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Rompere il silenzio: per un pitagorismo ellenistico

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA TITOLO TESI (pagine 94-113)

L’affermazione che si trova consuetamente nella letteratura critica, secondo cui il pitagorismo fu semplicemente inglobato nell’Accademia e in parte nel Peripato, e in questo passaggio avvenne la confusione tra la dottrina propriamente pitagorica e il patrimonio di quelle scuole, e specialmente di quella di Platone, non è del tutto infondata, ma risulta insufficiente e inadeguata a spiegare la nascita di una vulgata pitagorica, come spero di aver mostrato nelle pagine precedenti: certamente il lavoro di Peripatetici e Accademici sul pitagorismo costituì un serbatoio di fonti e conoscenza per le generazioni successive, visto che costoro avevano finalmente rotto il silenzio che circondava la figura e l’insegnamento di Pitagora; ma in nessuno di questi autori il passaggio successivo, l’identificazione tra l’insegnamento del Maestro e la propria dottrina, è testimoniato oltre ogni dubbio. Saranno proprio i primi apocrifi pitagorici a compiere, in piena età ellenistica, questo passo decisivo; ma resta da sciogliere un nodo complesso: cosa significava “Pitagorico” tra il IV e il II sec. a. C.? A questo punto, su quasi ogni opera dedicata alla storia del pitagorismo cala il sipario: si trova, tutt’al più, un breve capitolo dedicato ai Pitagorici derisi nella commedia ellenistica, che conducevano uno stile di vita affine a quello dei Cinici, e all’odiata figura di Diodoro d’Aspendo, che avrebbe ridotto l’associazione a una manica di asceti stravaganti e sporchi.1 Raramente si pensa al pitagorismo come filosofia in un’epoca in cui, notoriamente, la scuola non esisteva più, travolta dalle vicende della diaspora. Eppure, durante questi tre secoli la produzione di apocrifi pitagorici, come si è visto, è piuttosto vitale, e a testimoniare questo non c’è solamente la ricca letteratura epistolare esaminata all’inizio del capitolo.

Non si vuole, naturalmente, sminuire l’importanza del bios nell’identità pitagorica, anche in quest’epoca; ma vale la pena d’indagare le labili tracce di “dottrine” associate al pitagorismo in quest’età di passaggio: esistevano, in età ellenistica, una protologia, un’aritmetica, un’astronomia “pitagoriche”? E a quale titolo? Come accadde che la decade cara all’Accademia e la Tetraktys dei Pitagorici divennero un’unica cosa? Come l’idea che i corpi celesti producessero musica divenne un vero sistema astronomico?

1 Si veda in proposito il capitolo, peraltro ottimo, in B. Centrone, Introduzione a i Pitagorici, … pp. 141 sgg. Su Diodoro, si veda DL VI 13, dov’è assimilato ai Cinici; e inoltre Iambl. VP 266, dov’è presentato come un divulgatore dei segreti pitagorici.

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Il testimone chiave, e anche il più studiato, che documenta un’immagine del Pitagorismo come sistema filosofico in età ellenistica sono i celebri hypomnemata epitomati da Alessandro Poliistore e riportati da Diogene Laerzio, che erano, come ho tentato di mostrare nel commento, un antico testo dedicato all’esegesi di alcuni simboli pitagorici che forse veniva attribuito a Pitagora da Alessandro, di datazione incerta ma probabilmente antecedente al I sec. a. C, e contemporaneo della lettera di Liside a Ipparco.2 Non mi dilungherò su questo testo, già ampiamente analizzato in sede di commento, e sull’immagine della filosofia pitagorica che esso propone: basterà ricordare che la prima sezione dello scritto presenta una serie derivativa che vede la Monade agire come causa formale della Diade Indefinita, paragonata alla materia inerte e passiva. Da questa prima interazione hanno luogo i numeri, poi dai numeri derivano le grandezze (punto-linea-superficie-solido) da cui si generano i corpi. Gli hypomnemata sono tra i più antichi testi a utilizzare apertamente i nomi accademici dei principi (Monade-Diade Indefinita) in relazione al pensiero di Pitagora, e anche la serie derivativa che segue è di probabile ispirazione accademica, anche se non trova riscontro preciso in nessuna testimonianza sugli antichi Accademici, specialmente nella parte in cui pone una derivazione diretta dei punti e delle grandezze dai numeri. L’insistenza sulla preminenza causale del principio attivo su quello passivo (il primo è chiamato esplicitamente “causa” del secondo) e il carattere immanente dei principi rispetto ai corpi sembrano suggerire un’influenza del monismo stoico, cosa non troppo sorprendente dal momento che echi della filosofia stoica pervadevano l’intero apocrifo.3

Vale la pena di ricordare una serie molto simile in un altro testimone chiave, l’anonima Vita di Pitagora riassunta da Fozio,4 che pone però in relazione diretta la Monade e il punto geometrico:

I Pitagorici sostenevano che la Monade è il principio di ogni cosa, poiché il punto, dicevano, è principio della linea, e questa della superficie, e quest’ultima di quanto si estende nelle tre direzioni, vale a dire di ciò che è corporeo. Ma la monade precede il punto nell’ordine del pensiero: così, tutte le realtà corporee sono venute in essere dalla monade.5

2 Oltre che al commento, pp. 345 sgg., per una sintesi delle principali posizioni sulla datazione e il contesto dello scritto rimando a B. L. van der Waerden, “Pythagoras”, RE suppl. X, 1965, coll. 848-850.

3 Si vedano più in dettaglio Note Pitagoriche, pp. 352 sg.

4 Phot. Bibl. cod. 249.

5 Anon. Phot. p. 238, 8-11 Thesleff.

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L’Anonimo di Fozio pone l’accento sulla priorità della monade rispetto al punto nel pensiero, ponendo in evidenza la corrispondenza tra generazione del mondo fisico e ordine logico-assiologico delle realtà intelligibili. Notevoli punti di contatto con questi testi si trovano in un’altra testimonianza relativamente antica su Pitagora, che usa presumibilmente gli hypomnemata come fonte:6 si tratta del passo dedicato alla dottrina dei principi secondo Pitagora nei Placita Philosophorum ps.-plutarchei, che vale la pena di citare per intero:

Pitagora di Samo, figlio di Mnesarco, pone un principio ancora diverso; egli fu il primo a chiamare la filosofia con questo nome, e pose come principi i numeri e le proporzioni presenti in essi, che chiama anche “armonie”, mentre ciò che è composto da entrambi sono gli elementi (stoicheia), che vengono detti “geometrici”. Anch’egli pone la Monade e la Diade Indefinita tra i principi. E per lui, uno dei principi tende alla causalità efficiente e formale, e questo è l’intelletto, o dio, l’altro, invece, a quella passiva e materiale, e questo è il cosmo visibile. E la natura del numero è la decade: tutti i Greci, tutti i Barbari contano fino a dieci, e raggiuntolo tornano nuovamente all’unità. E ancora egli afferma che la potenza (dynamis) della decade è insita nel quattro e nella tetrade, ed eccone la causa:

se, ripartendo dalla Monade, le si aggiunge per addizione la serie dei numeri procedendo fino al quattro, si completerà il numero dieci; ma se si supera la tetrade, si va anche oltre il dieci, in modo tale che sommando l’uno, il due, il tre e ad essi il quattro si completa il numero dieci. Pertanto, il numero è contenuto, in base alle unità, nel dieci, mentre in base alla potenza nel quattro. Perciò anche i Pitagorici si esprimevano come se la Tetrade fosse il più grande dei giuramenti:

No, per colui che trasmise la Tetraktys al nostro capo,

che ha in sé la fonte e radice della natura semprefluente (aenaou physeos). 7

La datazione, le fonti e le stratificazioni dei Placita sono, com’è noto, un annoso problema:8 quale che sia la “fase compositiva” a cui appartiene il resoconto su Pitagora, trovo che le

6 Si veda la ricostruzione proposta da L. Zhmud, “From Number Symbolism to Arithmology”, in L.

Schimmelpfennig (ed.), Zahlen- und Buchstabensysteme im Dienste religiöser Bildung, Tübingen, Seraphim, 2019, pp. 38-43; e in L. Zhmud, “Anonymus Arithmologicus and its philosophical background”, in: C. Macris, T.

Dorandi, L. Brisson (eds.), Pythagoras Redivivus. Studies on the texts attributed to Pythagoras and the Pythagoreans, Sankt Augustin, Academia Verlag, 2021, pp. 354-365. Egli ritiene che il materiale comune ai due scritti, e in particolare l’impronta stoicizzante, sia comune con un’altra fonte, un Anonymus Arithmologicus, di cui nessuna testimonianza diretta è sopravvissuta, che avrebbe proposto una numerologia “platonica” in veste pitagorizzante, e che mostrerebbe tracce d’influenza stoica. Il problema dell’esistenza di questo scritto e dei suoi legami con gli pseudopythagorica sarà discusso oltre; ma mi pare che nulla dimostri una connessione tra questo scritto, gli hypomnemata e l’estratto dossografico dei Placita: gli hypomnemata, d’altra parte, sono uno dei più antichi esempi di creazione di un’autorità pitagorica, certamente più antichi dell’Anonymus, e verosimilmente costituiscono una delle fonti dei Placita.

7 Ps. Plut. Plac. 876e-877a = Aët I, 3, 8.Un resoconto molto simile, ma più dettagliato, si trova in Sext. Emp. Adv.

Math. VII, 94-101, pp. 22-23 Mutschmann.

8 Mi limito, riguardo la questione, a rimandare al classico di H. Diels: Doxographi Graeci, Reimer, Berlin, 1879, pp. 178-233; egli tenta di ricostruire i diversi passaggi degli estratti dossografici tramandati dallo Ps. Plutarco e da Stobeo, concludendo che la loro fonte doveva essere l’opera di Aezio, a sua volta basata su una fonte più antica, chiamata Vetusta Placita, caratterizzata dalla convivenza di materiale stoico e peripatetico; la sua ricostruzione, sebbene per certi aspetti superata, costituisce ancora un validissimo quadro di riferimento cronologico. Riguardo

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somiglianze con gli hypomnemata di Alessandro siano davvero notevoli: ritroviamo la lettura stoicizzante dei due principi accademici come causa attiva e passiva dell’ordine cosmico e la derivazione degli stoicheia geometrici (presumibilmente gli elementi del mondo fisico) dai numeri; i Placita sottintendono la serie derivativa ma aggiungono che i numeri per dar luogo agli elementi devono interagire tra loro mediante proporzioni.

Differentemente dagli hypomnemata, i Placita mettono in bocca a Pitagora alcune sentenze sulla decade: mi sembra che parte degli argomenti utilizzati si rifaccia al testo di Speusippo a riguardo. L’argomento secondo cui la natura onnicomprensiva della decade è dimostrata dall’adozione di sistemi in base decimale da parte di tutti i popoli, ad esempio, si ritrova sia in Speusippo sia nei successivi pseudopythagorica.9 Anche se con argomenti un po’ confusi che lasciano pensare a una riduzione impacciata di una fonte più antica, si ritrova inoltre l’idea che la decade costituisca il compimento e la perfezione della natura del numero, mentre la tetrade contiene “in potenza” quella natura;10 Questo punto trova una precisa corrispondenza nella Vita anonima di Fozio:

E poiché (sc. i Pitagorici) riconducevano ogni cosa ai numeri, a partire dalla Monade e dalla Diade, chiamavano numeri anche tutti gli enti. Il numero, poi, trova compimento nel dieci, e il dieci è, in effetti, la somma dei primi quattro numeri naturali, se li enumeriamo: per questo chiamavano il numero in generale Tetraktys.11

Soprattutto, l’estratto dei Placita, nonostante i problemi di collocazione cronologica, è certamente il più antico testimone che tramandi il celebre giuramento dei Pitagorici: gli akousmata vietavano di giurare sugli dèi,12 e la pratica di giurare su Pitagora per evitare il giuramento sulla divinità sembra già attestata indirettamente nell’incipit del Tripartitum.13 Inoltre Pitagora, coerentemente con quanto raccontano dell’associazione gli autori successivi,14 non può essere chiamato per nome. La lingua del giuramento, che consiste di due esametri, è un dorico superficiale, simile a quello degli pseudopythagorica dorici, e ha riscontro in questa

alla sezione su Pitagora, comunque, Diels si rendeva conto che essa doveva essere modellata su antico materiale apocrifo: ibid., p. 181.

9 Si veda Archita, pp. 179 sgg.

10 Quest’interpretazione della tetrade come “potenza” della decade avrà una certa fortuna nella letteratura neopitagorica: cf. e. g. Philo Alex. De Op. Mund. 47.

11 Anon. Phot. pp. 237, 23-238, 1 Thesleff.

12 DL VIII 22.

13 Pythagoras Trip. p. 171, 3-5.

14 Cf. e. g. Iambl. VP 88.

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letteratura il ricorso al termine physis al posto di ousia come espediente arcaizzante.15 Soprattutto, il giuramento testimonia la definitiva identificazione tra la Tetraktys pitagorica e la decade concepita come immagine della totalità e dunque del cosmo. L’espressione poetica aenaos physis viene spesso ricollegata a un frammento di Senocrate in cui il secondo principio è chiamato to aenaon,16 e persino portata come evidenza del fatto che Senocrate conoscesse il giuramento pitagorico,17 ma se c’è relazione tra Senocrate e il giuramento,18 credo debba essere ribaltata: l’aenaos physis del giuramento è il mondo sensibile, inteso non già come principio indeterminato e privo di ordine, ma come immagine radicata nella perfezione della decade, suo modello intelligibile. Il giuramento, dunque, tradisce chiaramente l’influenza dell’Accademia, e va annoverato tra i primi testimoni dell’intreccio tra platonismo e pitagorismo: la Tetraktys è ormai una realtà intelligibile, modello del cosmo, perché la riflessione accademica sui numeri imponeva il superamento del modello fondato su “somiglianza” e “corrispondenza”19 proposto dai Pitagorici antichi per descrivere il rapporto tra numeri e cose.

Le cose si fanno ancor più interessanti nel seguito del resoconto dossografico dei Placita, in cui a Pitagora è attribuita un’articolata teoria della conoscenza basata sulla corrispondenza tra l’anima e la Tetraktys:

E la nostra anima- dice- è composta dalla tetrade: essa è, infatti, intelletto, scienza, opinione, sensazione, quelle facoltà grazie a cui ogni arte e scienza, e anche noi stessi, siamo razionali. Dunque, l’intelletto è la Monade: l’intelletto infatti contempla i suoi oggetti in rapporto all’unità: ad esempio, se c’è una moltitudine di uomini, questi, presi uno per uno, sono impossibili da percepire e comprendere, e inoltre infiniti, però noi cogliamo con l’intelletto la cosa in sé, l’uomo, come uno solo, a cui nessuno si trova ad essere simile (…); la Diade Indefinita, invece, è la scienza, appropriatamente; ogni dimostrazione, infatti, ogni convinzione propria della scienza, e inoltre ogni sillogismo ricompongono ciò che era oggetto di disputa, partendo da principi su cui vige l’accordo, e facilmente pervengono a dimostrare qualcos’altro. La comprensione di queste cose è la scienza, perciò essa potrà essere anche la Diade. La Triade è l’opinione derivante dall’apprensione diretta

15 cf. e. g. Archytas de Princ. p. 19, 16-17; Philolaus De Decad., fr. DK 44B 11. Si veda peraltro Pl. Leg. 966e, ἀέναος οὐσία.

16 Aët I 3, 23 = fr. 101 Isnardi Parente.

17 Cf. e. g. W. Burkert, Lore and Science in Ancient Pythagoreanism, … p. 72. J. Dillon, The Heirs of Plato, … pp. 100-101. I.-F. Viltanioti, “L’harmonie des Sirènes du pythagorisme ancien à Platon”, … p. 78.

18 Non ha torto L. Zhmud, Pythagoras and the Early Pythagoreans, … p. 427, a dubitare che ci sia un qualche legame, e a sospettare che gli studiosi abbiano associato Senocrate al Giuramento per il desiderio di stabilire una connessione certa tra l’Accademico e il pitagorismo.

19 Si pensi all’ambiguità della terminologia utilizzata da Aristotele per descrivere la relazione che i Pitagorici ponevano tra i numeri e il cosmo: essi sono una causa materiale immanente agli esseri, e sono anche alcune loro proprietà (Arist. Metaph. 986a 15-17); nonostante la loro immanenza, inoltre, le cose non sono che imitazioni dei numeri: Platone, parlando di “partecipazione” tra idee e sensibili, ha solo cambiato nome rispetto alla mimesis dei Pitagorici (ibid. 987b 10-12).

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(katalepsis), appropriatamente, poiché l’opinione è relativa a molteplici oggetti, e la Triade è una molteplicità (…).20

Il resoconto dei Placita è infarcito di terminologia stoica, e l’opinione è associata alla katalepsis; non a caso, questa sezione dei Placita viene fatta risalire sovente a Posidonio di Apamea.21 Tuttavia, anche se Posidonio fosse effettivamente la fonte dei Placita, certamente egli rielaborava materiale più antico, la cui origine nell’Accademia antica ha un testimone assai autorevole: la prima formulazione di questa dottrina della conoscenza, che accosta le facoltà dell’anima alla Tetraktys, compare nel De Anima di Aristotele,22 in un passo presentato come il sommario di un resoconto più esteso sulla dottrina accademica, che era contenuto nello scritto perduto Sulla Filosofia. Sebbene non sia chiaro a quale accademico si stia riferendo precisamente Aristotele,23 è evidente che la fonte dei Placita si sentì autorizzata a riconoscere qui una teoria della conoscenza propria dei Pitagorici.

L’attribuzione a Pitagora della prima adozione delle quattro facoltà conoscitive che caratterizzavano l’anima secondo Platone (è curioso, peraltro, che i Placita ne sviluppino solamente tre, probabilmente riassumendo la fonte in modo maldestro)24 avrà un’enorme risonanza in tutta la letteratura filosofica successiva, e la corrispondenza tra le quattro facoltà dell’anima, la progressione aritmo-geometrica della tetrade e le discipline del quadrivium impressionò enormemente gli autori degli apocrifi, tanto che nella letteratura apocrifa successiva si consoliderà in una vera e propria teoria della conoscenza,25 che costituirà una costante all’interno del corpus. È importante sottolineare come questo peculiare modello abbia avuto origine, con ogni probabilità, innanzitutto dal lavoro esegetico condotto nell’Accademia e tra gli interpreti ellenistici sui dialoghi platonici, e in particolare sul paragone della linea divisa

20 Ps. Plut. Plac. 877b-c = Aët I 3, 8.

21 Si veda in proposito J. Mansfeld, The pseudo-Hippocratic tract Περὶ ἑβδομάδων ch. 1-11 and Greek Philosophy,

… pp. 156-160.

22 Arist. De An. 404b 18-27 = De Philosophia fr. 11 Ross.

23 Si è pensato agli agrapha dogmata di Platone, e in particolare alla lezione Sul Bene discussa da Aristotele nel De Philosophia (G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Vita e Pensiero, Milano, 1987, pp. 647-648, 668-671), oppure a Senocrate (la cui dottrina dell’anima compare subito dopo, fr. 165 Isnardi Parente) come fonte di Aristotele. Per una rassegna delle ipotesi di assegnazione, rimando a M. Isnardi Parente, Speusippo, Frammenti,

… pp. 339-346; ella propone un’attribuzione a Speusippo (fr. 98 della sua raccolta), che appare però inaccettabile a L. Tarán, Speusippus of Athens, … pp. 459-460.

24 Una simile confusione è presente anche in Alessandro di Afrodisia, che attinge presumibilmente al De Anima quando commenta il celebre passo aristotelico sui Pitagorici nella Metafisica (Alex. In Metaph., p. 39 Hayduck);

curiosamente, egli associa la monade all’intelletto e l’opinione alla diade.

25 Per un esame più dettagliato di questa teoria negli apocrifi successivi rimando ad Archita, pp. 201 sgg.Cf. G.

De Cesaris, P. S. Horky, “Hellenistic Pythagorean Epistemology”, … pp. 227-228.

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nella Repubblica, come avverrà per gli apocrifi più tardi;26 sebbene le testimonianze in nostro possesso siano assai scarse, sappiamo ad esempio che Eratostene nel Platonico faceva riferimento ai logoi della linea divisa nella Repubblica e alle relazioni tra le facoltà conoscitive per chiarire la distinzione tra logos e diastema.27

Esisteva però, oltre a quella dei dialoghi platonici, anche un’altra forma di esegesi filosofica che può aver contribuito all’affermarsi di quest’interpretazione del pensiero pitagorico, quella degli akousmata pitagorici antichi. Si tratta di una questione delicata, poiché il ruolo dei simboli o akousmata all’interno della società pitagorica era un mistero già nell’Antichità. Aristotele aveva studiato i simboli, ma senza comprenderli, anzi, rendendosi probabilmente conto che essi non andavano interpretati.28 La sua posizione è naturalmente la più vicina a comprendere la reale funzione storica dei simboli nel primissimo pitagorismo: in origine il termine symbolon indicava propriamente un oggetto diviso in due parti che, riunite, permettevano il riconoscimento; e la credenza condivisa in questi simboli doveva avere appunto una funzione identitaria.29 Non è chiaro (né riguarda direttamente l’oggetto della nostra indagine) quando questa funzione venne meno, ma sembra che già in età classica non si comprendesse più lo scopo di questi ascoltamenti. Si è detto che Aristosseno si sforzò non tanto di cancellare i simboli, ma d’integrarli nella sua nuova immagine di un pitagorismo sistematico;30 l’età ellenistica vide un fiorire di opere che portarono alle estreme conseguenze questa tendenza, proponendo diverse interpretazioni dei simboli, che non rispondevano solo a una necessità di erudizione, ma dovevano rifunzionalizzare in una nuova chiave semantica un patrimonio dottrinale “morto”, ma ancora avvertito come importante. Le principali linee esegetiche attestate in questo periodo, differenti ma non necessariamente alternative, sono: quella allegorica, rappresentata da Anassimandro il Giovane e Alessandro di Mileto detto Poliistore,31 che vedeva nei simboli l’esposizione di verità filosofiche per mezzo di allegorie; quella realistica e naturalistica, che si concentrava, ad esempio, sui benefici medici delle prescrizioni

26 Cf. Archita, pp. 210 sgg.

27 Eratostene, ap. Theo Sm. Exp. p. 81, 18-22 Hiller. Si veda, su questo frammento e sull’esegesi eratostenica della Repubblica, il contributo di S. Panteri, “Eratosthenes’ Πλατωνικός between Philosophy and Mathematics”, in: R.

Berardi, N. Bruno, L. Fizzarotti (eds.), On the Track of the Books. Scribes, Libraries and Textual Transmission, De Gruyter, Berlin, 2019, pp. 143-166.

28 Aristotele, Sui Pitagorici, apud Iambl. VP 86.

29 Cf. C. Riedweg, Pythagoras; Leben, Lehre, Nachwirkung, … pp. 130-131.

30 Vedi sopra, p. 68.

31 Rimando ad Androcide, pp. 169 sg.

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pitagoriche (tale sembra essere stato il fine dell’opera del medico “pitagorico” Licone);32 e quella “per enigmi”, che sembra aver avuto il suo più illustre rappresentante, insieme forse al

“Pitagorico acusmatico” Ippomedonte di Argo, 33 nell’opera Sui Simboli Pitagorici attribuita ad

“Androcide”, figura probabilmente fittizia.34 “Androcide” proponeva, più che un’interpretazione in senso proprio dei simboli, una “soluzione”: i simboli non sono che indovinelli, la cui funzione è garantire segretezza, ma che possono essere compresi e risolti razionalmente. La cosa più interessante ai nostri fini è che l’unico frammento pervenutoci dell’opera di Androcide è una sentenza sul quadrivium, in cui le discipline matematiche

“uniscono le forze” per pervenire a una sapienza superiore, così come avviene con i disegni

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