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Pitagora padre delle matematiche? La disputa ellenistica

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA TITOLO TESI (pagine 51-62)

Occorre domandarsi perché mai la prima età ellenistica conobbe un fiorire di aneddoti come quelli che abbiamo esaminato, e di scritti che ne accertassero la veridicità. Chi ebbe interesse a porre, all’inizio della storia delle matematiche in Occidente, un parricidio perpetrato mediante il furto e il sacrilegio? E contro quali “calunniatori” costoro difendevano Pitagora? È noto che il reale contributo del pitagorismo alle matematiche dei Greci, a fronte di questa imponente operazione di appropriazione, è stato oggetto di dibattito tra gli studiosi contemporanei; ma anche nell’Antichità, e specialmente nei secoli del primo ellenismo, il problema era discusso. Non solo l’attribuzione a Pitagora e ai suoi discepoli di ogni conquista in campo matematico non era scontata e automatica come spesso si tende a credere, ma il moltiplicarsi di queste storie di furto è la miglior prova che questo modo di vedere non era neppure maggioritario nei primi secoli dell’Ellenismo, o che perlomeno incontrava una fiera resistenza in una parte del mondo intellettuale.

Il punto centrale della disputa ellenistica su Pitagora e i Pitagorici non doveva essere tanto il contributo di alcuni Pitagorici all’avanzamento delle matematiche, o quantomeno al riconoscimento della loro importanza sul piano filosofico, contributo che veniva già ammesso sia da Platone che da Aristotele.1 Si trattava piuttosto di comprendere la figura storica di Pitagora e il suo effettivo ruolo nello sviluppo dei mathemata presso i Greci; la tradizione ellenistica sembra attribuire a Pitagora importanti conquiste in due campi, la geometria e l’astronomia, mentre il suo nome è raramente collegato, nei testimoni più antichi, con l’aritmetica. Le fonti peripatetiche e accademiche su Pitagora e il suo rapporto con i mathemata verranno prese in considerazione nei prossimi paragrafi; le altre testimonianze di età classica ed ellenistica che ritraggono Pitagora come un esperto di geometria o astronomia sono assai poche e controverse. Un accenno a Pitagora come colui che importò dall’Egitto la geometria e l’aritmetica si trova nel resoconto sull’Egitto di

1 Vedi oltre, pp. 56 sgg. per le fonti peripatetiche, 77 sgg. per gli Accademici.

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Diodoro Siculo,2 che si pensa risalga allo storico del IV sec. a. C. Ecateo di Abdera, autore di Aigyptiakà:3

Pitagora apprese presso gli Egizi le cose contenute nel Discorso Sacro, i teoremi della geometria e la scienza dei numeri, e inoltre la trasformazione che l’anima compie attraverso ogni essere vivente.

Tuttavia la testimonianza in questione consiste di una complessa stratificazione di diverse fonti, come osservato da Jacoby,4 e mi sembra molto difficile ricondurre la notizia su Pitagora a Ecateo: in effetti pare che questa affermazione non sia altro che un’interpretazione tarda delle allusioni a Pitagora nel libro dedicato all’Egitto di Erodoto.5 La facile deduzione dell’autore è questa: se Pitagora ha importato alcune credenze dall’Egitto, da laggiù deve aver importato anche la geometria, arte in cui gli Egizi eccellevano, secondo i Greci. Anche il riferimento a un apocrifo, presumibilmente il Discorso Sacro in versi redatto in dialetto ionico, è un indizio che suggerisce un’interpolazione successiva.6 Più certe appaiono la paternità e l’antichità di una notizia, riportata probabilmente in un contesto simile alle digressioni etnografiche di Erodoto ed Ecateo, dello storico di Alessandro Anticlide di Atene, vissuto tra IV e III sec. a. C.:

Egli (sc. Pitagora), inoltre, portò alla perfezione la geometria, dopo che Meride per primo ne ebbe scoperto i principi e gli elementi, come dice Anticlide nel secondo dei suoi libri Su Alessandro.7

2 Diod. I 98, 2.

3 FGrHist. 264 F25.

4 F. Jacoby, Die Fragmente der Griechische Historiker, vol. III a,Leiden, Brill, 1964, pp. 75-87.

5 In due passi Erodoto sembra alludere a Pitagora, senza mai nominarlo esplicitamente: in Hist. II 81 egli afferma che certe pratiche rituali “orfiche e bacchiche” sono in realtà riconducibili ai Pitagorici, e prima di loro agli Egizi. In Hist. II 123 si accenna ad “alcuni tra i Greci” che avrebbero importato la dottrina della metempsicosi dall’Egitto, per poi servirsene come di una propria intuizione; pur conoscendo costoro, Erodoto preferisce non nominarli.

6 Per quanto anche quest’apocrifo sia senz’altro piuttosto antico, e abbia circolato in diverse versioni, non credo sia accettabile l’idea di Thesleff, che vorrebbe vedere un riferimento a questo testo in Erodoto, Hist.

II 81: lo storico afferma, dopo le sue osservazioni sull’origine egiziana di alcune prescrizioni pitagoriche, note ai suoi tempi come orfiche (vedi nota precedente), che “su queste cose viene detto un racconto sacro”.

Non credo che Erodoto si riferisca a un apocrifo, innanzitutto perché parla di un logos che viene detto, raccontato (legetai), nella forma chiaramente anonima del mito: il carattere sacro del racconto su cui Erodoto insiste non è altro che un’espressione di riserbo sul contenuto misterico del racconto, secondo un motivo che peraltro ritorna più volte nel corso del libro II (cf. e. g. II 3). Si veda H. Thesleff, The Pythagorean Texts of the Hellenistic Period, … p. 158, 7-14 e nota ad loc.

7 DL VIII 11 = FGrHist. 140 F1.

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Anche in questo caso si ritrova l’idea dell’origine egizia della geometria, scoperta appunto da un faraone, Meride.8 Pitagora apporta un suo personale contributo, un

“perfezionamento”, ma soprattutto sembra che il suo merito consista nell’aver importato la disciplina in Grecia dall’Egitto. Le testimonianze di questi due storici, probabilmente influenzate entrambe da Erodoto, presentano Pitagora più come veicolo che come scopritore di una conoscenza di tipo matematico.

Gli eruditi dell’età ellenistica misero in discussione la costruzione ideologica con cui la società pitagorica si presentava granitica, unita intorno al proprio Maestro la cui sapienza era la fonte di ogni conquista e progresso in campo “scientifico”, e parte di questa discussione poggiava proprio su una critica della tradizione apocrifa. La più importante testimonianza di questo dibattito, che verteva su un corpus di scritti di Pitagora esistenti già tra il III e il II sec. a. C. al più tardi, si trova in un passo già ricordato di Diogene Laerzio che, secondo la sua consuetudine, all’inizio della sezione della sua opera dedicata a Pitagora fornisce un sintetico resoconto degli scritti attribuitigli; il passo contiene molti elementi d’interesse, e merita di essere citato nella sua interezza:

Alcuni affermano che Pitagora non abbia lasciato neppure uno scritto, sbagliando.9 Infatti, il fisico Eraclito quasi grida dicendo: “Pitagora figlio di Mnesarco ha praticato l’indagine più di ogni altro uomo, e avendo operato una selezione di questi scritti si creò un proprio sapere, nozionismo, arte ingannevole”.10 Egli si esprimeva in questi termini per questa ragione, e cioè che Pitagora all’inizio dello Scritto sulla Fisica dice così: “No, per l’aria che respiro, no, per l’acqua che bevo, mai sopporterò che s’ingiuri questo discorso!”. In realtà, da Pitagora sono stati scritti tre libri, uno Scritto sull’Educazione, uno Sulla Politica, e uno Sulla Fisica. Lo scritto attribuito a Pitagora, invece, è del pitagorico Liside di Taranto, che fuggì a Tebe e divenne maestro di Epaminonda. Inoltre, Eraclide di Sarapione dice, nell’epitome di Sozione, che egli avrebbe scritto anche un poema Sull’Universo in metro epico, e per secondo un Discorso Sacro, che inizia con:

“O giovani, venerate nella quiete tutti questi precetti.”

Per terzo ricorda uno scritto Sull’Anima, per quarto uno Sulla Devozione, per quinto l’Helothales, che è il padre di Epicarmo di Coo, per sesto Crotone e altri. Quanto al Discorso Segreto, dice che è di Ippaso, scritto per calunniare Pitagora, e molte altre opere scritte da

8 Un monarca egizio con questo nome non è mai esistito, ma è possibile che Anticlide intendesse riferirsi alla figura storica di Narmer, celebre unificatore dell’Alto e Basso Egitto; il nome Moeris è preso dal grande bacino artificiale della regione del Fayyum, la cui bellezza era elogiata già da Erodoto (II, 149-150), forse nell’errata convinzione che il nome del lago fosse dovuto al sovrano che l’aveva fatto scavare.

9 Leggo διαπεσόντες con Dorandi (congettura di Reiske). Per le altre lezioni si veda T. Dorandi (ed.), Diogenes Laertius, Lives of Eminent Philosophers, … p. 603, apparato ad loc.

10 DK 22B 129.

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Astone di Crotone sarebbero state poi attribuite a Pitagora. (…) Dicono siano suoi anche gli Imbroglioni,11 il cui inizio è: “Non divulgare12 con nessuno!”.13

Diogene delinea ben tre posizioni differenti sull’autenticità delle opere di Pitagora: una prima scuola di pensiero, i cui esponenti non sono citati qui, anche se Centrone14 ritiene di riconoscere uno di essi, sulla base di altri due luoghi di Diogene Laerzio, nell’erudito Sosicrate di Rodi, autore di un’opera dedicata alle diverse scuole filosofiche vissuto nel II sec. a. C., sosteneva una linea dura che proponeva di atetizzare tutte le opere attribuite a Pitagora. Una seconda posizione proponeva di considerare autentico almeno il Tripartitum; anche se in questo caso non è possibile precisare la fonte di Diogene Laerzio,15 sembra che a costoro sia da ricondurre l’argomento da lui riportato in favore dell’autenticità del Tripartitum, il cui incipit arrogante avrebbe scatenato la provocatoria risposta di Eraclito, così come la notizia secondo cui un altro scritto, forse alcuni hypomnemata, sarebbe stato in realtà opera di Liside, che sembra trarre origine da una lettura critica della Lettera a Ipparco.16

Una corrente più disposta ad accettare l’autenticità di un corpus di opere di Pitagora è ricordata nell’ultima parte della testimonianza; si tratta, tuttavia, di una corrente pur sempre critica e consapevole dei problemi di autenticità legati al corpus, che atetizzava, oltre al Discorso Segreto, scritto da Ippaso, una serie di scritti che sarebbero stati in realtà opera di un certo Astone di Crotone. Questa corrente è rappresentata dal peripatetico Sozione, conosciuto da Diogene mediante l’epitome della sua opera redatta da Eraclide Lembo: a costui è attribuito un vero e proprio catalogo delle opere di Pitagora conosciute alla fine del III sec. a. C., catalogo che secondo Thesleff17 potrebbe rispecchiare quello della biblioteca di Alessandria, il cui fulcro, com’è noto, era costituito dalla monumentale

11 Il titolo “Kopides” (Gli Imbroglioni), corrotto nel testo di Diogene Laerzio, è stato ricostruito da Diels:

si trattava probabilmente di una risposta di “Pitagora” alle accuse di Eraclito, che nel fr. DK 22B 81 lo definiva appunto “kopidon archegos”, capostipite degli imbroglioni, in relazione alla sua abilità oratoria.

12 ἀναδίδευ è congettura di Diels per ἀνααιδεῦ, “non vergognarti”, dei mss.

13 DL VIII 6-8.

14 B. Centrone, “L’VIII libro delle ‘Vite’ di Diogene Laerzio”, … pp. 4188-4191; in particolare, Centrone cita DL I 16, in cui si osserva che Pitagora e Aristone di Chio, secondo alcuni, non avrebbero lasciato scritti, a eccezione di poche lettere; mentre nel caso di Pitagora non viene detto chi siano costoro, nel caso di Aristone sono menzionati Panezio e Sosicrate (DL VII 163).

15 B. Centrone, “L’VIII libro delle ‘Vite’ di Diogene Laerzio”, … p. 4187 n. 20.

16 Vedi pp. 30 sgg.

17 H. Thesleff, An Introduction to the Pythagorean Writings of the Hellenistic Period, … p. 108.

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opera di catalogazione di Callimaco, i celebri Pinakes. Sappiamo che i filologi alessandrini avevano una notevole conoscenza dei problemi legati alla pseudepigrafia, e un’intrigante notizia di Galeno suggerisce che fu proprio la rivalità tra le biblioteche di Alessandria e Pergamo a mettere in moto, in una sorta di corsa a procurarsi testi rari e di pregio, nobilitati da nomi illustri, la produzione di scritti apocrifi.18 La supposizione di Thesleff è confortata, oltre che dalla forma in cui sono presentati i titoli, numerati e accompagnati in due casi dall’incipit dell’opera, dal fatto che sappiamo di almeno un caso in cui Callimaco, presumibilmente nei suoi Pinakes, si era occupato dell’autenticità di un’opera di Pitagora,19 e in particolare di un poema astronomico che coincide, con ogni probabilità, con la prima delle opere menzionate nel catalogo di Diogene.20 Callimaco, secondo la testimonianza, si era pronunciato in favore dell’atetesi del poema; sebbene non sia possibile sapere con certezza con quali argomenti egli sostenesse l’atetesi, la consapevolezza che una parte della tradizione su Pitagora fosse inaffidabile condizionò certamente il suo modo di vedere la scuola pitagorica e le sue presunte conquiste intellettuali, specialmente in campo matematico e “scientifico”. Il giudizio di Callimaco su Pitagora è contenuto in un frammento dei Giambi, che era in parte conosciuto per tradizione indiretta anche prima del rinvenimento di un importante testimone papiraceo nei primi del ‘900.21 A citare Callimaco è l’anonimo autore di un’opera dedicata alla vita e alla dottrina di Pitagora, che conosciamo solamente attraverso il riassunto contenuto nella Biblioteca Storica di Diodoro:

Callimaco ha affermato, riguardo a Pitagora, che egli scoprì da solo alcuni problemi di geometria, mentre altri li portò per primo presso i Greci dall’Egitto, nei versi in cui dice:

(li) scoprì il frigio Euforbo,22 che agli uomini Insegnò i triangoli scaleni e il cerchio

18 Gal. Comm. In Hippocr. De Nat. Hom. I 44.

19 Pythagoras, de Univ. p. 172, 19-22 = DL IX 23 = Callimaco, Pinakes, fr. 442 Pfeiffer. Sull’importanza dei Pinakes e dell’opera filologica callimachea rimando al classico studio di R. Pfeiffer, History of Classical Scholarship: from the Beginnings to the End of the Hellenistic Age, Clarendon Press, Oxford, 1968, pp.

126-134.

20 Per questo problema rimando a Pitagora, pp. 320 sg.

21 Si veda R. Pfeiffer, Callimachi Fragmenta nuper reperta, A. Marcus und E. Weber Verlag, Bonn, 1921, p. 29.

22 È noto l’aneddoto secondo cui Pitagora sosteneva, di essere stato in una vita precedente l’eroe omerico Euforbo. Cf. B. Centrone, Introduzione a i Pitagorici, … pp. 58-59.

54 Celeste dai sette intervalli,23 <e> ad astenersi Dagli esseri animati; ma non tutti

Gli obbedirono.24

Se non possedessimo il testo dei Giambi, potremmo pensare che Callimaco riconoscesse a Pitagora il primato nella geometria e nell’astronomia; la sua testimonianza è comunque una delle più antiche attestazioni certe dell’attribuzione a Pitagora in persona di un contributo “scientifico”. Eppure, è sufficiente un’occhiata al papiro dei Giambi25 per comprendere il vero significato delle parole di Callimaco, la cui ironia l’Anonimo non poteva, o non voleva cogliere:

La vittoria era di

Talete; costui, capace in ogni forma di conoscenza, Dicono, prese come riferimento le piccole

Stelle del Carro,26 con cui navigano i Fenici. (…) Tracciava segni per terra, disegnava la figura Che scoprì il frigio Euforbo, che tra gli uomini Primo tracciò i triangoli scaleni e il cerchio

Celeste dai sette intervalli,<e> insegnò ad astenersi Dagli esseri animati; ma gli obbedirono

non tutti, ma quanti un demone avverso possedeva.

23 Il testo è piuttosto tormentato: la versione di Diodoro Siculo (un estratto da una sezione della Biblioteca Storica tramandata solo in excerpta) riporta κύκλον ἑπταμήκη δίδαξε, corretto da Vogel in κύκλων ἑπτὰ μήκη … δίδαξε; tuttavia questa correzione, così come la lezione del manoscritto, presuppongono una lacuna, una caduta di un connettivo. Il testo di Callimaco in questione è stato rinvenuto agli inizi del ‘900 con la scoperta del celebre papiro dei Giambi. Purtroppo la parte su Pitagora è ricca di lacune materiali, e Pfeiffer utilizza il testo di Diodoro per integrare: κύκλον ἑπ[ταμήκε’, ἠδὲ νηστεύειν]. Tuttavia, la lettura di Π prima della lacuna è molto incerta, e Diels, vedendovi una Λ, propose di integrare ἕλ[ικα κἠδίδαξε νηστεύειν]. Mi pare inaccettabile la scelta testuale di Thesleff che, evidentemente basandosi sulla sua convinzione dell’antichità di questi testi, si sente autorizzato a rimuovere la lezione tradita sostituendola semplicemente con la congettura di Diels sul papiro di Callimaco, anche se nulla, ammesso che questa sia corretta, autorizza a pensare che quel testo sia mai stato presente nell’Anonimo. Per gli altri problemi testuali del frammento e le proposte di correzione, che sono davvero molte, si veda anche M. L. West,

“Callimachus on the Pythagoreans”, The Classical Review XXI 3, 1971, pp. 330-331; e W. Burkert, Lore and Science in Ancient Pythagoreanism, … p. 420 n. 106. Le implicazioni di significato non sono affatto secondarie: se è corretta la congettura di Vogel, possiamo dedurre che già Callimaco conosceva una dottrina dell’armonia delle sfere sviluppata come un vero sistema astronomico, volto a rilevare le distanze relative dei pianeti, e che questa dottrina era già assegnata a “Pitagora”, magari sulla base di qualche apocrifo. Se invece aveva ragione Diels, e si parla di una spirale, allora il riferimento astronomico è ugualmente presente, ma in relazione all’inclinazione dell’eclittica, scoperta la cui paternità pitagorica era contestata (vedi sopra, p. 44).

24 Anon. Diod. p. 231, 26-33 Thesleff.

25 P. Oxy. VII 1011, Fol. III v., pp. 43-45 Pfeiffer.

26 Cf. DL I 23.

2. Pitagora padre delle matematiche?

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È facile vedere l’ironia di Callimaco nel testo originale: l’accenno alle prescrizioni alimentari dei Pitagorici attinge al vasto repertorio di luoghi comuni e scherzi sui Pitagorici testimoniati nella Commedia di Mezzo,27 e i seguaci di Pitagora-almeno quelli fedeli- sono derisi come dei derelitti, “posseduti da un demone avverso”, cioè infelici e sfortunati. Quest’accenno alla “disobbedienza” di alcuni discepoli suggerisce che Callimaco conoscesse una storia dell’associazione fatta di tradimenti e profanazioni, come quella narrata dagli apocrifi che abbiamo esaminato. Il punto davvero interessante, tuttavia, è che alla derisione per i Pitagorici da commedia si aggiunge la sottile ironia di Callimaco sulla tradizione che vorrebbe Pitagora padre della geometria e dell’astronomia:

nella competizione tra i Sette Sapienti che costituisce la trama del primo giambo di Callimaco, la palma della vittoria va piuttosto a Talete (ammesso che anch’egli non si sia appropriato di scoperte già fatte dai Fenici o da altri barbari, come nel caso della scoperta della Stella Polare). Com’è possibile che Talete fosse già noto nel campo della geometria e dell’astronomia prima ancora che Pitagora nascesse, se i mathemata fossero una sua conquista? Qui l’ironia di Callimaco si fa sferzante e sagace: in una sola frase, egli mette in luce le contraddizioni cronologiche, suggerendo che solo in un’altra vita, quella dell’eroe Euforbo, grazie alla metempsicosi Pitagora avrebbe potuto scoprire i principi delle matematiche prima di Talete. Considerato il carattere programmatico e metaletterario dei Giambi di Callimaco, e in particolare del primo componimento, che costituisce una sorta di agone tra i Sette sapienti, appare chiaro che il poeta ha come bersaglio ironico non tanto i primi saggi del mondo greco, quanto gli eruditi che vivono e lavorano nel contesto della Biblioteca, e in questo caso coloro che tendono a esagerare la preminenza della figura di Pitagora nel campo delle matematiche, rivendicando alla sua autorità scoperte precedenti o successive; costoro possono essere smentiti da un’attenta indagine filologica. Callimaco si trova davanti una tradizione pitagorica già avviata a diventare fortemente unitaria e coesa intorno alla figura di Pitagora, grazie a una ricca tradizione aneddotica come quella del furto della dottrina segreta del Maestro che, come si è detto, prende forma nelle sue molteplici varianti proprio tra il IV e il III sec. a.

C., sostenuta da una produzione di apocrifi già piuttosto ricca, sebbene priva di un chiaro

27 Si veda in proposito B. Centrone, Introduzione a i Pitagorici, … pp. 141-144.

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programma filosofico. La disobbedienza dei discepoli ricordata da Callimaco potrebbe non limitarsi alle prescrizioni alimentari: essa è identificabile con quella narrazione della trasgressione che negli aneddoti e negli apocrifi viene utilizzata sia per coprire e giustificare le fratture interne al movimento pitagorico, sia per spiegare la sua sopravvivenza e continuità. Il dibattito ellenistico sull’immagine di Pitagora e della sua scuola non è una semplice disputa erudita, fatta di resoconti d’interesse antiquario, come talvolta è stato detto, ma costituisce un passaggio decisivo del processo di formazione e ripensamento dell’identità pitagorica.

Il primato accordato ironicamente da Callimaco a Pitagora riguarda specialmente il campo astronomico: vale la pena di ricordare, a questo proposito, un’altra testimonianza, all’incirca coeva a Callimaco, quella del poeta

elegiaco Ermesianatte di Colofone.28 Delle sue Elegie a Leonzio ci è rimasto un ampio frammento che ricorda le vicende amorose di alcuni filosofi, inermi come tutti gli altri uomini dinnanzi alla potenza di Eros: il primo dei saggi ricordati è proprio Pitagora, e il ritratto di Ermesianatte, non privo di una sottile ironia, pare tuttavia più benevolo di quello callimacheo nei confronti di Pitagora:

Tale fu la follia che per Teano avvinse il Samio Pitagora, che scoprì le sottigliezze delle spirali Della geometria, e il cerchio che avvolge l’etere tutto modellò in una piccola sfera.29

L’immagine di Pitagora che si ricava da questi distici è quella di un’autorità in materia di

L’immagine di Pitagora che si ricava da questi distici è quella di un’autorità in materia di

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA TITOLO TESI (pagine 51-62)