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La tesi alessandrina: qualche considerazione

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA TITOLO TESI (pagine 30-34)

La cronologia definita “tradizionale”, dunque, è oggi la più accreditata, sebbene il dibattito sia tutt’altro che chiuso. In sintesi, per difendere la collocazione degli scritti di classe II nell’Alessandria del I sec. a. C.-I sec. d. C., sono stati impiegati, sia pur in diverse varianti, i seguenti argomenti:

a) In questi scritti la rottura con l’antica tradizione pitagorica è evidente e completa, quindi devono essere collocati sufficientemente lontano nel tempo dall’estinzione della scuola.

80 L. Zhmud, “What is Pythagorean in the Pseudo-Pythagorean Literature?”, … pp. 72-94. Zhmud, partendo dalle più antiche attestazioni dell’esistenza di apocrifi pitagorici, ha tentato di mettere ordine nel materiale pervenutoci, proponendo una divisione in tre classi di apocrifi, invece delle due di Thesleff: gli scritti della prima classe, di cui pochissimo ci è pervenuto, sono gli apocrifi più antichi, attribuiti a Pitagora o a figure a lui vicine; il poco che si conserva di essi lascia intuire una notevole varietà per quanto riguarda genere, lingua e stile, e si possono collocare tra la fine del IV e il II sec. a. C. La seconda classe di scritti coincide con la classe II di Thesleff: per i trattati in dorico, Zhmud accoglie pienamente la cronologia tradizionale, a cavallo tra I sec. a. C. e I sec. d. C., respingendo gli argomenti di Thesleff in favore di una datazione alta. I nomi degli “autori” di questi apocrifi, rileva Zhmud, sono semplicemente presi dalle opere di Aristosseno,e il loro programma filosofico sembra mirare a proiettare sui pitagorici antichi la filosofia di Platone più che a restaurare l’antica dottrina pitagorica: la ragione per cui quello di Archita è il nome più usato risiede proprio nei rapporti personali che l’Archita storico ebbe con Platone. La terza categoria di scritti, che Zhmud tralascia nel suo contributo, comprende i testi attribuiti nuovamente a Pitagora o ai suoi affini; questa è la produzione più tarda, che prosegue per tutta l’età imperiale. La sostanziale differenza tra gli apocrifi delle altre categorie e quelli di classe II è, a giudizio di Zhmud, la presenza, in quest’ultima, di un chiaro programma filosofico, che era mancato agli apocrifi precedenti e che determinò la credibilità e il successo degli apocrifi pitagorici una volta per tutte.

Il quadro tracciato da Zhmud mi pare da accogliere nel suo insieme; tuttavia, riguardo alle attribuzioni e al celebre catalogo dei Pitagorici redatto da Aristosseno e conservato nella Vita Pitagorica di Giamblico (VP 267), in realtà la questione è liquidata da Zhmud in maniera un po’ troppo sbrigativa: se il catalogo è certamente una fonte autorevole, non si può però trascurare che moltissimi dei nomi scelti per le attribuzioni non figurano in esso. Mi sembra difficile che, come vuole Zhmud, alcuni personaggi siano stati semplicemente inventati; è più corretto, a mio avviso, supporre che essi venissero scelti da fonti per noi perdute.

81 C. Macris, “Texts attributed to Pythagoras and the Pythagoreans. A brief introductory guide”, in: C. Macris, T.

Dorandi, L. Brisson (eds.), Pythagoras Redivivus, Academia Verlag, Sankt Augustin, 2021, pp. 23-72.

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b) Le evidenti affinità di lingua e contenuto interne al corpus sono indizio di una produzione in un tempo e in un’area geografica ristretti.

c) La forma scarna e compendiosa dei trattati rivela un’origine scolastica e manualistica, e l’interesse degli autori per questioni di esegesi platonica e aristotelica fa pensare a una nascita all’interno di scuole o circoli filosofici dediti al commento delle opere platoniche e aristoteliche, proprio come avveniva nella prima età imperiale.

d) L’attribuzione a pitagorici antichi lascia supporre che gli apocrifi siano nati in un periodo di rinnovato interesse per questa scuola, ma il fine degli autori non sembra affatto la

“riabilitazione” di Pitagora, che non è mai nominato, ma piuttosto ricollegare il pensiero platonico e aristotelico a quello degli ultimi pensatori italici. Questo atteggiamento nei confronti del pitagorismo antico è perfettamente in linea con quello di Eudoro, Filone e degli altri pionieri della “rinascita” del platonismo nel I sec. a. C. in Alessandria.

e) Il contenuto dei trattati rivela una propensione alla contaminazione di dottrine simile (sebbene non identica, per il minor peso dell’influenza stoica) a quella presente nel pensiero di Antioco e Posidonio, e questo induce a una collocazione nello stesso periodo.

f) Questi testi affondano le proprie radici in un’interpretazione “dogmatica” del pensiero di Platone che coincide in gran parte con quella dell’Accademia antica. Quest’interpretazione del pensiero platonico non ha fortuna nei secoli dell’Accademia scettica, ma torna in auge nel I sec.

a. C., grazie a figure come Antioco ed Eudoro.82

g) I paralleli tra la dottrina di questi scritti e l’opera di Eudoro, di Filone e di altri medioplatonici sono notevoli, e non sono riducibili a fonti accademiche comuni perché rivelano affinità anche nei tratti distintivi rispetto all’Accademia antica. D’altra parte, la corrispondenza non è assolutamente perfetta, e non si può concludere che Eudoro stesso o qualche altro autore medioplatonico conosciuto abbia scritto pseudopythagorica.83

Gli avversari della tesi alessandrina hanno spesso messo in evidenza la fragilità di alcuni di questi argomenti: in effetti, tutte le argomentazioni di ordine storico-filosofico portate in favore

82 Come si è visto, proprio su questo argomento si dividono i sostenitori di una continuità all’interno della tradizione platonica, che vedono negli apocrifi le tracce di una sopravvivenza del platonismo dogmatico anche nei

“secoli bui” dell’accademia scettica, e i fautori della frattura all’interno platonismo, che considerano l’esistenza degli pseudopythagorica come l’indizio di un’operazione di riappropriazione, non priva di forzature, di quella tradizione. In questo modo il dibattito sulla data e il luogo di composizione degli apocrifi pitagorici assume un’importanza tutt’altro che secondaria nella storia della filosofia ellenistico-imperiale, venendo a costituire un tassello della disputa sulla continuità del platonismo.

83 Ricordiamo le prudenti riserve di M. Baltes, Timaios Lokros, Über die Natur des Kosmos und der Seele, … pp.

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quadro generale differente, come ad esempio quello proposto da Reale. Avvalersi delle nostre conoscenze sul medioplatonismo ed Eudoro per contestualizzare gli pseudopythagorica è un’operazione necessaria, ma rischiosa, che ha il sapore di una explicatio ignoti per ignotium.

Sebbene questo lavoro accolga la tesi alessandrina nelle sue linee essenziali, è necessario sottolineare come la questione della genesi di questi scritti sia ancora aperta. Il confronto con il platonismo alessandrino, per quanto fecondo, non è sempre sufficiente a rendere conto della posizione filosofica degli autori di pseudopythagorica, spesso orientati verso posizioni aristoteliche difficilmente ammissibili in un discepolo, ad esempio, di Eudoro.84 Inoltre, accanto ai forti indizi di coesione all’interno degli scritti “di classe II”, esistono anche casi di scritti che rientrano solamente in parte in questa categoria per ragioni linguistiche,85 o che appaiono più tardi, e si presentano come imitazioni e aggiunte al corpus;86 esso, insomma, si presenta unitario e coerente al suo interno, ma non deve essere considerato granitico e immutabile, come dimostrano anche i casi di testi praticamente identici che circolavano con attribuzioni diverse, come per lo scritto Sulla Sapienza, esistente in due versioni, una sotto il nome di Archita e l’altra di Perittione:87 per questo motivo rimane moltissimo lavoro da svolgere sui singoli frammenti e sulle attribuzioni, e ogni scritto dev’essere studiato e datato su basi autonome, prima di poter pervenire a una nuova teoria generale.

L’esame delle fonti accademiche e peripatetiche degli scritti portato avanti nei lavori più recenti ha consentito enormi progressi nel dipanare un complesso intreccio di citazioni e dottrine e nel ricostruire l’identità filosofica degli autori, ma non getta molta luce sulla data e il luogo di

84 Non è possibile approfondire in modo adeguato l’argomento in questa sede; basterà ricordare che Eudoro è un lettore attento, ma anche feroce critico di Aristotele: la sua opera di recupero del platonismo accademico si configura in gran parte come reazione all’aristotelismo (si veda J. Dillon, The Middle Platonists, Duckworth, London, 1977, pp. 115-135). Anche se gli autori degli apocrifi sono nella sostanza platonici, il loro legame con l’aristotelismo è difficile da delineare, e mi pare che vada oltre la semplice reazione (per una tesi simile si veda M.

Bonazzi, “Pythagoreanizing Aristotle: Eudorus and the Systematization of Platonism”, … pp. 160–186; più prudente è la posizione espressa da Centrone in:Pseudopythagorica Ethica: i trattati morali di Archita, Metopo, Teage, Eurifamo,… pp. 25-30). Talvolta il rapporto tra Platone e Aristotele diviene quasi inestricabile: l’autore del De Natura Mundi et Animae, ad esempio, pur “commentando” il Timeo di Platone, cerca di integrarlo con una dottrina fisica d’ispirazione aristotelica, oltre che di difenderlo dalle critiche dello Stagirita.

85 È il caso, ad esempio, del frammento Sui Numeri attribuito a Butero di Cizico, che nonostante le affinità tematiche e testuali con alcuni altri pseudopythagorica dorici è redatto in attico, o dello scritto Sull’Armonia della Donna di Perittione, scritto in un curioso ionico artificiale che ricorda, nelle strategie linguistiche, la costruzione del “dorico” degli pseudopythagorica.

86 Si pensi, ad esempio, alla compilazione tarda sulle categorie attribuita ad Archita con il titolo Dieci Concetti Universali (T. A. Szlezák, Pseudo-Archytas über die Kategorien, … pp. 19-26).

87 Per il problema della duplice attribuzione rimando a Perittione, p. 289 n. 1.

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composizione. Intere aree del corpus rimangono ad oggi inesplorate, o non adeguatamente indagate: anche le relazioni interne tra gli scritti del corpus stesso sono in gran parte da scoprire.

Il confronto con l’aristotelismo, nonostante l’importante opera di Moraux, rimane molto meno battuto rispetto al versante platonico della questione, sebbene il materiale aristotelico sia abbondante. Particolarmente promettente, a quasi cinquant’anni dalla pubblicazione dei lavori di Baltes e Szlezák, rimane il confronto con la letteratura tecnica, esegetica e manualistica, che potrebbe aiutare a mettere a fuoco lo sfondo di questi testi, la cui origine scolastica è stata spesso intuita ma raramente approfondita. L’intento di questo lavoro, oltre che esplorare una parte poco nota del corpus, è quello di contribuire a un’indagine in questa direzione, isolando e indagando i frammenti dedicati a un tema tecnico per eccellenza, le matematiche.

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LE ORIGINI DEGLI APOCRIFI MATEMATICI PITAGORICI: L’ETÀ

CLASSICA ED ELLENISTICA (IV-II SEC. A. C.)

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