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Pitagora va ad Ovest: matematiche, astrologia e numerologia nel pitagorismo romano

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA TITOLO TESI (pagine 132-138)

Si è accennato alla presenza di scritti astronomici di Pitagora a Roma già in età ellenistica, e alla fine dell’età ellenistica risalgono probabilmente le leggende su Numa pitagorico e sui suoi scritti “pitagorici”;1 il mondo romano, spesso diffidente verso la filosofia, vista come un elemento culturale alieno e sovente pericoloso, sembra aver ammesso una parziale eccezione per il pitagorismo, che appare presente e tollerato anche nei secoli di maggior diffidenza per la cultura ellenica; esso poté influenzare, secondo Cicerone, una figura come Appio Claudio Cieco,2 e deve aver esercitato un certo fascino persino su un padre fondatore della letteratura latina come Ennio.3 È però a partire dal I sec. a. C. che alcune figure iniziano a professarsi a qualche titolo “Pythagorei”; nel medesimo periodo in cui la maggior parte degli studiosi colloca la produzione dei trattati dorici apocrifi, il neopitagorismo fiorisce a Roma, e anche l’ammirazione per le conquiste matematiche e

2 L’epiteto πολύμητις, che denota il senno e il versatile ingegno dell’eroe, è uno dei più comuni per Odisseo:

cf. e. g. Od. XXI, v. 274; Il. I, v. 311. Quanto a πινυτόφρων, esso non è presente nei poemi omerici, ma è epiteto di Odisseo nella poesia di età imperiale: cf. e. g. Quint. Smirn., Post. XIV, v. 630.

3 Si pensi anche al Pitagora eroico e “sovraumano”, non troppo diverso dall’Epicuro lucreziano, ritratto da Ovidio nelle Metamorfosi, che parla con la voce degli dèi e supera le apparenze per penetrare i segreti del mondo (Ov. Met. XV 60-72, 143-153).

1 Sulla vicenda rimando a Numa, p. 283.

2 Cic. Tusc. IV 2, 4.

3 La connessione di Ennio con il Pitagorismo, così come quella di Appio Claudio Cieco, appare, per la verità, stabilita in età piuttosto tarda; tuttavia, alcuni elementi della cosmologia dei pochi frammenti superstiti dell’Epicarmo rivelano una certa affinità con il “pitagorismo”, ad esempio, delle Note Pitagoriche di Alessandro. Si veda in proposito il bell’articolo di prossima pubblicazione di P. S. Horky, “Italic Pythagoreanism in the Hellenistic Age”, … forthcoming 2021.

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scientifiche dei Pitagorici è ampiamente testimoniata dalla buona stampa di cui gode, presso gli autori latini di quest’epoca, la figura di Archita.4 L’esempio più celebre è la famosa ode ad Archita di Orazio che, elogiando le meravigliose conquiste intellettuali del suo conterraneo, constata amaramente come neppure la sete di conoscenza sia un argine al destino comune a tutti gli uomini:

Te maris et terrae numeroque carentis harenae mensorem cohibent, Archyta,

pulueris exigui prope litus parua Matinum munera nec quicquam tibi prodest

aerias temptasse domos animoque rotundum percurrisse polum morituro. 5

Un pugno di polvere- misero dono!- ti ricopre, Archita, presso il lido Matino,

tu che misurasti terra e mare e gl’innumeri granelli di sabbia, né più ti conforta

aver esplorato le sedi celesti e attraversato la sfera del firmamento con il pensiero che doveva morire.

Neppure il Maestro di Archita, Pitagora, che pure seppe scendere agli inferi e ritornare, e volle dimostrare la dottrina della metempsicosi indicando il luogo dello scudo di Euforbo, è potuto scampare all’ultimo viaggio, prosegue Orazio. Le scoperte assegnate ad Archita meritano uno sguardo più da vicino: l’espressione mensor terrae è modellata sul greco geometrēs, e contiene forse un’allusione all’impresa di Eratostene e al calcolo della circonferenza terrestre; l’accenno al conteggio dei granelli di sabbia è senz’altro un riferimento all’Arenarius di Archimede: ciò mostra che i traguardi scientifici assegnati ad Archita sono scelti da Orazio come meravigliosi conseguimenti delle scienze matematiche, senza particolare attenzione alla paternità delle singole scoperte, ma funzionali al contrasto poetico tra l’immensità delle imprese di cui è capace la mente umana e la miseria della sua condizione mortale- un pugno di polvere. Un riferimento più accurato all’Archita storico si può forse individuare nel seguito, in cui si parla di una esplorazione dell’universo con il pensiero, capace di superare i suoi stessi confini: come osservato da Huffman, potrebbe

4 La relativa abbondanza di riferimenti ad Archita nella letteratura latina del I sec. a. C.- I d. C. è senz’altro dovuta, almeno in parte, a ragioni di orgoglio nazionale, dato che egli era nativo della penisola italica: si veda in proposito C. A. Huffman, Archytas of Tarentum, Pythagorean, Philosopher and Mathematician King, … pp. 19-24.

5 Hor. Carm. I. 28, vv. 1-6.

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trattarsi di un’allusione al celebre argomento di Archita in favore dell’infinitudine dell’universo.6

L’interesse per gli aspetti “scientifici” del pensiero pitagorico è testimoniato e impresso già nel cognomen del pioniere del neopitagorismo romano, l’erudito, grammatico, astrologo ed eminente uomo politico Publio Nigidio Figulo, vissuto nella prima metà del I sec. a. C.; costui è generalmente indicato come il primo neopitagorico sulla base delle parole di Cicerone, che lo saluta esplicitamente come il renovator dell’estinta filosofia pitagorica.7 Egli, secondo un aneddoto riportato da Agostino nel De Civitate Dei,8 si occupò di un “problema” classico dell’astrologia: perché i gemelli, pur nascendo a brevissima distanza di tempo l’uno dall’altro sotto stelle praticamente identiche, hanno destini differenti? Figulo, interrogato da qualcuno sulla questione, rispose facendo girare alla massima velocità possibile una ruota da vasaio (figuli rota) e tentò di segnare su di essa con la pittura nera due punti in rapida successione; quando la ruota si arrestò fu evidente che i punti si trovavano assai lontani. L’argomento di Nigidio si fonda su nozioni di astronomia: egli assume che la Terra abbia dimensioni trascurabili rispetto al cosmo, e che pertanto la rotazione della sfera celeste, che ai nostri occhi appare piuttosto lenta, avvenga in realtà a enormi velocità; sappiamo anche, grazie a Varrone, che egli si era occupato dei pianeti, e che tentava una traduzione del termine greco planetà in errones,

“vagabondi”.9 È possibile che egli conoscesse apocrifi pitagorici, ma la congettura di Dillon sul suo rapporto di discepolato con Alessandro Poliistore, che ha tramandato le celebri Note Pitagoriche, non mi sembra dimostrabile.10

Certamente fece uso di diversi apocrifi pitagorici il più grande erudito della Roma tardorepubblicana, Varrone: a lui dobbiamo la conoscenza delle dottrine astronomiche di

6 DK 47A 24 = Eudemo, fr. 65 Wehrli. Sull’interpretazione di questi versi si veda C. A. Huffman, Archytas of Tarentum, … pp. 22-23, e recentemente C. Tolsa, “Horace's Archytas Ode (1.28) and the Tomb of Archimedes in Cicero (Tusc. 5.64)”, Arethusa 52, 2019, pp. 53-70. L’argomento architeo in difesa dell’infinitudine dell’universo era presumibilmente conosciuto dall’epicureo Orazio, in quanto fu ripreso nella filosofia epicurea, e in particolare da Lucrezio: Lucr. I vv. 951-983.

7 Cic. Tim. 1-2. Il senso delle parole di Cicerone, peraltro, è controverso: cf. J.-J. Flinterman, “Pythagoreans in Rome and Asia Minor around the turn of the common era”, in: C. A. Huffman (ed.), A History of Pythagoreanism, Cambridge University Press, Cambridge, 2014, pp. 343-346.

8 Aug. Civ. D. V 3.

9 Ap. Gell. NA III 10.2.

10 J. Dillon, The Middle Platonists, … p. 117.

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“Pitagora” che circolavano in Roma in epoca ellenistica:11 doveva trovarsi, nella sua sterminata produzione letteraria, un resoconto dedicato alla tematica dell’armonia delle sfere,12 ma l’immagine della lira cosmica è attestata anche in un frammento delle sue Satire Menippee,13 in una versione che tradisce forse influenze stoiche, in cui il Sole è accostato al plettro della lira in quanto muove il mondo.14 Sappiamo anche che era molto interessato alla dottrina pitagorica dei principi15 e alla numerologia, tanto da scrivere un trattato Sui Principi dei Numeri, di cui ci è noto unicamente il titolo,16 e soprattutto le Ebdomadi, opera biografica che conteneva un’ampia introduzione, che occupava l’intero libro I, sulle proprietà cosmologiche e biologiche dell’ebdomade, che conosciamo grazie al sommario riportato da Gellio;17 si tratta di un tema risalente certamente al pitagorismo di età classica, ma assai presente anche nella letteratura pseudo-pitagorica di ambito numerologico, come si è detto,18 e le osservazioni sul ricorrere dell’ebdomade in Varrone s’inseriscono assai bene in quella tradizione. Egli partiva, naturalmente, dall’astronomia:

sette sono le stelle di ciascuna Orsa, sette le Pleiadi e sette le stelle erranti; sette sono le sfere celesti e gli equinozi e i solstizi si susseguono a intervalli di sette mesi, e anche il ciclo lunare è basato sul numero 28, un multiplo di 7.19 Passava poi all’embriologia e alla medicina: il feto inizia a formarsi nel grembo materno a sette giorni dal concepimento; il sesso del nascituro, il capo e la spina dorsale iniziano a determinarsi alla quarta settimana;

dopo sette settimane (49 giorni) esso è ormai formato.20 Inoltre, il sette è alla base delle

11 Si veda Pitagora, p. 339.

12 Si può avanzare l’ipotesi che questo resoconto fosse contenuto nella sezione astronomica dell’opera in nove libri Discipline, su cui rimando a F. della Corte, Varrone, il terzo gran lume romano, Pubblicazioni dell’Istituto Universitario di Magisterio, Genova, 1954, pp. 242-247.

13 Fr. 351 Buecheler; cf. Dorilao, p. 241.

14 Vedi p. 106 n. 68.

15 La letteratura pseudopitagorica potrebbe aver ispirato, ad esempio, il resoconto sui principi del linguaggio in Varr., De Lingua Lat. V 11-12, che inizia proprio nel nome di Pitagora e rievoca le due serie dei Pitagorici.

16 Apud Hieron. Ep. XXXIII 2.

17 Gell. III 10.

18 Vedi pp. 118 sg.

19 Riguardo le fasi lunari Varrone è anche ricordato come fonte in Favon. Eulog. Disp. De Somn. Scip. p.

12, 2-4 Holder. Gli argomenti relativi alla ricorsività ciclica del numero 7 (in particolare quelli riguardanti la cosmologia) si ritrovano sia in Nicomaco che in Filone (per un confronto sistematico si vedaL. Zhmud,

“Anonymus Arithmologicus and its philosophical background”, … pp. 346-347), che forse avevano la loro fonte in uno scritto pseudo-pitagorico, il trattato di Proro Sull’Ebdomade (vedi Proro, pp. 361 sg.).

20 Simili “calcoli” per determinare lo stato di sviluppo del feto dovevano trovarsi nello scritto apocrifo di Onetore (si veda il commento pp. 291 sgg.);In generale, sulle testimonianze di embriologia neopitagorica, e sull’eccellenza delle nascite al settimo mese, rimando a A. Barker, “Pythagoreans and Medical Writers

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misure e delle proporzioni del corpo umano, e i denti spuntano a sette mesi, e a sette anni i denti da latte cadono e sono rimpiazzati, e dopo altri sette spuntano i denti del giudizio.21 Egli ricorda inoltre alcuni medici musici che, con un procedimento poco chiaro, trattavano certi mali del sistema circolatorio con i tetracordi della lira a sette corde.22 L’argomento di Varrone che merita maggiore attenzione, tuttavia, è, a mio giudizio, il seguente:

Discrimina etiam periculorum in morbis maiore ui fieri putat in diebus qui conficiuntur ex numero septenario, eosque dies omnium maxime, ita ut medici appellant, κρισίμους uideri primam hebdomadam et secundam et tertiam.23

Varrone si richiama alla ben nota idea che i cicli delle malattie siano determinati da intervalli di sette giorni, che può essere ricondotta al trattato ps.-ippocratico Sulle Ebdomadi,24 ma una intera biologia fondata su cicli di sette mesi e anni era già presente nell’opera di Ippone, che usava almeno uno degli argomenti ricordati Varrone, quello dei denti;25 d’altra parte, l’idea che l’andamento dei morbi fosse prevedibile mediante il ricorso all’aritmetica era assegnata agli antichi Pitagorici già da Aristosseno.26 Si tratta di un ottimo esempio di un argomento che, dall’antico pitagorismo, giunge alla letteratura medica e tecnica, per poi tornare ai nuovi Pitagorici, che se ne impadroniscono avvertendolo come proprio. Peraltro, è evidente l’analogia tra questo tipo di “predizioni”

mediche delle fasi critiche delle malattie e l’astrologia, e infatti Varrone non manca di ricordare i celebri klimakteres, i momenti critici della vita delle persone secondo la sapienza astrologica:27 essi erano scanditi da cicli di sette anni e gli astrologi negli oroscopi cercavano di conoscerne i dettagli prevedendo le posizioni dei pianeti e dei segni

on Periods of Human Gestation”, in: A.-B. Renger, A. Stavru (eds.), Pythagorean Knowledge from the Ancient to the Modern World: Askesis, Religion, Science, Harrassowitz Verlag, Wiesbaden 2016, pp. 263-275.

21 L’argomento dei denti sembra risalire già al fisiologo Ippone (V sec. a. C.): vedi oltre, pp. 135 sg.

Presumibilmente si rifà a Varrone il resoconto in Favon. Eulog. Disp. De Somn. Scip. pp. 9-10 Holder.

22 Queste antichissime pratiche di guarigione del corpo mediante la musica, che sembrano non aver trovato posto nella medicina classica greca, vanno distinte dalla “musicoterapia” cara ai Pitagorici, che era rivolta piuttosto all’anima che al corpo; tuttavia, nelle biografie neopitagoriche la capacità di guarire mali del corpo attraverso la musica è associata anche a Pitagora (cf. e. g. Iambl. VP 110): si vedano in proposito le osservazioni di M. L. West, Ancient Greek Music, Clarendon Press, Oxford, 1992, pp. 31-33.

23 Gell. NA III 10.14.

24 In part. [Hippocr.] Hebd. 1-11. Si veda, per la più completa panoramica disponibile sul legame tra letteratura medica e numerologia del sette, J. Mansfeld, The pseudo-Hippocratic tract Περὶ ἑβδομάδων ch.

1-11 and Greek Philosophy, … pp. 156-204.

25 DK 38A 16.

26 Cf. pp. 69 sgg.

27 Gell. NA III 10.9.

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zodiacali. Varrone aggiungeva poi altre serie di ebdomadi che lasciavano piuttosto freddo il suo lettore Gellio: sette sono le meraviglie del mondo, sette gli antichi saggi, sette i condottieri che mossero guerra a Tebe.28 È bene notare che tre degli argomenti di Varrone sono conosciuti e criticati già da Aristotele: egli s’interroga su come i numeri possano essere cause nel senso in cui i Pitagorici antichi le intendevano, e fa alcuni esempi: “sette sono le vocali, sette le note che formano l’armonia, sette le Pleiadi, alcuni animali perdono i denti a sette anni, altri no, in sette si schierarono contro Tebe”. 29 Come si può notare, questa serie di argomenti sul numero sette cari ai Neopitagorici, per quanto certamente filtrata attraverso la letteratura pseudo-pitagorica, appare già piuttosto cristallizzata e codificata in Aristotele, e mi sembra lecito supporre, visto che uno dei tre argomenti di Aristotele è attestato senza ombra di dubbio in un autore pitagorico dell’età classica, Ippone,30 che quest’ultimo, o in ogni caso la letteratura medica della scuola pitagorica, sia la fonte di Aristotele.

Non si può negare l’influenza che il movimento neopitagorico ebbe, tra la fine della Repubblica e la prima età imperiale, su autori di prima grandezza della letteratura latina come Cicerone e Ovidio;31 l’impressione, però, è che in generale nella Roma tardorepubblicana e imperiale la percezione dell’ambito del “pitagorismo” fosse qualcosa di estremamente generico, e che abbracciasse una gamma vastissima di interessi, dalla filosofia della natura e dalle matematiche fino alla magia e ai culti misterici. I termini mathematicus e Pythagoreus finirono per indicare sovente l’astrologo (così come nel mondo greco), in una generica accezione di sapiente e mago, non priva, talvolta, di sfumature negative.32 Anche a causa di questo, la critica moderna ha spesso sopravvalutato il fenomeno del neopitagorismo romano, creando vere e proprie leggende, quali quella della cosiddetta “basilica neopitagorica” di Porta Maggiore o quella, ancor

28 Gell. NA III 10.16.

29 Metaph. N 1093 a 13-19.

30 DK 38A 16.

31 Su Cicerone e il pitagorismo si veda P. S. Horky, “Italic Pythagoreanism in the Hellenistic Age”…

forthcoming 2021; quanto a Ovidio, e in particolare al noto discorso di Pitagora in Ovid. Metam. XV, vv.

73-478, si veda P. Hardie, “The Speech of Pythagoras in Ovid’s Metamorphoses XV: Empedoclean epos”, The Classical Quarterly 45 (1), 1995, pp. 204-214.

32 Per esempio, lo stesso Cicerone, nell’orazione Contro Vatinio, rinfaccia a Vatinio di usare il nome di Pitagorico come alibi per le sue pratiche magiche sacrileghe (Cic. Vat. 14); l’uso, d’altra parte, è testimoniato anche nella parte greca dell’impero: si vedano e. g. le parole di Tauro in Gell. NA I 9, 6.

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più intrigante, di Petronio Antigenide, un presunto enfant prodige delle matematiche e della filosofia, che fu persino ritenuto un piccolo iniziato in qualche circolo neopitagorico.33

L’interesse per questioni di aritmetica e geometria neopitagorica, comunque, doveva essere piuttosto vivace nella parte occidentale dell’Impero nei suoi primi due secoli, sebbene non abbia quasi lasciato tracce: accanto alla figura del I sec. d. C. di Moderato di Gades,34 possiamo ricordare, circa un secolo dopo, la traduzione latina di Apuleio dell’Introduzione all’Aritmetica di Nicomaco, di cui nulla è rimasto.35 Una teologia dei numeri analoga a quella di Nicomaco era presente anche in un discorso apocrifo di Pitagora che era rivolto, nel contesto fittizio, agli antichi Latini, il cui contenuto è riassunto nella Vita Pitagorica di Giamblico.36

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