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Pitagorici nell’Accademia?

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA TITOLO TESI (pagine 83-94)

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4. Pitagorici nell’Accademia?

Quale che fosse la posizione degli esponenti del Liceo su Pitagora, tutti loro paiono concordare, seguendo l’autorità di Aristotele, nel fare di Platone un epigono dei Pitagorici;1 la connessione tra pitagorismo e filosofia platonica è ribadita con forza nella tradizione del Peripato, e la natura dell’interesse dell’uno e dell’altra per i mathemata, praticati e indagati sempre in vista di

“altro”, è la chiave di volta di questo paragone. Le importanti osservazioni di Aristotele sulle affinità tra l’indagine pitagorica sui principi e le dottrine platoniche e accademiche, sebbene piuttosto scrupolose nel rimarcare, accanto alle affinità, anche le differenze, probabilmente contribuirono in maniera decisiva a saldare le due tradizioni, anche oltre le intenzioni degli Accademici stessi; la maggior parte degli studi sulle matematiche in Platone e nell’Accademia assume che costoro dovessero, in una qualche misura, vedere nei Pitagorici dei precursori, e considerare se stessi come continuatori.2 Se e in quale misura Platone e i suoi discepoli vedessero se stessi come tali, è una questione decisiva ai fini della nostra indagine:

un’Accademia “pitagorica” potrebbe essere stata il terreno ideale per la nascita dei primi apocrifi pitagorici; per questo motivo sarà utile investigare se davvero Platone e i suoi discepoli si considerassero a qualche titolo Pitagorici, e in particolare se riconoscessero ai Pitagorici un qualche primato nello sviluppo delle matematiche e se si ritenessero eredi di quella conoscenza.

Il rapporto tra il pensiero di Platone e il pitagorismo è una delle questioni più dibattute dalla critica platonica, e le posizioni degli studiosi oscillano tra coloro che ritengono che l’influenza

1 In questa sede non si possono neppure ricordare tutti i passi in cui Aristotele accosta Platone ai Pitagorici, specialmente nell’ambito della dottrina dei principi (cf. e. g. Metaph. 987b 10-988a 8). I suoi discepoli, in ogni modo, sembrano abbandonare le caute distinzioni del loro maestro e identificare semplicemente Platonici e Pitagorici: si vedano e. g. Dicearco, fr. 41 Wehrli, e Teofrasto, Metaph. 11a 27-b 7. La questione del paragone tra i Pitagorici e Platone da parte di Aristotele e dei suoi epigoni, e soprattutto dell’attendibilità storica di questa comparazione e delle sue origini, è molto complessa e non riguarda direttamente la nostra indagine: basterà dire che esiste, da una parte, la tendenza a riconoscerne l’attendibilità, soprattutto da parte di studiosi che ammettono una continuità tra platonismo e pitagorismo, mentre chi ridimensiona l’attendibilità delle fonti platoniche e accademiche sui Pitagorici tende a presentare queste testimonianze come interpretazioni di Aristotele. Si vedano e. g. L. Zhmud, Pythagoras and the Early Pythagoreans, … pp. 437-456; e W. Burkert, Lore and Science in Ancient Pythagoreanism, … pp. 53-83: quest’ultimo ritiene che, mentre Aristotele è nel complesso una fonte affidabile per il pitagorismo, i suoi epigoni abbiano semplicemente seguito il ramo accademico della tradizione su Pitagora, irrimediabilmente distorto.

2 Così e. g. L. Zhmud, Pythagoras and the Early Pythagoreans, … pp. 415-424.

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del pitagorismo su Platone fu decisiva, e che egli riconosceva questo debito,3 e quanti tendono a ridimensionare l’influenza della scuola italica.4

Il solo luogo in cui i Pitagorici siano ricordati collettivamente nel corpus platonico è il passo già citato del libro VII della Repubblica in cui Platone attribuisce loro la definizione di

“discipline sorelle” per la musica e l’astronomia.

SOCRATE: Può darsi, ripresi, che, come gli occhi sono conformati per l’astronomia, così le orecchie lo siano per il moto armonico (enarmonion phoràn)5; e che si tratti di scienze per così dire sorelle, come affermano i Pitagorici e noi, Glaucone, conveniamo.6

È estremamente interessante che, per un caso fortunato (ammesso che si tratti di un caso)7, in quest’unica occasione possiamo conoscere la fonte pitagorica che, con ogni probabilità, Platone aveva in mente: si tratta di Archita, in uno dei suoi rari frammenti autentici:8

Mi sembra che siano giunti a belle conoscenze coloro che si occupano delle matematiche, e non è affatto strano che essi ragionino correttamente sulle cose, quali esse sono, ciascuna singolarmente.

(…) E sulla velocità degli astri e sul loro tramontare e sorgere, ci consegnarono una conoscenza chiara, e così per la geometria, i numeri, e non meno per la musica. Queste discipline, in effetti, sembrano sorelle: hanno, infatti, il proprio oggetto nelle due primissime forme dell’essere, tra loro sorelle.

Se è corretto pensare che Platone avesse in mente Archita, allora è chiaro che egli pone sotto l’anonima etichetta collettiva dei Pitagorici questo personaggio a lui contemporaneo, diversamente da Aristotele e i suoi discepoli. Richiamandosi ai Pitagorici in un passo cruciale per comprendere la sua visione delle matematiche, Platone li riconosce chiaramente come interlocutori privilegiati in questo campo; al tempo stesso l’accenno rende evidente tutta la distanza che egli poneva tra sé e quella tradizione. Archita e Filolao praticavano le matematiche

3 Un contributo che, in tempi recenti, ha portato alle estreme conseguenze questa posizione è il discusso libro di P. S. Horky, Plato and Pythagoreanism, … pp. 125 sgg.

4 Una rassegna molto equilibrata e prudente dei luoghi platonici in cui si ravvisa comunemente un “influsso pitagorico” si trova in J. Palmer, “Plato and the Pythagoreans”, in: C. A. Huffman (ed.), A History of Pythagoreanism, Cambridge, 2014, pp. 204-266.

5 Il termine φορά, tradotto con “moto”, si riferisce in genere ai moti celesti, e in particolare della sfera celeste e dei pianeti: solamente in Platone, cf. e. g. Tim. 39b 2-7.

6 Pl. Rep. 530d 6-10, trad. di F. Sartori.

7 Non sono mancati, infatti, gli studiosi che hanno ritenuto che il frammento B1 di Archita provenisse da uno scritto apocrifo, modellato proprio sulla Repubblica platonica; in particolare, furono sollevati dubbi da Burkert, che ritenne che un falsario avesse ripreso il riferimento di Platone ai Pitagorici per aggiungere credibilità al suo lavoro: Lore and Science in Ancient Pythagoreanism, … p. 379 n. 46. Tuttavia, il linguaggio e lo stile del frammento non somigliano affatto a quelli degli apocrifi; un resoconto del dibattito, con argomenti in favore dell’autenticità, si trova in C. A. Huffman, Archytas of Tarentum, … pp. 112-114.

8 DK 47B 1.

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nella convinzione che fossero la forma di conoscenza più solida e certa accessibile all’uomo;

Platone, al contrario, sottolinea tutta la loro debolezza epistemologica, e per questo motivo tenta di rifondarle, rendendosi conto che i più alti risultati raggiunti da queste discipline sono incerti e inutili se non vengono sottoposti al vaglio della dialettica.9

La vera “pitagorizzazione” dell’Accademia viene in genere attribuita al successore di Platone alla guida della scuola, il nipote Speusippo: si assume comunemente che il Pitagora precursore della metafisica platonica, con una sua chiara visione ontologica fondata sul numero, sia in realtà una creazione di Speusippo.10 Anche le testimonianze antiche associano spesso Speusippo ai Pitagorici, segno che la percezione di un’affinità era forte anche nell’Antichità;

eppure, si deve constatare che abbiamo pochissimi elementi che ci permettano di affermare che Speusippo stesso nella sua opera si ponesse come continuatore del pitagorismo antico, e nessuna testimonianza che dimostri che egli abbia mai menzionato la figura di Pitagora nella sua opera.

Generalmente, quando si parla del legame di Speusippo con il pitagorismo, viene ricordata la testimonianza di Proclo, che in un passo del suo Commentario al Parmenide, pervenutoci peraltro solo nella traduzione latina di Guglielmo di Moerbeke, ricorda come Speusippo fornisse la sua interpretazione della dottrina degli “antichi” riguardo all’uno, rileggendola, in chiave accademica, come una protologia dualistica.11

Ut et Speusippus, narrans tamquam placentia antiquis, audit. Quid dicit? Le unum melius ente putantes et a quo le ens, et ab ea que secundum principium habitudine ipsum liberaverunt.

Existimantes autem quod, si quis le unum ipsum seorsum et solum meditatum sine aliis secundum se ipsum ponat, nullum alterum elementum ipsi apponens, nichil utique fiet aliorum, interminabilem dualitatem entium principium induxerunt. 12

Purtroppo il passo, oltre a garantirci che Speusippo citasse i Pitagorici (certamente sono loro gli “antichi” menzionati) trattando la propria dottrina dei principi, e che desse un’interpretazione platonizzante del loro pensiero, non permette di sapere molto altro:

soprattutto, sfuggono i reali termini dell’operazione di Speusippo, poiché il testo della testimonianza appare pesantemente rimaneggiato e reinterpretato dalla tradizione neoplatonica, che prima di giungere a Proclo dovette passare con ogni probabilità attraverso Nicomaco,

9 Cf. e. g. la ricostruzione del rapporto tra Platone e le matematiche pitagoriche in L. Zhmud, Pythagoras and the Early Pythagoreans, … pp. 415-420.

10 Cf. e. g. J. Barnes, The Presocratic Philosophers, London-New York, Routledge, 1982, p. 79.

11 Cf. J. Dillon, “Pythagoreanism in the Academic Tradition: The Early Academy to Numenius”, … pp. 250-253.

12 Procl. In Parm. pp. 38.32-40.5 Klibansky-Lebowsky = Speusippo, fr. 62 Isnardi Parente = fr. 48 Tarán.

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poiché in esso troviamo un Uno speusippeo interpretato in direzione della trascendenza, superiore all’essere;13 inoltre vi si ritrovano caratteri morali attribuiti all’Uno (che è “migliore dell’essere”), incompatibili con il pensiero di Speusippo,14 così come appare impropria la spiegazione fornita per la derivazione degli enti a partire da Uno e Diade Indefinita (laddove Speusippo avrebbe forse parlato di molteplicità), mentre egli immaginava piuttosto un processo di avanzamento da principi elementari alla perfezione della decade.15 Tuttavia, è molto rilevante e autenticamente speusippeo il carattere in sé e per sé dell’unità, che è il più semplice oggetto accessibile all’intelletto, un nooumenon conoscibile solo in sé, senza riferimento ad alcun’altra realtà. Questo carattere dell’uno avrà una vastissima ricezione nella letteratura pseudo-pitagorica successiva, e se potessimo determinare da quale opera sia tratta questa problematica testimonianza saremmo molto vicini ad avere una risposta sulle fonti degli pseudopythagorica dedicati alla protologia e all’aritmetica.

La traccia dell’interpretazione neopitagorica è evidente anche in un altro testimone che viene invariabilmente addotto a riprova del “pitagorismo” di Speusippo, l’ampio frammento della sua opera Sui Numeri Pitagorici, la più estesa citazione degli ipsa verba di Speusippo che ci sia pervenuta. Esso è tramandato alla fine dei Theologoumena Arithmeticae attribuiti da alcuni a Giamblico, profondamente indebitati con l’omonima opera perduta di Nicomaco di Gerasa, da cui certamente l’autore dei Theologoumena ha tratto la citazione speusippea e anche il preambolo che la precede. La testimonianza del preambolo è esaminata nel dettaglio nel commento:16 qui basterà ricordare che la menzione di “scritti di Filolao” a cui Speusippo si sarebbe ispirato, con ogni probabilità, non risale a Speusippo stesso, ma a Nicomaco, e si riferisce allo scritto pseudo-filolaico Sulla Decade; inoltre, appare incerta la paternità speusippea del titolo Sui Numeri Pitagorici.17 In conclusione, l’eventuale legame tra questo

13 M. Isnardi Parente, Speusippo, Frammenti, … pp. 283-285.

14 Un ampio resoconto delle obiezioni mosse all’attendibilità di questa testimonianza è contenuta in L. Tarán, Speusippus of Athens … pp. 350-356; egli ritiene, peraltro, che in melius non sia implicata l’idea di “migliore”, ma semplicemente una superiorità ontologica.

15 Sembra difficile anche credere che Speusippo parlasse di Diade Indefinita in merito alla filosofia dei Pitagorici nell’intento di essere storicamente accurato; si veda M. Isnardi Parente, Speusippo, Frammenti, … pp. 283-285.

Ella ritiene che il frammento si riferisca a uno di quei “rifacimenti neopitagorici” di Speusippo che identifica, tra gli altri, con gli pseudopythagorica.

16 Filolao, pp. 255 sgg.

17 Per le incertezze nell’attribuzione del titolo a Speusippo, si veda L. Tarán, Speusippus of Athens, … p. 262;

anche se il titolo non fosse di Speusippo, è probabile che egli pensasse alle rappresentazioni figurate dei numeri come a “numeri pitagorici”; ma è importante sottolineare, come fa L. Zhmud, Pythagoras and the Early

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trattatello di Speusippo e la dottrina pitagorica dei numeri non è garantito dall’autore stesso, e dev’essere giudicato sulla base dei contenuti, che meritano un approfondimento.

La citazione di Speusippo è preceduta da un utile sommario dell’opera, che secondo Nicomaco era divisa in due parti:

Dopo aver discorso, dall’inizio fino alla metà del libro, delle loro (sc. dei numeri) figure lineari, a più angoli e di tutte le più varie forme di figure superficiali e solide che esistono nella scienza dei numeri, cioè intorno alle cinque figure che si assegnano rispettivamente agli elementi del cosmo, descrivendo la loro proprietà specifica e la somiglianza che le accomuna reciprocamente, la loro analogia e la loro reciproca connessione, in seguito- nella seconda metà del libro- si occupa direttamente della decade, dimostrando come essa sia il più naturale e il più perfetto di tutti gli esseri, in quanto da essa viene forma razionale a tutti gli eventi che si verificano nel cosmo, in forma oggettiva e non posta a nostra credenza o a puro capriccio, ma, al contrario, quale esemplare perfetto al più alto grado, posto innanzi alla divinità autrice del tutto.18

La prima parte del libro, di cui possiamo farci un’idea solo da questo sommario, sembra presentarsi come una summa della teoria dei numeri piani e solidi, con un’attenzione alle applicazioni fisiche e ai solidi regolari. Sebbene sia stato probabilmente nella scuola di Platone che questa teoria trovò una prima elaborazione organica,19 le sue radici sono senz’altro da ricercarsi nell’aritmo-geometria dei Pitagorici antichi, che già si dedicavano alla rappresentazione spaziale dei numeri mediante sassolini (ψῆφοι) per descriverne e individuarne le proprietà.20 Ciò costituisce un indizio, ma non una prova: forse (nulla ce lo assicura) Speusippo riconosceva questa connessione tra la teoria dei numeri che egli conosceva e le pratiche degli “antichi”, ma ci sono fondati motivi per dubitare che la illustrasse come dottrina pitagorica. Anche la relativa abbondanza di notizie dossografiche che attribuiscono a questo o a quel Pitagorico la scoperta dei cinque solidi regolari21 suggerisce una continuità tra la

Pythagoreans, … p. 425, che sono i numeri, o meglio le loro rappresentazioni, a essere “pitagorici”, e non le dottrine del trattato.

18 Fr. 122 Isnardi Parente = fr. 28, 5-14 Tarán = Ps.-Iambl. Theol. Arithm. pp. 82-83 De F. Traduzione di M. Isnardi Parente, con modifiche.

19 Nei dialoghi questa dottrina è ampiamente attestata e applicata nei più diversi campi: si pensi, ad esempio, ai solidi regolari del Timeo, ma anche al celebre passo in Theaet. 147d-148b, in cui Teeteto e Socrate il giovane la impiegano nell’ambito un metodo per ridurre l’incommensurabilità a confronti tra aree.

20 Il prodotto più maturo di quest’aritmetica fu senz’altro il celebre metodo degli gnomoni, che consentiva di confrontare proporzionalmente le grandezze ed era legato ai problemi di quadratura delle figure piane. Esso è richiamato in molti pseudopythagorica a significare la perfezione del numero, capace di ridurre all’unità cose apparentemente irriducibili come i principi primi (cf. pp. 110 sgg.); in generale, si veda D. H. Fowler, The mathematics of Plato's Academy, … pp. 74-83.

21 Alcune di esse, peraltro, si riferiscono a letteratura apocrifa: per una rassegna rimando a Occelo, pp. 289 sg.

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geometria dell’Accademia e l’indagine di Ippaso, Filolao e Archita, però Speusippo potrebbe semplicemente aver fatto riferimento al Timeo.

La seconda parte dello scritto costituisce forse il più antico testo dedicato alle proprietà della decade che possediamo, se si ammette che un certo frammento di Filolao sulla potenza della decade, come credo, sia una falsificazione, e precisamente l’apocrifo a cui si riferisce Nicomaco introducendo il frammento di Speusippo;22 se si elimina questa connessione, le somiglianze tra le considerazioni di Speusippo sulla decade e la tetraktys dei Pitagorici, pur essendo presenti, non sono così stringenti come potrebbe sembrare: sappiamo che gli antichi Pitagorici attribuivano alla decade uno speciale significato, in quanto progressione dei primi quattro numeri naturali che esprimeva in sé i rapporti fondamentali della musica. Poteva essere interpretato in tal senso il noto simbolo che recita: “Che cos’è l’Oracolo di Delfi? La Tetraktys;

che è l’armonia, nella quale le Sirene”23; si aggiunga che grazie ad Aristotele sappiamo che la decade era “perfetta” per loro in quanto aveva anche un valore cosmologico e astronomico, e costituiva (doveva costituire) il numero dei corpi celesti,24 e dieci erano le opposizioni fondamentali degli “altri Pitagorici” ricordati sempre da Aristotele.25

Ben più di questo, però, si trova nel frammento di Speusippo. Egli non sottolinea tanto, in un’ottica autenticamente pitagorica, la somiglianza tra il numero dieci, il cosmo e gli intervalli musicali, ma intende dimostrare la perfezione e la preminenza ontologica e logica della decade, radicata nelle sue proprietà aritmetiche e geometriche speciali:26 a) l’essere composta di un numero identico di pari e di dispari (il che peraltro suggerisce che per Speusippo l’unità sia un numero dispari); b) il contenere in sé un numero identico di numeri primi e di numeri composti,

22 Per una rassegna degli argomenti contro l’autenticità di questo testo, cf. Filolao, pp. 251 sgg.

23 La storia di questo particolare simbolo è molto complessa ed è stata assai studiata, giungendo a una notevole varietà di conclusioni: dato che esso è attestato solo in Giamblico, ha forse qualche ragione L. Zhmud, Pythagoras and the Early Pythagoreans, … p. 303, che suggerisce che l’akousma sia postplatonico, ritenendo che il noto passo della Repubblica platonica in cui è menzionata l’armonia delle Sirene (Pl. Rep. 617a-d) abbia ispirato la sua creazione, e non il contrario; credo però che abbia ragione I.-F. Viltanioti, L’harmonie des Sirènes du pythagorisme ancien à Platon, Studia praesocratica 7, De Gruyter, Berlin-Boston, 2015, pp. 57-84, quando cerca d’inquadrare questo simbolo, a cui dedica un approfondito studio, nel contesto dell’esegesi allegorica di Omero che i Pitagorici antichi praticavano sin dal VI sec. a. C.; sulle interpretazioni ellenistiche dei simboli si veda pp. 97 sgg.

24 Arist. Metaph. 986a 8-12.

25 Ibid. 986a 22-26; vedi pp. 63 sg.

26 Cf. le osservazioni di L. Zhmud, “Pythagorean Number Doctrine in the Academy”, in: G. Cornelli, R.

McKirahan, C. Macris (eds.), On Pythagoreanism, De Gruyter, Berlin, 2013, pp. 328-329; From Number Symbolism to Arithmology”, in L. Schimmelpfennig (ed.), Zahlen- und Buchstabensysteme im Dienste religiöser Bildung, Tübingen, Seraphim, 2019, pp. 33-34. Forse in questo senso Speusippo è più vicino ai “Pitagorici” della tavola degli opposti aristotelica, che sembrano individuare nella Decade una sorta di struttura protologica ed epistemica.

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ed essere il più piccolo numero con questa proprietà; c) il contenere i primi multipli di tutti e cinque i primi numeri naturali; d) il contenere in sé i rapporti epimori fondamentali, e soprattutto e) la progressione alla base della rappresentazione geometrica dei numeri (1=punto, 2=linea, 3=triangolo, 4=piramide). Da questa progressione si trova che f) la decade è presente nel tetraedro o piramide, elemento più semplice della geometria solida, in quanto somma del quattro (numero delle facce e degli spigoli) e del sei (numero dei lati); g) lo stesso vale nell’ambito della geometria piana, per cui la somma del punto geometrico, dei limiti nella linea e del segmento compreso tra essi fa quattro, a cui si aggiunge il sei, somma dei lati e degli angoli del triangolo. L’ultimo argomento è il più articolato (h) e si fonda “sull’indagine riguardante le figure, considerate secondo il numero”: le tre specie di triangoli vengono associate a un numero (triangolo equilatero=1; triangolo rettangolo isoscele o

“semiquadrato”=2; triangolo rettangolo isoscele pari alla metà di un triangolo equilatero, o

“semitriangolo”=3); essi generano, in diverse combinazioni, quattro tipologie di piramide, associate rispettivamente all’1, al 2, al 3, al 4: così si arriva ancora a completare la decade.

Di tutti gli argomenti del frammento, mi sembra che solamente per (a) e (d) si possano proporre paralleli stringenti con il pitagorismo antico;27 Speusippo si ispira sicuramente al pitagorismo, ma molti dei suoi argomenti divergono da quelli pitagorici, e si spingono ben oltre nel riconoscere nella decade il numero perfetto e comprensivo di tutti gli altri, espressione della natura del numero stesso, approdando a una concezione della decade più simile a quella che Aristotele attribuisce talvolta a Platone;28 e anche le sue considerazioni sull’intreccio tra la sequenza tetradica e gli elementi della geometria (punto-linea-superficie-solido) sembrano avere assai poco di pitagorico, ed essere piuttosto legate alla concezione speusippea della genesi delle grandezze dai numeri.29 Cosa più importante, Speusippo non compie, nella porzione di

27 Certamente d’ispirazione filolaica è la preoccupazione che vi sia un equilibrio tra pari e dispari, ed è indicativo che Speusippo usi il verbo συμπεραίνω, sia pure in relazione al pari, laddove il ruolo limitante, nel pensiero di Filolao, sarebbe spettato al dispari (DK 44B 5). Quanto ai rapporti fondamentali, si sono ampiamente citate le attribuzioni della scoperta ai Pitagorici antichi: mi limito ad aggiungere DK 18A 13, dedicato alla loro scoperta per via sperimentale da parte di Ippaso; d’altra parte, Speusippo non insiste affatto su quest’aspetto e non accenna minimamente alle implicazioni nel campo dell’armonica.

28 Si veda e. g. Arist. Phys. 206b 27–33. Naturalmente Speusippo, che negava le Idee, non pensava la decade in termini di una serie di numeri ideali, differentemente da Platone; ma non è detto che per questo “giocasse” i

28 Si veda e. g. Arist. Phys. 206b 27–33. Naturalmente Speusippo, che negava le Idee, non pensava la decade in termini di una serie di numeri ideali, differentemente da Platone; ma non è detto che per questo “giocasse” i

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