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Gli pseudopythagorica: la questione dell’autenticità nell’Antichità

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA TITOLO TESI (pagine 12-20)

La difficolta maggiore che si trova ad affrontare chiunque intraprenda uno studio sul pitagorismo risiede, contrariamente a quanto accade per tutte le altre più antiche scuole e correnti del pensiero greco, nella grande sovrabbondanza delle fonti, fonti che però sono per la maggior parte tarde e specchio di una tradizione ormai irrimediabilmente distorta. Si potrebbe affermare- parafrasando quanto scritto da Zeller12- che, quanto più ci si allontana nel tempo

11 Particolarmente importante rimane la monografia sul pitagorismo: L. Zhmud, Pythagoras and the early Pythagoreans, …. Più specificamente legati agli apocrifi e alle matematiche sono i contributi L. Zhmud, “From Number Symbolism to Arithmology”, in: L. Schimmelpfenning (ed.), Zahlen- un Buchstabensysteme im Dienste religiöser Bildung, Seraphim, Tübingen, 2019, pp. 25-45; e L. Zhmud, “Greek Arithmology: Pythagoras or Plato?”, in: A.B. Renger, A. Stavru (eds.), Pythagorean Knowledge from the Ancient to the Modern World:

Askesis, Religion, Science, Harrassowitz Verlag, Wiesbaden, 2016, pp. 311-336.

12 E. Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei greci nel suo sviluppo storico, (Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung, G. R. Reisland, Leipzig, 1923), parte III, vol. IV, I Precursori del Neoplatonismo, edizione italiana a cura di R. Del Re, La Nuova Italia, Firenze, 1979, p. 299. Cf. B. Centrone, Introduzione a i Pitagorici, Laterza, Bari, 1996, pp. 3-4.

La questione dell’autenticità nell’Antichità

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dall’estinzione della scuola pitagorica, tanto più aumenta la mole di testimonianze e informazioni su Pitagora e i suoi seguaci: la natura stessa del movimento pitagorico, che si mostrò capace di sopravvivere ben oltre la distruzione dell’antica scuola, attraversando i secoli, si è rivelata mutevole, sfaccettata e quasi inafferrabile anche per gli studiosi contemporanei.

All’abbondanza copiosa di testimonianze e resoconti sulla vita del Maestro e sulla sua scuola di cui disponiamo nei secoli dell’Impero e della tarda Antichità si contrappone, d’altra parte, uno scarso numero di testimonianze di età arcaica e classica;13 persino un pensatore come Platone, che oggi è ritenuto profondamente legato al pensiero della scuola italica, fa esplicitamente riferimento ai Pitagorici solamente una volta in tutta la sua opera (Rep. VII, 530d6-10). La situazione è ancor più disperata se si guarda ai testi: tutta la letteratura superstite della scuola di Pitagora, che non scrisse mai nulla, come sostenevano molti già nell’Antichità,14 si riduce a una sparuta manciata di frammenti, i più sostanziosi dei quali appartengono alle opere di Archita e Filolao, considerati tra gli ultimi esponenti della scuola antica. Ciò non stupisce se si considera il divieto, imposto secondo la tradizione ai discepoli di Pitagora, di mettere per iscritto le dottrine della scuola: divieto violato occasionalmente, secondo una versione tarda di un noto aneddoto, da Ippaso, e decaduto definitivamente solo con la figura di Filolao. Anche in età successive le opere dei Pitagorici furono considerate libri rari per eccellenza: è celebre la notizia secondo cui Platone avrebbe acquistato, per un prezzo esorbitante, alcuni libri di Filolao (DL III 9; VIII 84-85; Iambl., VP 199).

La scuola pitagorica, dunque, si trovava senza testi di riferimento; il problema di colmare questo vuoto iniziò a presentarsi ben prima della “rinascita” neopitagorica. I pensatori del Peripato, a cominciare dallo stesso Aristotele,15 scrissero molto sul pensiero e la vita di Pitagora e dei suoi seguaci; tra i peripatetici con interessi per il Pitagorismo spicca la figura di Aristosseno di

13 Particolarmente preziose sono le più antiche testimonianze su Pitagora, quella di Senofane (DK 21 B7) e quella di Eraclito (DK 22 B129; B40), riflesso di una vivace polemica intorno al Maestro e alla sua dottrina.

14 Si veda, in proposito, quanto dice Diogene Laerzio (VIII, 6), che riporta: “alcuni affermano, sbagliando, che Pitagora non abbia lasciato neppure uno scritto”; vedi oltre, p. 41. La testimonianza di Diogene relativa a un dibattito sull’esistenza o meno di scritti di Pitagora è molto importante, poiché sembra appartenere a una fase piuttosto antica, visto che le fonti di Diogene sono in genere di età ellenistica. Cf. B. Centrone, “L’VIII libro delle

‘Vite’ di Diogene Laerzio”, ANRW II, 36.6, 1992, pp. 4188-4193. Si veda anche Flavio Giuseppe, Contra Apionem I, 163.

15 Aristotele dedicò al pitagorismo ben due opere, di cui si conservano solo testimonianze indirette: Sui Pitagorici (frr. 191-205 Rose) e Sulla Filosofia di Archita (frr. 206-207 Rose); I resoconti sulla dottrina pitagorica contenuti nelle opere esoteriche di Aristotele costituiscono la più importante testimonianza sulla dottrina pitagorica antica.

Si ritiene che questi resoconti si rifacciano in gran parte all’opera di Filolao di Crotone: cf. B. Centrone, Introduzione a i Pitagorici, … pp. 104-135.

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pitagorica attirò anche l’attenzione di figure come Dicearco17, Eraclide Pontico18, Ermippo di Smirne19; al minuzioso lavoro di raccolta di tutte le notizie, specialmente biografiche, sui pitagorici portato avanti nel Peripato si può far risalire la maggior parte del materiale biografico delle epoche successive. Quanto all’altra grande scuola della prima età ellenistica, l’Accademia di Platone, è in genere riconosciuto che essa raccolse in qualche misura l’eredità dei Pitagorici, e il poco che si conosce delle figure di Speusippo e Senocrate sembra confermare un interesse per la tradizione pitagorica;20 tuttavia, è opinione comune che proprio lo sforzo di questi primi Accademici di stabilire una continuità tra il proprio pensiero e quello degli antichi Pitagorici abbia determinato, in tutta la letteratura dossografica successiva, una confusione tra l’antica dottrina pitagorica e il punto di vista dei discepoli di Platone, rendendo arduo agli studiosi moderni il compito di districare questo intreccio.21

Si assume comunemente che fu, con ogni probabilità, questa prima ondata d’interesse per l’estinta associazione pitagorica, e questa prima produzione di scritti sui Pitagorici e il loro pensiero, a dare impulso a un fenomeno che avrebbe proseguito fino alla fine dell’Antichità, fino a valicarne, talvolta, i confini: proprio alla prima età ellenistica, infatti, risalgono le prime testimonianze in nostro possesso dell’esistenza di scritti apocrifi attribuiti a Pitagora o alla sua

16 Ben quattro sono i lavori di questo concittadino di Archita dedicati alla scuola italica, di cui ci sia giunta notizia:

Pitagora e i suoi Discepoli, Sentenze pitagoriche, Sulla vita pitagorica, Vita di Archita (frr. 11-41 Wehrli); la testimonianza di Aristosseno è particolarmente interessante poiché, secondo una notizia di Diogene Laerzio, avrebbe avuto contatti con alcuni degli ultimi membri della scuola (DL VIII 46). Non sono mancati tentativi, anche molto recenti, di “rivalutare” alcuni pseudopythagorica sulla base dei loro legami con l’opera di Aristosseno: si veda in particolare P. S. Horky, M. Johnson, “On Law and Justice Attributed to Archytas of Tarentum”, In: D.

Wolfsdorf, (ed.), Early Greek Ethics, Oxford University Press, Oxford, 2020, pp. 455-90; P. S. Horky, “Italic Pythagoreanism in the Hellenistic Age”, in: M. Garani, D. Konstan, G. Reydams-Schils (eds.), The Oxford Handbook of Roman Philosophy, Oxford University Press, Oxford, forthcoming 2021; P. S. Horky, “Herennius Pontius: the Construction of a Samnite Philosopher”, Classical Antiquity 30 (1), 2011, pp. 119-147. Come molti autori di pseudopythagorica, in effetti, Aristosseno sembra proporre un’immagine “razionalizzata” della scuola pitagorica, libera da aspetti mistici e rituali. Si veda più nel dettaglio oltre, pp. 59 sgg.

17 Cf. frr. 33-36 Wehrli. Vedi pp. 50 sgg.

18 Anche a lui è attribuita un’opera Sui Pitagorici (fr. 3 Wehrli); d’altra parte, resoconti sulla dottrina pitagorica e su Pitagora stesso erano presenti anche nell’Abari (frr. 73-75 Wehrli) e nello scritto La Donna che Smise di Respirare (frr. 76-89 Wehrli). Si veda in dettaglio pp. 79 sgg.

19 Esponente del Peripato di età alessandrina e probabilmente allievo di Callimaco, come suggerisce il suo epiteto

“callimacheo”, Ermippo fu un biografo; i frammenti del suo Su Pitagora (18-24 Wehrli) sono particolarmente importanti, poiché sembrano attingere a una tradizione profondamente ostile ai Pitagorici. Cf. p. 50.

20 Abbiamo notizia di lavori sul pitagorismo attribuiti a Senocrate (fr. 2 Isnardi Parente), ma la testimonianza più importante pervenutaci dell’interesse per il pitagorismo all’interno dell’Accademia è senz’altro un estratto, riportato nei Theologoumena arithmeticae dello ps. Giamblico, dell’opera di Speusippo Sui Numeri Pitagorici (fr.

122 Isnardi Parente = fr. 54 Tarán), che è anche uno dei pochissimi frammenti del filosofo ateniese in cui siano riportati i suoi ipsissima verba. Per un esame più approfondito su queste testimonianze si veda oltre, pp. 71 sgg.

21 Cf. B. Centrone, Introduzione a i Pitagorici, … pp. 137-139.

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cerchia più stretta. Una delle più antiche notizie certe dell’esistenza di un simile scritto è l’accenno, in un frammento di Neante di Cizico (III sec. a. C.), a una lettera indirizzata a Filolao dal figlio di Pitagora Telauge, che viene senza esitazione smascherata come un falso (DL VIII 55=FGrHist 84 F26). Callimaco (fr. 442 Pfeiffer) considerava spurio uno scritto astronomico di Pitagora, forse il poema Sull’Universo ricordato in DL VIII 7; un’opera di argomento botanico attribuita a Pitagora era nota a Catone (de Agri Cult. 157 = p. 175, 1-5 Thesleff).22 La diffidenza che circonda questa prima produzione di apocrifi è testimoniata anche dalla presenza di sigilli e formule come quella che, secondo quanto riferisce Diogene Laerzio (DL VIII 6), apriva il Tripartitum di Pitagora: “No, per l’aria che respiro, no, per l’acqua che bevo, mai sopporterò che s’ingiuri questo discorso!” (p. 171, 3-4 Thesleff).23 Anche in Roma, ancora nel II sec. a. C., la diffidenza circonda gli scritti di Numa;24 ecco come l’annalista Lucio Cassio Emina, contemporaneo agli eventi, tratteggiava la vicenda della scoperta di questi “antichi”

libri dissotterrati da un certo scriba, Gneo Terenzio:

Altri si meravigliavano dello stato di conservazione di quei rotoli; e allora egli (sc. lo scriba) dava loro questa spiegazione: nel mezzo della cassa c’era una pietra squadrata, avvolta su ogni lato con spaghi incerati, e proprio sopra questa pietra erano poggiati i tre rotoli. Perciò, così credeva, non si erano decomposti; in più, i rotoli erano stati trattati con il limone, e perciò, pensava, le tarme non li avevano toccati. E in questi rotoli erano contenuti scritti di filosofia pitagorica.25

Il falsario, in questo caso, dovette fronteggiare obiezioni non solo sul contenuto degli apocrifi, che verranno poi bruciati pubblicamente, ma anche quelle, assai ragionevoli, relative al loro stato di conservazione e alla loro antichità.

22 Questa categoria di apocrifi più antichi, estremamente difficile da delimitare, nei casi in cui non esistano esplicite testimonianze della loro esistenza in età ellenistica, è stata ridefinita in un recentissimo contributo: L. Zhmud,

“What is Pythagorean in the Pseudo-Pythagorean Literature?”, Philologus, 163 (1), 2019, pp. 78-82.

. Cf. anche B. Centrone, “The pseudo-Pythagorean Writings”, in: C. A. Huffman (ed.), A History of Pythagoreanism, Cambridge, 2014, pp. 315-340. L’impressione è che queste prime falsificazioni non abbiano affatto avuto quel successo e quel credito che ebbero gli scritti apocrifi pitagorici nelle età successive, e infatti di esse ben poco ci è pervenuto.

23 DL VIII 6-8. All’inizio del libro dedicato alla vita di Pitagora, Diogene Laerzio tratteggia una disputa sull’autenticità di un corpus di scritti di Pitagora, certamente risalenti all’età ellenistica: mentre il peripatetico Sozione, di cui Diogene ha conoscenza attraverso un’epitome di Eraclide Lembo, avrebbe riconosciuto l’autenticità di diversi di questi scritti, alcuni “altri” non meglio identificati da Diogene, ma in cui Centrone ha riconosciuto l’erudito Sosicrate (B. Centrone, “L’VIII libro delle ‘Vite’ di Diogene Laerzio”, … pp. 4188-4189), si mostravano molto più prudenti nell’ammettere l’esistenza di un qualche scritto di Pitagora. Vedi oltre, pp. 41 sgg.

24 Per i dettagli della storia rimando al commento, pp. 273 sg.

25 Hemina ap. Plin. Nat. Hist. XIII 85. Le traduzioni sono mie, se non specificato altrimenti in nota.

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Pitagora non abbia lasciato nulla di scritto;26 proprio in quest’epoca, tuttavia, l’atteggiamento verso gli apocrifi cambia: sebbene il Maestro non avesse voluto mettere per iscritto la propria dottrina, i suoi studenti e successori potevano sempre, per nobili ragioni, scegliere di tramandarla alla posterità, o quantomeno dalle loro opere poteva trasparire la dottrina del caposcuola.27 Sorse una vasta letteratura di apocrifi, stavolta pervenutaci in buona parte, attribuiti non già a Pitagora o ai suoi familiari, ma a Pitagorici successivi (il nome più utilizzato è quello di Archita) o poco noti. Sempre in questi due secoli avvenne una significativa rivoluzione sul piano filosofico: le dottrine di Platone e Aristotele risorsero, e le nuove scuole filosofiche adottarono un metodo basato sulla lettura e il commento dei testi platonici e aristotelici di riferimento.28 In questo contesto, anche il pitagorismo tornò alla ribalta, specialmente grazie a quanti intravedevano, tra le scuole di Pitagora, Platone e Aristotele, un’unità di fondo e una tradizione filosofica ininterrotta.29 La “nuova” letteratura apocrifa pitagorica conserva, come da ormai molto tempo la comunità scientifica riconosce, poco o nulla della dottrina della scuola antica, ma condivide un peculiare nucleo di dottrine, che si presentano come un singolare intreccio di platonismo e aristotelismo: pur mostrando di conoscere, almeno in qualche caso, le fonti accademiche e peripatetiche sui Pitagorici, questi autori preferiscono attingere direttamente alle opere di Platone e Aristotele. Più che di reclutare i due massimi pensatori dell’Antichità tra le fila del movimento pitagorico, o di farli passare per plagiari, l’intento sembra essere quello di appropriarsi di quel patrimonio dottrinale e di

26 Si veda ad esempio Filodemo di Gadara, De Pietate III, fr. 10, p. 113 Scholber.

27 Una posizione di questo tipo sugli apocrifi pitagorici sembra ascrivibile a Posidonio di Apamea (fr. 419 Theiler).

28 Questo nuovo modo di studiare la filosofia segna anche un’importante svolta nella direzione del dogmatismo: il rapporto del filosofo con il testo diviene meno dialettico e più orientato a rintracciare e riaffermare i dogmi in esso contenuti; si manifesta l’esigenza di “difendere” i testi dei maestri dalle critiche accumulatesi contro di loro nei secoli. Su questo tema, troppo ampio per un approfondimento adeguato in questa sede, rimando almeno a P. Hadot, Che cos’è la Filosofia Antica? (titolo originale: Qu’est-ce que la Philosophie Antique?, Gallimard, Paris, 1995), traduzione italiana a cura di E. Giovanelli, Einaudi, Torino, 2010, pp. 143-153.

29 Abbiamo testimonianza, già nell’Antichità, della ricerca di una continuità tra le tradizioni pitagorica, platonica e aristotelica. Un esempio interessante è costituito dalle liste di “successori” (διάδοχοι): la lista riportata dall’anonimo di Fozio, ad esempio, indica Platone e Aristotele rispettivamente come nono e decimo successore di Pitagora (p. 237, 4-7 Thesleff). La critica moderna si è divisa su questo punto; mentre per alcuni in questi scritti è effettivamente presente un primo tentativo di rintracciare le “concordanze” tra il pensiero di Platone e quello di Aristotele, nella convinzione che le loro dottrine non siano che l’espressione di una philosophia perennis (cf. e. g.

G. Reale, “Mediopitagorici”, in: Storia della Filosofia Antica, vol IV, Vita e Pensiero, Milano, 1989, pp. 367-390), altri hanno messo in luce il carattere di reazione all’aristotelismo presente in alcuni di questi apocrifi, che pure sono imbevuti di linguaggio e concetti peripatetici (cf. e. g. M. Bonazzi, “Pythagoreanizing Aristotle: Eudorus and the Systematization of Platonism”, in: M. Schofield (ed.), Aristotle, Plato, and Pythagoreanism in the first century b.C., Cambridge University Press, Cambridge, 2013, pp. 160–186.).

La questione dell’autenticità nell’Antichità

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“riscoprirne” l’origine e la natura “pitagorica”. Alcuni lavori e passi difficili dei due scolarchi vengono “riscritti” e reinterpretati alla luce della dottrina tipica di questi scritti, che non a caso devono molto anche alla letteratura esegetica ellenistica.30

A dispetto della qualità, generalmente modesta, di questa produzione, questa seconda ondata di apocrifi ottenne un prestigio e un credito impressionanti; rarissime sono le attestazioni pervenuteci di casi in cui l’autenticità di qualcuno di questi scritti sia stata messa in dubbio.31 In generale, sin dalle prime testimonianze esplicite della loro esistenza (il più antico autore a citare esplicitamente diversi di questi scritti è Nicomaco di Gerasa, agli inizi del II sec. d. C.)32 questi testi godettero di un sempre crescente prestigio, e alla fine dell’Antichità i pensatori neoplatonici e i commentatori di Platone e Aristotele ne facevano un largo impiego, considerandoli veri precursori delle tradizioni accademica e peripatetica.33 La via alla produzione di apocrifi era ormai aperta: nei secoli dell’Impero essa proseguì e proliferò, e i nomi di Pitagora e dei suoi familiari ricomparvero a suggellare l’autenticità di poemi, lettere, trattati.

30 Casi particolarmente evidenti sono lo scritto De Natura Mundi et Animae attribuito a Timeo di Locri, che altro non è che un’epitome del discorso di Timeo nell’omonimo dialogo platonico, il cui autore appare particolarmente interessato all’esegesi delle sezioni matematiche del Timeo, e le Categorie attribuite ad Archita, costruite sulla falsariga dell’omonima opera aristotelica (ma con alcune notevoli differenze).

31 Si può ricordare Temistio, che espresse i suoi dubbi sull’autenticità delle Categorie attribuite ad Archita, suggerendo che il vero autore fosse “un altro Archita” peripatetico, che con un nome antico avrebbe tentato di dare lustro al suo lavoro: Them., Orat. 17; cf. Boet. Sid. In Cat. I, p.162a Migne. Del resto, l’idea che Pitagora non avesse scritto nulla, pur divenendo minoritaria, perdurò anche durante l’età imperiale: si veda per esempio Olimpiodoro, Prol. pp. 13, 35-14, 4 Busse, che si spinge a dichiarare che “tutti gli scritti attribuiti a Pitagora sono spuri”.

32 Se con Nicomaco si può pensare a un corpus di trattati già parzialmente formato, è però necessario ricordare altre precoci apparizioni degli scritti: già Filone conosce certamente almeno uno di questi scritti, il De Universi Natura di Ocello Lucano (Phil. Alex., De Aetern. Mund. 12); anche l’accenno di Censorino, de Die Nat. IV, 3, alla tesi dell’eternità del genere umano, la cui paternità è attribuita a Pitagora, Occelo Lucano e Archita, se si ammette che la fonte di Censorino sia Varrone, potrebbe essere indizio di un’esistenza del corpus già nel I sec. a. C. Un platonico anonimo della prima età imperiale cita il trattato di Onata Su Dio e il Divino (ap. Stob. I 1, 28, p. 32, 17-21 Wa. Cf. J. Dillon, “An Unknown Platonist on God”, in: M. Barbanti, G. R. Giardina, P. Manganaro, E. Berti (a cura di), ΕΝΩΣΙΣ ΚΑΙ ΦΙΛΙΑ: Unione e amicizia, omaggio a Francesco Romano, CUECM, Catania, 2002, pp.

237-245). Ancor più intrigante è il caso di un frammento papiraceo di un discorso encomiastico rivolto a un imperatore, presumibilmente Augusto, proveniente dall’Egitto e databile su basi paleografiche tra fine I sec. a. C.

e inizio I d. C.: esso contiene una ripresa letterale, interpretabile solo come una citazione, di Diotogenes de Regn.

pp. 73, 28-74, 4. si veda in proposito I. Andorlini, R. Luiselli, “Una ripresa di Diotogene Pitagorico, “sulla Regalità”, in PBlingen 3 (encomio per Augusto?)”, Zeitschrift für Papirologie und Epigraphik 136, 2001, pp. 155-166.

33 Gli apocrifi sono ricordati in moltissimi passi e citati come testi di grande autorità da Proclo, Giamblico, Siriano:

si veda oltre, pp. 143 sgg.; in particolare, per Giamblico, cf. C. Macris, “Jamblique et la littérature pseudo-pythagoricienne”, in: S. C. Mimouni (éd.), Apocryphité: histoire d'un concept transversal aux religions du Livre, Brepols, Turnhout, 2002, pp.77-129. Un gran numero di frammenti, anche di notevole estensione, è tramandato nell’Anthologion di Giovanni Stobeo.

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i casi in cui la tradizione ci abbia tramandato il nome di un “falsario”; uno di questi è la notizia che si trova in Plinio il Vecchio, e riguarda il già ricordato trattato di botanica attribuito a Pitagora: 34

Non mi sfugge che questo suo trattato venga attribuito da alcuni al medico Cleemporo, però la tenacia della sua fama e la sua antichità lo rivendicano a Pitagora, e proprio questo parla in favore della paternità delle sue opere: se mai qualcuno ha giudicato il frutto dei suoi studi degno di “quell’uomo”, chi mai crederà che l’abbia fatto Cleemporo, che peraltro ha pubblicato altre opere a proprio nome?35 L’argomento di Plinio in difesa dell’autenticità del trattato costituisce un ottimo esempio di costruzione dell’autorità pitagorica. Sono la stessa fama dello scritto e la sua “antichità”, che traspare presumibilmente dalla lingua, a testimoniare la paternità pitagorica del testo. Certo qualcuno, per invidia, potrebbe rivendicare il lavoro di Pitagora come proprio; ma chi mai farebbe il contrario, e perché?

Alla fine dell’età imperiale, è Porfirio a fornirci un quadro lucido della situazione a cui la massiccia produzione di apocrifi ha condotto la scuola pitagorica: nella Vita di Pitagora, dopo aver parlato della Decade, egli fornisce un desolato resoconto delle ragioni per cui la dottrina dei Pitagorici andò perduta, e si presentò poi la necessità di riscoprirla:

I Pitagorici in tale modo trattavano riguardo i numeri; e proprio a causa di questa trattazione, che pure era in assoluto prima (sc. per eccellenza), avvenne che quella filosofia si estinguesse, in primo luogo perché era espressa per enigmi, e inoltre perché le loro opere erano scritte in dorico, peraltro in una lingua che aveva un che di oscuro, e perciò nessuno le comprendeva, e le dottrine che venivano indagate in quella lingua erano come spurie e fraintese, per il fatto che coloro che divulgavano queste cose non erano veri Pitagorici. Si aggiunga a questo che Platone, Aristotele, Speusippo, Aristosseno e Senocrate- così dicono i Pitagorici- si appropriarono dei più bei frutti di quella dottrina, con qualche piccolo aggiustamento, mentre le cose più superficiali e deboli, e insomma ogni calunnia lanciata

34 Si tratta di un apocrifo piuttosto antico; questo suggerisce che lo sguardo critico su di esso possa risalire all’età

34 Si tratta di un apocrifo piuttosto antico; questo suggerisce che lo sguardo critico su di esso possa risalire all’età

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