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La misura di tutte le cose: il numero e principi del reale

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA TITOLO TESI (pagine 113-123)

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II

GLI PSEUDOPYTHAGORICA DORICI (I SEC. A. C.- I D. C.)

1. La misura di tutte le cose: il numero e principi del reale

Mentre per la prima età ellenistica l’identità del pitagorico è quantomai sfuggente, ed è assai difficile identificare un terreno di insegnamenti e dottrine coerenti e comuni agli apocrifi pitagorici, le cose stanno ben diversamente per i trattati del periodo “alessandrino”, della cui omogeneità e coerenza si è già ampiamente discusso. Il presente capitolo, partendo dal presupposto che questi trattati riflettano un sistema, cercherà di delimitare e definire il ruolo che le matematiche giocano in questi scritti.

La protologia presente nei trattati dorici è stata ampiamente analizzata da Bruno Centrone1 e Angela Ulacco;2 quest’ultima, in particolare, ha messo bene in evidenza la connessione tra dottrina dei principi e matematiche che domina il pensiero degli sconosciuti autori.3 Al cuore di questa connessione si trova il concetto di misura, che assume nei trattati una valenza tanto etica4 quanto metafisica, poiché è proprio la misura tra l’eccesso e il difetto a costituire quel principio di ordine,5 quel riferimento guardando al quale la divinità compie l’operazione di ordinare il mondo nelle sue parti, ricordata in tutti i trattati con il termine diakosmesis. Non a caso gli autori invocano spesso l’immagine della squadra (kanon) e del filo a piombo (stathme), che immaginano nelle mani del Dio demiurgo e architetto del mondo, per chiarire quale sia la natura del principio: la euthytes e l’isotes, la rettezza e l’uguaglianza, sono realtà ontologicamente prime, in quanto rendono pensabile e possibile l’intervento demiurgico sul disordine a ogni livello.6 Nel sistema gerarchico costituito da due systoichiai contrapposte che ritroviamo in questi testi, una systoichia è razionale, proporzionata, esprimibile, mentre

1 B. Centrone, “The Theory of Principles in the Pseudopythagorica”, … pp. 90-97.

2 A. Ulacco, Pseudoythagorica Dorica, … pp. 10-12, 22 sgg.

3 Ibid. pp. 36, 47-48.

4 Non a caso troviamo, nella maggior parte degli scritti del corpus, una difesa della metriopatheia e della dottrina peripatetica delle passioni: cf. P. Moraux, Der Aristotelismus bei den Griechen, Band II, … pp. 662-666.

5 Cf. Metopos De Virt. p. 120, 4-14. Si veda Archita, p. 185.

6 Si veda Archytas De Intell. p. 37, 16-20; cf. pp. 210 sgg.

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l’opposta è irrazionale e inesprimibile.7 Ad esempio, secondo le parole di Euriso,8 nel trattato Sulla Sorte:

Dal momento che in quest’universo sono presenti due nature opposte tra loro, e di esse una è effabile (rhetà), ordinata e dotata di proporzione in relazione a ogni cosa, mentre l’altra è ineffabile (arrhetos), priva di ordine e irrazionale, e inoltre non ha alcuna struttura ordinata, è evidente di per sé che quanto avviene in conseguenza della sorte e di quanto è spontaneo si verifica quando la natura propria dell’irrazionale e privo di ordine viene a contatto con le cose di questo mondo. D’altra parte, tutte le cose subordinate alle serie delle due nature universali sono sempre distinte secondo il meglio e il peggio, queste in quanto le domina una natura benefica e regale, quelle invece una natura malefica e tirannica.9

Gli autori sembrano aver giocato sulla polisemia dei termini arrheton e rheton, riferibili all’ambito della teoria della conoscenza, giacché nulla può essere detto o determinato del secondo principio e degli elementi che fanno capo ad esso, e inoltre a quello della geometria, poiché la menzione dell’arrheton nella serie dell’indeterminato e disordinato è uno scoperto riferimento alle grandezze incommensurabili, refrattarie a ogni tentativo di ordinamento da parte della proporzione,10 e infine all’ambito etico e politico, in quanto i principi delle due serie sono sovente connotati come nature del bene e del male, del potere legittimo (la basileia) e illegittimo (la tirannide). La nozione di proporzione acquista, in modo analogo, un valore universale e trasversale a tutti i livelli del cosmo: se la misura rende possibile la prima interazione tra le due systoichiai, sul piano cosmologico questo concetto di misura si traduce appunto nella proporzione, e in particolare nella proporzione geometrica; essa mette in relazione realtà irriducibili tra loro quali il pari e il dispari, il quadrato e l’eteromeche; il cosmo stesso è conservato eterno e intatto grazie alla proporzione tra le sue parti e gli elementi che lo costituiscono, ma anche la società umana e la famiglia, riflesso di quell’ordine, devono servirsi della proporzione nella progettazione del loro ordinamento, se desiderano puntare alla stabilità e alla durevolezza.

Tentando un’estrema sintesi di quanto si trova nei frammenti, le due serie si potrebbero schematizzare in questo modo:

7 Cf. Archytas, De Princ. p. 19, 5-13; vedi commento, pp. 182 sgg., e M. Bonazzi, “Eudoro di Alessandria alle origini del platonismo imperiale”, … pp. 152-157.

8 Sul nome di Euriso-Eurito vedi p. 156 n. 31.

9 Eurytos De Fort. p. 88, 11-19.

10 Cf. Archita, pp. 182 sgg.

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Primo principio (trascendente?), Dio, Uno

I Systoichia II Systoichia

monade diade

uguale (misura) ineguale (eccesso e difetto)

assoluto relativo

limite illimitato

razionale irrazionale

effabile ineffabile

dispari pari

quadrato rettangolo

bene male

re tiranno

… …

Le fonti veteroaccademiche di questa sistemazione sono evidenti, in particolare nella contrapposizione tra uguale e ineguale e tra assoluto e relativo,11 e anche l’ispirazione pitagorica, in particolare rispetto alle due serie degli “altri Pitagorici” ricordati da Aristotele nella Metafisica, può essere frutto di una mediazione da parte di fonti dell’Accademia antica.12 Le due systoichiai e la loro interazione sono caratterizzate e descritte da questi autori mediante nozioni e concetti propri delle matematiche, e in particolare dell’aritmetica, della geometria e della musica. Alla questione su come avvenga e in cosa esattamente consista l’interazione tra le due systoichiai irriducibili che dà luogo ai vari piani di realtà fino a formare il mondo sensibile, gli autori anonimi forniscono, in genere, risposte piuttosto elusive: in generale, risulta chiaro che occorre l’intervento di una causa superiore, intelligente e divina;13 la divinità, peraltro, non si trova davanti due serie equivalenti, ma solo una delle due, quella razionale, effabile e dotata di proporzione, è un principio in senso proprio, mentre l’altra non ha nessun potere generativo.14 L’azione divina di armonizzazione delle contrarietà irriducibili è indicata in genere con il termine synarmogà; ma sovente questa operazione è descritta anche come una

11 Si veda in dettaglio Callicratida, p. 235.

12 Ibid.

13 Archytas De Princ. pp. 19, 21-20, 2; Timaios Lokros De Univ. Nat. p. 205, 5-9.

14 Sulla passività del secondo principio negli pseudopythagorica, cf. Metopos De Virt. p. 119, 14-16; Okkelos De Leg. p. 125, 1-7; Okkelos De Univ. Nat. p. 135, 5-8; Philolaos De An. p. 150, 15-17.

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henosis, una riduzione all’unità, con un evidente riferimento al Timeo e alla dottrina delle proporzioni in esso contenuta.15 Talvolta si ricorre, infine, all’antica immagine, ispirata al pitagorismo classico, del limite (peras, to peperasmenon) che circoscrive l’illimitato (apeiron) e gli dà forma e confine.16

Ritengo che si possa pervenire a un’idea più precisa del processo implicato in tutte queste metafore guardando a due testi relativamente trascurati del corpus, il trattato Sui Numeri di Butero e lo scritto Sulla Felicità della Casa di Callicratida:17 questi due testi, che all’apparenza non potrebbero essere più diversi tra loro per argomento, sono però accomunati da una similitudine. Entrambi, per spiegare la preminenza della prima systoichia sulla seconda, si richiamano all’immagine degli gnomoni, coniata, secondo la testimonianza di Aristotele, dagli antichi Pitagorici:18 la successione dei numeri dispari è immaginabile, sul piano geometrico, come una serie di gnomoni che si dispongono attorno all’unità a formare quadrati, che obbediscono naturalmente ai principi di proporzione e similitudine. Lo stesso procedimento, invece, se applicato alla serie dei numeri pari, origina una serie di rettangoli che non hanno nessun rapporto di similitudine né alcuna progressione proporzionale; uno dei due autori, Butero, aggiunge inoltre un’osservazione assente nei resoconti più antichi sull’immagine degli gnomoni, che sottolinea il ruolo attivo della prima systoichia nel processo generativo: la serie degli gnomoni pari può divenire proporzionata se “generata nel dispari”, ovvero nel caso di rettangoli che hanno un’area data da un logos tra un pari e un dispari;19 l’immagine è rievocata en passant anche nello scritto Sulla Decade attribuito a Filolao, che ne sottolinea anche la valenza conoscitiva: il numero costituisce il vincolo delle proporzioni che rendono conoscibile all’anima il mondo materiale. Questa “teoria dei numeri” pitagorizzante, incentrata sul pari e sul dispari e sul loro valore assiologico e fondata sull’antica immagine degli gnomoni, non è propria solo degli pseudopythagorica alle soglie dell’età imperiale: essa è presente in un importante estratto tramandato da Stobeo che può essere ricondotto con ogni probabilità,

15 Si veda e. g. Timeo di Locri, pp. 379 sgg.

16 Si vedano Kallikratidas De Dom. Felic. p. 103, 11-18; Metopos De Virt. p. 120, 9-12.

17 Butero, pp. 227 sgg.; Callicratida, pp. 233.

18 Cf. Callicratida, p. 235.

19 Butheros De Numer. p. 59, 13-15.

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nonostante i dubbi di Diels e Wachsmuth,20 all’opera dal titolo Lezioni Pitagoriche di Moderato di Gades:21

(Pitagora) chiarì che il pari è imperfetto, mentre il dispari è completo e perfetto, poiché egli considera che sempre, se mescolato al pari, il dispari riesce a dominare su entrambi, e al contrario, se sommato a se stesso, esso genera il pari; invece, il pari non genera in alcun modo il dispari, in quanto non è generativo, né ha la potenza di un principio. Tantopiù che, se si divide un numero a metà, molti dei pari daranno come risultato della divisione un dispari, come il sei e il dieci, ma dei dispari nessuno darà un pari: infatti ciò che è principio ed elemento non può essere diviso in qualcos’altro; ma in tutti gli altri casi le divisioni porteranno sempre a questi risultati. Inoltre, se si dispongono intorno alla monade in successione gnomoni dispari, ciò che si produce è sempre un quadrato; ma da una serie di gnomoni pari disposti in modo simile si ottengono rettangoli ineguali, e nessuno di questi rappresenta un numero quadrato. E ancora, se si divide un numero in due parti uguali, nel caso del dispari la monade resta intatta nel mezzo, mentre nel caso del pari rimane uno spazio vuoto, senza padrone e privo di numero, quasi che esso sia manchevole e imperfetto. In questo modo, dunque, egli discorre riguardo la teoria generale dei numeri.22

Ritengo assai probabile che Moderato conoscesse alcuni testi pseudopitagorici, e che sia uno dei primissimi autori a usarli come fonti; egli conosceva la distinzione tra unità e monade che ritroviamo negli apocrifi,23 e ricordava una teologia del numero di “Pitagora”, non dissimile da quella elaborata successivamente da Nicomaco.24 Egli citava inoltre la definizione della monade di Timarida,25 e sembra riferirsi agli apocrifi quando dichiara, in decisa controtendenza rispetto alla dossografia dominante che riconduce invariabilmente il dualismo monade-diade ai Pitagorici:

Occorre sapere anche questo: i pensatori più recenti introdussero come principi dei numeri la monade e la diade, mentre i Pitagorici tutte le serie in successione dei termini, per mezzo di cui sono pensati il pari e il dispari.26

20 Ritengo sia da considerare un unicum con gli estratti precedenti, attribuiti a Moderato, il grande frammento di Stobeo (I 8-10, pp. 21-22 Wa.), che è stato smembrato e attribuito in parte allo Ps. Plutarco per via di Diels (Doxographi Graeci, … p. 96) che notava la grande somiglianza di alcuni passi del testo con [Plut]. V. Hom. 145, ma il suo argomento non sembra troppo stringente.

21 Su Moderato rimando a W. Burkert, Lore and Science in Ancient Pythagoreanism, … p. 60; in particolare, sul suo rapporto con il medioplatonismo, si vedano C. Tornau, “Die Dreiprinzipienlehre des Moderatos von Gades:

zu Simpl. In Phys. 230, 34-231, 24 Diels”, Rheinisches Museum für Philologie 143 (2), 2000, pp. 197-220; G.

Staab: Pythagoras in der Spätantike, … pp. 77-81; e H. Tarrant, Thrasyllan Platonism. Cornell University Press, Ithaca (N.Y.), 1993, pp. 150–177.

22 Moderato ap. Stob. I 10, p. 22, 6-24 Wachsmuth.

23 Moderato ap. Syrian. CAG 6.1 p. 151 Kroll, cf. Archita, pp. 187 sgg.

24 Moderato ap. Stob. I 10, pp. 21, 27-22, 6 Wachsmuth.

25 Moderato ap. Stob. I 8, p. 21, 10-11 Wachsmuth: cf. Timarida, p. 369.

26 Moderato ap.Stob. I 9, p. 21, 21-25 Wachsmuth.

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Apprendiamo, sia da Moderato sia dagli autori anonimi, che la seconda systoichia non può generare da sola, ma può essere solamente portata all’ordine: questo è “osservabile”, per gli autori pseudo-pitagorici, in massimo grado sul piano del numero e dell’aritmetica. Per questa ragione, ai loro occhi i resoconti sulla dottrina pitagorica del numero di Aristotele, Aristosseno e Speusippo divengono fondamentali, non solo come fonti antiquarie, ma anche e soprattutto come possibile fondamento di una nuova metafisica.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, però, questa Dreiprinzipienlehre in cui uguaglianza e proporzione costituiscono la miglior garanzia dell’ordine del mondo non sfocia in una metafisica del numero ideale, privo di proprietà aritmetiche e non operabile, sul modello dell’Accademia antica. Al contrario, dal momento che il numero è la misura del molteplice,27 sono proprio le proprietà aritmetiche dei numeri a determinarne la dignità su ogni piano del reale, dai principi fino al sensibile, con la parziale eccezione dell’unità: rispetto all’Uno-principio primo al disopra delle due serie, che in alcuni scritti risulta persino superiore all’intelletto,28 l’unità aritmetica è qualcosa di affine ma anche ben distinto, ed è a sua volta un principio, capo della prima systoichia.29 Assistiamo, perciò, a una precoce distinzione delle serie numeriche sui diversi piani della realtà:30 non mancano, nel corpus, testi che parlano esplicitamente di numeri ideali,31 ma l’ingresso dei numeri e delle forme geometriche sul palcoscenico della realtà coincide, per questi autori, con la generazione del cosmo sensibile, come chiarisce bene Timeo di Locri:

Poiché ciò che è più antico è migliore di ciò che è più recente, e ciò che è ordinato viene prima di ciò che è privo di ordine, il dio, essendo buono e vedendo che la materia accoglieva l’idea e mutava in ogni modo, ma senz’ordine, decise di condurla all’ordine e d’imporle un ordinamento che, da un mutamento indeterminato, la portasse a uno determinato, perché le divisioni dei corpi divenissero regolari, ed essa non fosse spontaneamente soggetta a cambiamenti.32

27 Archytas De Intell. p. 37, 16-17.

28 Archytas De Princ. p. 20, 12-14; Brotinos De Intell. p. 56, 1-10. Sulla presunta trascendenza del principio in alcuni scritti pseudopitagorici vi sono, in realtà, pareri divergenti: non si tratta ancora, secondo gli interpreti, di una “trascendenza” dell’uno in senso neoplatonico, ma piuttosto di una valutazione assiologica sulla anteriorità e venerabilità dell’uno. Si vedano B. Centrone, “The Theory of Principles in the Pseudopythagorica”, … pp. 90-97;

J. Dillon, The Middle Platonists, … pp. 120-121, 126-129; A. Ulacco, Pseudopythagorica Dorica, … pp. 51-53;

M. Varoli, “La Repubblica dei Pitagorici. Il legame tra la Repubblica di Platone e il sistema gerarchico presente in alcuni pseudopythagorica dorici”, … pp. 112-122.

29 Archytas, p. 47, 26-48, 2 (commento pp. 187 sgg.).

30 Cf. e. g. Theano De Piet. p. 195, 10-17.

31 Archytas Categ. p. 32, 17-20 (il riferimento ai numeri ideali è però presente solo nella tradizione indiretta: si veda Archita, p. 180).

32 Timaios Lokros De Univ. Nat. p. 206, 12-17.

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Nel caos dell’interazione pre-cosmica di forma e materia, Dio impone ordine alla materia in modo che “le divisioni dei corpi divengano regolari”; ora, l’espressione “limiti e divisioni dei corpi” è utilizzata proprio da Aristotele per definire la condizione ontologica degli enti matematici, e in particolare degli elementi della geometria, a ribadire come essi non possano in alcun modo essere collocati tra gli enti.33 Timeo ricorre, significativamente, a un’espressione aristotelica per descrivere la nascita degli enti matematici, inscindibili dal sensibile: ciò è assai coerente non solo con la sua interpretazione, profondamente embodied, del Timeo platonico,34 ma anche con la dottrina degli apocrifi pitagorici, che collocano i principi dei numeri e delle figure in entrambe le systoichiai, e per i quali l’ambito delle matematiche non potrà che essere il prodotto dell’interazione tra i principi sotto la spinta dell’azione divina, vale a dire il mondo sensibile.

Cionondimeno, la razionalità e la perfezione proprie del numero debbono, su un piano più alto, preesistere al mondo così come lo conosciamo: esse devono essere presenti come strumenti e nozioni nella mente del Dio demiurgo.35 La decade torna dunque alla ribalta come grande protagonista nel disegno divino: proprio in virtù delle sue proprietà aritmetiche essa è espressione della perfezione del mondo, è in effetti il mondo stesso, inteso come confine della volontà e razionalità del Dio artefice; gli autori intraprendono un tentativo sistematico di tracciare una mappa del complesso intrigo di proprietà, relazioni e corrispondenze tra i numeri della decade, unica via, ai loro occhi, per la comprensione profonda sia del cosmo intelligibile sia di quello sensibile. La letteratura pseudopitagorica dedicata alla decade o ad alcuni dei numeri che la compongono è, non a caso, piuttosto abbondante e ben attestata: non è possibile liquidare questi testi come scritti di numerologia, un sapere tecnico specialistico che costituisce una nota a margine nella storia degli apocrifi; al contrario, essi sono l’espressione di una filosofia e di una teologia dell’aritmetica che affiancano l’aritmetica e la geometria e occupano un posto d’onore al centro del sistema da essi immaginato. Anche se questa letteratura ci è pervenuta in modo frammentario, s’intuisce il peso che essa deve aver avuto sugli sviluppi del pensiero neopitagorico e neoplatonico successivo; per questo merita un’indagine complessiva, che a mia conoscenza non è mai stata intrapresa. 36 Ho circoscritto la mia indagine ai frammenti

33 Metaph. 1002a 4 sgg.

34 B. Centrone, “La cosmologia di Ps. Timeo di Locri ed il Timeo di Platone”, … pp. 318-320.

35 Hippasos p. 93, 16-19.

36 Rimando almeno alla sintesi che trova in M. L. D’Ooge, Nicomachus of Gerasa, Introduction to Arithmetic, … introd. pp. 32-33.

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certamente provenienti da opera pseudopitagorica, con autore citato, e in particolare ai testi che appartengono al gruppo dei trattati dorici; senza dubbio si potrebbero trovare molte altre testimonianze riconducibili a questa produzione, ma ho preferito limitarmi al materiale di provenienza certa, anche per partire da un’idea più precisa di come questi trattati, che si presentano come piuttosto omogenei e simili tra loro, potessero essere strutturati.

Il nucleo di questi testi è costituito da:

-Archita, Sulla Decade (forse un frammento in dorico pervenuto?)

-Aristeo di Crotone, Sull’Armonia (un ampio frammento dorico di argomento cosmologico e alcune testimonianze)

-Butero di Cizico, Sui Numeri (un frammento in attico, ma una frase identica si trova in dorico in Clinia)

-Clinia di Taranto (due brevi frammenti in dorico, uno è identico a Butero)

-Filolao, Sulla Decade (un importante frammento dorico pervenuto, che è stato a lungo considerato autenticamente filolaico)

-Filolao, Ritmi e misure (un frammento in traduzione latina)

-Megillo (di Sparta?), Sui Numeri (un frammento in dorico sulla pentade)

-Proro di Cirene, Sull’Ebdomade (due testimonianze, probabilmente redatto in dorico)

A questi si devono aggiungere, oltre che gli importanti riferimenti al numero presenti in altri autori apocrifi come Callicratida, Timeo di Locri e il trattato Sulle Categorie di Archita, una serie di scritti su cui siamo meno informati, e la cui pertinenza e appartenenza al corpus dei trattati dorici sono un po’più incerte: tra essi un Perì Physeos di Archita, un trattato sul numero di Ippaso, testi dedicati all’aritmetica di Ocello Lucano, Liside di Taranto, Opsimo di Reggio, uno scritto Sulla Proporzione Aritmetica di Onetore di Taranto e infine l’intrigante opera di Timarida di Paro.

Propongo di seguito una sintesi delle osservazioni relative alle serie numeriche della decade presenti nei trattati dorici. Ho riportato i nomi delle serie piuttosto che dei numeri, conformandomi all’uso generale degli autori; l’unica eccezione è costituita dall’uno, dato che si osserva una certa intercambiabilità dei termini monas ed hen, e persino, contrariamente alla

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tendenza prevalente negli autori successivi, una preferenza per il secondo termine a indicare l’unità aritmetica.37

monade La monade è ciò che genera e delimita (Callicratida, Sulla felicità della casa). È affine all’Uno-Principio supremo, ma da esso distinta (Archita); come l’unità è presente nella molteplicità, così l’anima concepita come unità è presente nel corpo (Archita, Sulla natura). Essa condivide la natura indivisibile e incomposta dell’intelletto, così come il punto geometrico (Archita, Sull’intelletto e la sensazione). Il numero è una composizione di unità (Butero), e l’unità è definibile, aritmeticamente, come “quantità limitante” (Timarida). L’unità è principio delle cose che sono e misura degli intelligibili, è eterna e unica, completamente pura e separata dalle altre realtà; è l’unica realtà auto-dimostrata;

essa ha in sé principio, mezzo e fine, e tutti gli intelligibili partecipano di essa (Butero, Sui numeri; Clinia). Non è chiaro se Liside si riferisca alla monade quando parla di “numero inesprimibile”, ma sembra più certo che Opsimo concepisse la monade che intercorre tra il nove e il dieci come Dio.

diade La diade è il definito e delimitato (Callicratida, Sulla felicità della casa). È associata a Rea, sposa di Crono, in quanto “scorre” (rhei) ed è legata al tempo (chronos) e alla corruzione (Filolao).

triade È la prima ad avere principio, medietà e fine distinti, ed è il primo dispari e il primo numero in senso proprio (Ocello).

tetrade È principio della tridimensionalità (Filolao). Sono quattro le facoltà dell’anima preposte alla conoscenza e i loro oggetti (Archita, Sull’intelletto e la sensazione),

tetrade È principio della tridimensionalità (Filolao). Sono quattro le facoltà dell’anima preposte alla conoscenza e i loro oggetti (Archita, Sull’intelletto e la sensazione),

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