de la découverte destinée à mûrir et à se développer dans les directions les plus diverses»15. Il pericolo che un

(p. 82); C 111 (p. 122); C 155 (p. 167); per ‘accidenti’ cfr. Ricordi, C 1 (p. 3); C 23 (p. 28); C 33 (p. 39); C 71 (p. 82); C 116 (p. 127); C 161 (p. 174); C 180 (p. 192).

13N. M

OSCONI, Introduzione a CESARE SPECIANO, Proposizioni morali e civili,

Brescia, Morcelliana, 1961, pp. 7-28. 14C. V

ASOLI, Machiavel inventeur de la raison d’Etat?, cit.

15Ibid., p.48. L’avvertimento ha un tono ben più ampio rispetto al solo ambito machiavellistico. Esso è rivolto a quel particolare metodo, assai discutibile, che tenta di comprendere «un fatto culturale ponendolo in ‘relazione col poi’». Una idea simi-

simile approccio al pensiero machiavelliano contribuisce a generare è evidente: «cette image traditionelle de Machiavel a montré une résis- tance extraordinaire, jusqu’à se transformer en une vulgate popu- laire»16. Resta così assai complesso determinare un legame fondato, e dunque non arbitrario, tra il pensiero machiavelliano e i teorici della ragion di Stato (e della sovranità) «sans isoler des mots et des phra- ses pris hors de leur contexte spécifique et sans en faire une lecture inévitablement partiale et utilitaire»17. Assai difficile è conciliare l’esperienza politica e umana del Machiavelli dispiegatasi «avant les événements, encore impensables pour l’auteur du Prince, qui ont contribué de manière déterminante à la naissance de la problémati- que centrale des auteurs de traités sur la raison d’Etat»18.

Lo snodo starebbe nelle teorie giuspolitiche sul concetto di «so- vranità», che presiedono alle teoriche intorno alla ragion di Stato, piuttosto che nel pensiero del Segretario fiorentino. È la sovranità il «principe et fondement du pouvoir» dello Stato, «raison véritable de son autorité et du caractére nécessaire des dérogations aux ordonnan- ces légitimes et au système légal, imposées par l’objectif premier de la sauvegarde de sa continuité et de son existence»19. Se una qualche affinità con la letteratura sulla ragion di Stato è presente negli scritti machiavelliani, è altresì doveroso chiedersi se questa, da sola, sia in grado di dotare il Fiorentino della paternità dell’idea. Il tutto dovreb- be essere spostato più utilmente al ‘momento bodiniano’ o ancor meglio boteriano, quale recezione italiana di un impianto giuridico, la cui fortuna era già dilagante e vitale nell’Europa degli anni ‘80 del secolo. Al Machiavelli, dunque, non “mancherebbe” la sola locuzio- ne, la “parola”, come scriveva Meinecke. Negli scritti machiavelliani è inevitabile, dato il momento e l’ambiente in cui egli elabora le pro- prie idee, la mancanza dell’idea che l’essenza della ragion di Stato risieda nella sovranità20. In tal senso anche l’interpretazione dello scritto del Cremonese in chiave antichiavellistica proposta da Natale Mosconi, curatore di una stampa delle Proposizioni, andrebbe inte- ramente rivista. Tutta l’attenzione del Cremonese per un ordine giu-