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Dopo Thesleff: gli studi più recenti e la “rivincita” della tesi alessandrina

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA TITOLO TESI (pagine 25-30)

Per il periodo immediatamente successivo è necessario ricordare due studi; il primo, il commentario di Matthias Baltes a Timeo di Locri,60 risente profondamente delle teorie di Zeller, e si spinge ancora più in là nell’indicare precisamente il contesto di produzione di questo particolare apocrifo. Riprendendo argomenti già accennati da Taylor61, e raccogliendo nel testo del De Natura Mundi et Animae una serie d’indizi, nessuno dei quali probante, per ammissione dell’autore stesso,62 egli concluse che il trattatello appariva profondamente legato all’esegesi medioplatonica del Timeo di Platone, e specialmente alla figura e all’opera dell’alessandrino Eudoro, e si spinse a ipotizzare che l’apocrifo potesse essere stato prodotto, se non da Eudoro stesso, quantomeno nel suo circolo.

Anche lo studio di Thomas Szlezák, dedicato ad un altro apocrifo di natura “esegetica”, le Categorie attribuite ad Archita,63 giunse a individuare una simile datazione e un analogo rapporto con il medioplatonismo: la versione delle Categorie aristoteliche proposta dall’anonimo autore presuppone il dibattito e l’attività esegetica sviluppatisi intorno allo scritto, non solo in ambito peripatetico, ma anche medioplatonico, nel I sec. a. C.

L’influenza dei lavori di Baltes e Szlezák fu notevole: i successivi studi sugli pseudopythagorica saranno in gran parte indirizzati a rilevare le connessioni tra apocrifi pitagorici e letteratura medioplatonica, o tra singoli scritti e il pensiero di Eudoro. Questo

60 M. Baltes, Timaios Lokros, Über die Natur des Kosmos und der Seele, Philosophia antiqua, XXI, Brill, Leiden, 1972.

61 E. A. Taylor, A Commentary on Plato’s Timaeus, Garland publishing, New York-London, 1928, pp. 655-664.

62 M. Baltes, Timaios Lokros, Über die Natur des Kosmos und der Seele,… pp. 20-26; tra quest’indizi, l’interesse per questioni matematiche, l’identificazione del 384 come numero base della divisio animae, la definizione della passione come ὁρμὴ πλεονάζουσα e, soprattutto, il rifiuto dell’interpretazione temporale della generazione nel Timeo.

63 T. A. Szlezák, Pseudo-Archytas über die Kategorien, De Gruyter, Berlin-New York, 1972.

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progressi nella conoscenza di questi testi, dando luogo, per la prima volta, ad approfondite analisi contenutistiche, all’isolamento, anche su base tematica, di nuclei di scritti che mostrano legami particolarmente solidi, e soprattutto alla pubblicazione di edizioni tradotte e commentate di opere e frammenti, che permettono di avere un quadro molto più completo delle fonti e delle relazioni tra apocrifi, rivelando spesso un’inaspettata complessità. In particolare, il fondamentale lavoro di Bruno Centrone, rivolto a singoli scritti o parti del corpus, ha portato alla luce nuove evidenze in favore della teoria alessandrina.64 Nel lavoro di Centrone gioca un ruolo fondamentale l’intento di ricostruire, pur senza annullare le peculiarità di ciascun apocrifo, un sistema dottrinale che si fonda su tratti condivisi da tutti i trattati dorici; oltre che degli aspetti di etica, Centrone si è occupato anche della dottrina dei principi e della cosmologia.65 Nel medesimo solco si possono collocare gli studi di Angela Ulacco, che ha riacceso, in tempi recentissimi, l’interesse della comunità scientifica intorno agli apocrifi con un libro dedicato a un gruppo di frammenti di logica, epistemologia e metafisica attribuiti ad Archita e Brotino,66 rimasti a lungo trascurati dalla critica, ma tra i più ricchi e interessanti del corpus in rapporto ai contenuti. Un grande merito del lavoro della Ulacco nel quadro degli studi generali sugli apocrifi consiste nell’aver messo a fuoco alcune delle ragioni della produzione degli apocrifi e della fortuna di cui godettero nel corso della tarda Antichità, dovuta in gran parte alla loro speciale relazione con la letteratura esegetica.67

Sul versante medioplatonico, particolarmente fecondi sono stati gli studi sulla sfuggente figura di Eudoro e il suo rapporto con gli apocrifi portati avanti da Mauro Bonazzi;68 egli, inoltre, si è

64 Solo per citare qualche esempio: B. Centrone, “The pseudo-Pythagorean Writings”, in: C. A. Huffman (ed.), A History of Pythagoreanism, Cambridge, 2014, pp. 315-340; cf. anche B. Centrone, “La letteratura pseudopitagorica: origine, diffusione e finalità”, in: G. Cerri (ed.), La letteratura pseudepigrafa nella cultura greca e romana, Atti di un incontro di studi. Napoli, 15-17 gennaio 1998 («AION» XXII [2000]), Napoli, 2000, pp. 429-452. La sua edizione con commento di alcuni frammenti di argomento etico (B. Centrone, Pseudopythagorica Ethica: i trattati morali di Archita, Metopo, Teage, Eurifamo, Bibliopolis, Napoli, 1990) costituisce l’opus magnum del nuovo approccio a questa letteratura, e un importante modello per i commentari più recenti.

65 B. Centrone, “La cosmologia di Ps. Timeo di Locri ed il Timeo di Platone”, Elenchos 3 (2), 1982, pp. 293-324;

B. Centrone, “The Theory of Principles in the Pseudopythagorica”, in: K. Boudouris (ed.), Pythagorean Philosophy, Athens, 1992, pp. 90-97.

66 A. Ulacco, Pseudoythagorica Dorica; I trattati di argomento metafisico, logico ed epistemologico attribuiti ad Archita e a Brotino. Introduzione, traduzione e commento, De Gruyter, Berlin, 2017.

67 Si veda anche A. Ulacco, “The Creation of Authority in Pseudo-Pythagorean Texts and Their Reception in Late Ancient Philosophy”, in E. Gielen, J. Papy (ed.), Falsification and Authority in Antiquity, the Middle Ages and the Renaissance, Brepols, Tournhout, 2020, pp. 183-214.

68 Ricordo in particolare M. Bonazzi, “Eudoro di Alessandria alle origini del platonismo imperiale”, in: M.

Bonazzi- V. Celluprica (a cura di), L'eredità platonica. Studi sul Platonismo da Arcesilao a Proclo, Bibliopolis, Roma-Napoli, 2005, pp. 115-160; M. Bonazzi, “Eudorus of Alexandria and the ‘Pythagorean’ pseudepigrapha”,

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mostrato piuttosto critico rispetto all’idea di un approccio “riduzionista” allo studio delle fonti della letteratura pseudo-pitagorica: 69 le connessioni tra medioplatonismo e apocrifi non sono spiegabili unicamente con il ricorso a fonti comuni (in particolare l’Accademia antica), poiché hanno in comune non solo le affinità (come ad esempio la lettura “eternalista” del Timeo platonico), ma anche le differenze rispetto a quella tradizione (evidenti specialmente nella dottrina dei principi: alla dottrina accademica dei due principi si sostituisce infatti la nota Dreiprinzipienlehre che dominerà il platonismo successivo).

Un interessante tentativo di rileggere gli pseudopythagorica dorici in una prospettiva

“aristotelica” si deve a Paul Moraux, che ha dedicato agli apocrifi una parte importante della sua monumentale opera sull’aristotelismo.70 Il suo lavoro si riallaccia alla teoria alessandrina e accetta la cronologia di Zeller, ma sottolinea le affinità tra questi scritti e l’aristotelismo del I sec. a. C.; inoltre a Moraux si deve in particolare un ampio sforzo di ricostruire, in una prospettiva il più possibile unitaria, la dottrina di questi testi, arrivando a scorgere l’esistenza di un peculiare “sistema”: grazie a questa operazione il problema del rapporto tra questi scritti e l’opera di Aristotele emerse con particolare evidenza.71

La teoria alessandrina della genesi dei trattati apocrifi che Thesleff definiva “scritti di classe II”, sottoposta alla prova di una minuta analisi contenutistica, si è rivelata complessivamente piuttosto solida; ciò sembra consolidare la definitiva vittoria della posizione di Zeller, almeno per quanto riguarda i trattati in dorico. La situazione è ben più complessa per gli apocrifi che non rientrano in questa categoria: Sulla scia di Thesleff, si è spesso individuata, negli apocrifi

in: G. Cornelli, C. Macris, R. McKirahan (eds.), On Pythagoreanism, De Gruyter, Berlin, 2013, pp. 385-404;M.

Bonazzi, “Middle Platonists on the Eternity of the Universe”, in: G. Roskam - J. Verheyden (eds.), Light on Creation. Ancient Commentators in Dialogue and Debate on the Origin of the World, Mohr Siebeck, Tübingen, 2017, pp. 3-15. Bonazzi ha dimostrato che le affinità tra il pensiero di Eudoro e la dottrina degli apocrifi sono molte e rilevanti, specialmente per quanto riguarda la dottrina dei principi e la cosmologia; più incerte appaiono invece le affinità in ambito etico.

69 Cf. M. Bonazzi, “Eudorus of Alexandria and the ‘Pythagorean’ pseudepigrapha” … pp. 388-392. La critica di Bonazzi, indirizzata a “certi sostenitori della perenne unità del platonismo”, sembra riferirsi alla teoria di Giovanni Reale (vedi oltre), che pure non viene mai citato, e a una visione della storia del pensiero platonico che non terrebbe il debito conto delle discontinuità interne ad essa.

70 P. Moraux, Der Aristotelismus bei den Griechen von Andronikos bis Alexander von Aphrodisia, Band II, der Aristotelismus im I. und II. Jh. n. Chr., De Gruyter, Berlin- New York, 1984, pp. 605-683.

71 Moraux non intende, con ciò, fare degli autori degli apocrifi degli “aristotelici” in senso proprio: d’altra parte, sia Bonazzi sia Centrone, pur ammettendo che la presenza dell’opera di Aristotele sia evidente e centrale negli pseudopythagorica dorici, sostengono che la sostanza della dottrina degli apocrifi sia interamente platonica, ricordando come anche autori dichiaratamente platonici si avvalgano, nell’epoca in cui essi collocano questa letteratura, di termini e concetti che sono considerati prerogativa della scuola di Aristotele. Si veda in part. M.

Bonazzi, “Pythagoreanizing Aristotle: Eudorus and the Systematization of Platonism” … pp. 160–186; e B.

Centrone, Pseudopythagorica Ethica: i trattati morali di Archita, Metopo, Teage, Eurifamo, … pp. 25-30.

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che si addice al clima culturale in cui avvenne la rinascita del pitagorismo nel I sec. d. C.;

tuttavia esistono, come abbiamo visto, evidenze dell’esistenza di apocrifi attribuiti a Pitagora e alla sua cerchia molto più antichi, risalenti persino alla prima età ellenistica, e d’altra parte l’attribuzione di scritti alla sua figura proseguirà per secoli, persino oltre la fine dell’Antichità.72 In realtà, non sono mancate, dopo Thesleff, voci parzialmente discordi sulla teoria della genesi alessandrina. La più autorevole di queste, quella di Giovanni Reale, pur rifiutando l’“estremismo” della posizione di Thesleff, affermò la necessità di stabilire una cronologia più alta ed estesa, individuando in alcuni di questi scritti, e specialmente nel De Principiis di Archita, una precocissima testimonianza di quell’orientamento filosofico che egli definisce

“spiritualismo”, in opposizione al materialismo ellenistico rappresentato da altri apocrifi come gli anonimi hypomnemata pitagorici riportati da Alessandro Poliistore.73

Altre voci discordi sono venute da studi dedicati a singoli scritti, spesso volti a stabilire l’antichità o persino l’autenticità di un particolare apocrifo;74 Una teoria che, senza cancellare la cronologia tradizionale, indaga il rapporto tra gli apocrifi e le loro fonti classiche ed ellenistiche,75 riprendendo molte delle intuizioni di Thesleff, è stata elaborata da Phillip Horky;

dal grecista finlandese egli riprende, in particolare, l’idea che molti di questi scritti, e in particolare quelli attribuiti a pensatori non ellenici, siano stati composti non in Oriente, ma nell’Italia meridionale, e forse persino a Roma.76 Horky, pur ammettendo una datazione al I

72 Per uno sguardo agli apocrifi più tardi, rimando all’elenco in H. Thesleff, The Pythagorean Texts of the Hellenistic Period, … pp. 243-245.

73 G. Reale, “Mediopitagorici”, … pp. 367-390. Reale ritiene che la prova della relativa antichità di molti di questi scritti sia proprio l’ingenuità e la semplicità con cui essi approcciano temi metafisici, che dimostra come i loro autori non abbiano una scuola alle spalle; secondo Reale, ciò spiega indirettamente anche il fenomeno delle attribuzioni a pitagorici antichi. Naturalmente la proposta di Reale s’inserisce nella sua visione della storia del platonismo, che tende a sottolineare la profonda continuità all’interno di questa tradizione filosofica; egli si spinge a dedurre, in questo caso, la sopravvivenza delle dottrine accademiche alla svolta scettica all’interno della scuola di Platone.

74 Tra questi si possono ricordare, ad esempio, M. Isnardi Parente, “Ocello Lucano nella “Epistola XII” dello Pseudo-Platone”, Archivio Storico per la Calabria e la Lucania 67, 2000, pp. 5-14; G. Ryle, “The Timaeus Locrus”, Phronesis X, 1965, pp. 174-190; J. C. Thom, The Pythagorean Golden Verses; with introduction and commentary, Brill, Leiden-New York, 1995.

75 Cf. e. g. P. S. Horky, “Theophrastus on Platonic and ‘Pythagorean’ Imitation”, Classical Quarterly 63 (2), 2013, pp. 686-712; P. S. Horky, “Pseudo-Archytas’ Protreptrics? On Wisdom in its Contexts”, in: D. Nails-H. Tarrant (eds.), Second Sailing; Alternative Prospectives on Plato, Commentationes Humanarum Litterarum XX, Societas Scientiarum Fennica, Helsinki, 2015, pp. 21-39.

76 Cf. P. S. Horky, “Herennius Pontius: the Construction of a Samnite Philosopher”, … pp. 119-147; P. S. Horky,

“Italic Pythagoreanism in the Hellenistic Age... forthcoming 2021.

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sec. a. C., ad esempio, per gli scritti epistemologici di Archita e Brotino,77 ha rivalutato il materiale contenuto nei frammenti superstiti dello scritto Sulla Legge e la Giustizia attribuito ad Archita, individuando la sua fonte nella Vita di Archita di Aristosseno.78 In generale, Horky è tra i pochi studiosi disposti a riabilitare almeno alcuni pseudopythagorica come testi pitagorici a tutti gli effetti: la sua posizione rimane, in ogni caso, minoritaria.

Meritano una menzione, inoltre, gli studi dedicati agli scritti delle donne pitagoriche: all’interno del corpus di Thesleff, infatti, si trovano scritti firmati da diverse autrici, in forma di lettere e trattati, riguardanti soprattutto la cura della casa, il lusso, l’educazione dei figli e i problemi coniugali, sebbene non manchino testi di maggiore impegno teorico.79

L’isolamento di nuclei di scritti particolarmente affini tra loro e il concentrarsi delle attenzioni degli studiosi sui trattati in dorico hanno portato a una parziale disgregazione della categoria degli pseudopythagorica, e il tentativo di Thesleff di costruire una teoria globale della

77 G. De Cesaris, P. S. Horky, “Hellenistic Pythagorean Epistemology”, in: F. Verde, M. Catapano (eds.), Hellenistic Theories of Knowledge, Lexicon Philosophicum 6 (2018), pp. 221-262.

78 P. S. Horky, M. Johnson, “On Law and Justice Attributed to Archytas of Tarentum” (accepted version, for D.

Wolfsdorf (ed.), Early Greek Ethics, Oxford, 2019, pp. 1-8. Questo particolare apocrifo sarebbe perciò “figlio”

degli studi dedicati dai peripatetici dell’età ellenistica alla figura di Archita. Se ciò è corretto, argomenta Horky, questo scritto, ben lungi da essere una falsificazione, contiene materiale non solo relativamente antico, ma persino utile al fine di ricostruire il pensiero di Archita. La ragione della coloritura aristotelica di questi testi risiederebbe, per Horky, proprio nelle loro fonti, vale a dire quelle biografie e quei trattati su Pitagora e la sua scuola scritti da Aristotele stesso e dai peripatetici di età ellenistica, testi che in genere vengono considerati testimoni attendibili sul pitagorismo antico.

79 Intorno a questi scritti si è creato un certo interesse nell’ambito della storia di genere, poiché, se dietro le attribuzioni femminili davvero si celassero donne, si tratterebbe del maggior corpus di testi in prosa scritti da donne che l’Antichità ci abbia tramandato. Tra gli studi dell’ultimo decennio, un libro in particolare ha avuto una certa diffusione, una raccolta con un’utile traduzione inglese della celebre classicista statunitense Sarah B.

Pomeroy, (Pythagorean women. Their history and writings, Johns Hopkins University Press, Baltimore (Md.), 2013) una delle massime autorità negli studi di genere, che rifiuta di accogliere la teoria alessandrina in quanto non tiene, a suo avviso, il debito conto delle caratteristiche degli scritti femminili. Pomeroy segue da vicino le posizioni di Thesleff, che a suo giudizio è il solo studioso ad aver letto debitamente gli scritti delle donne pitagoriche; un giudizio forse troppo severo, considerato che essi erano già stati oggetto di un ottimo studio di Alfons Städele sulla letteratura epistolare pitagorica (A. Städele, Die Briefe des Pythagoras und der Pythagoreer, A. Hain, Meisenheim am Glan, 1980) e di una raccolta italiana di poco precedente, anch’essa orientata su interessi di storia di genere, di Claudia Montepaone (Pitagoriche; Scritti femminili di età ellenistica, Edipuglia, Bari, 2011;

ma si veda già C. Montepaone, “Teano, la pitagorica”, in: N. Loraux (a cura di), Grecia al Femminile, Laterza, Roma, 1993, pp. 73-105), e che altri studiosi, come Moraux e Centrone, hanno preso in considerazione questa letteratura: tuttavia, questo libro ha avuto il merito di riportare l’attenzione degli studiosi su questi testi inserendoli nel vivace dibattito degli studi di genere dedicati all’Antichità. Anche le conclusioni di Pomeroy sono per molti aspetti inaccettabili: la classicista si spinge a dichiarare che le autrici in questione non sono affatto pseudepigrafe, ma si servono dei loro veri nomi, e sono donne appartenenti alla società pitagorica dell’Italia meridionale tra il IV e il II sec. a. C., coerentemente con la datazione e la collocazione di Thesleff. Certamente sarebbe meraviglioso avere la certezza di possedere una eco della voce di filosofe donne dall’Antichità, ma purtroppo i testi in questione sono certamente apocrifi, e soprattutto non è affatto sicuro che dietro a pseudonimi femminili si celino sempre donne. Una posizione più equilibrata, che tenta una mediazione tra l’approccio filologico e la storia di genere, emerge dal recentissimo volume di D. M. Dutsch, Pythagorean Women Philosophers: Between Belief and Suspicion, Oxford University Press, Oxford, 2020. Si veda anche Perittione, p. 289 n. 3.

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recentissimo contributo di Leonid Zhmud ha affrontato ancora una volta il problema nella sua globalità, rivedendo la classificazione di Thesleff.80 Un fecondo tentativo di produrre un quadro d’insieme completo e sfaccettato della letteratura apocrifa legata al pitagorismo si deve, infine, al gruppo parigino guidato da Costantinos Macris, Tiziano Dorandi e Luc Brisson, che mette insieme studiosi di impostazione differente e che ha prodotto in tempi recenti un primo volume di studi, la cui introduzione costituisce il più aggiornato stato dell’arte disponibile.81

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