costruzione socialista
2.1. Economia e società dal 1949 al Grande Balzo in Avanti: un quadro d'insieme
La riforma agraria che era stata lanciata durante la guerra di resistenza contro il Giappone prevedeva, in una prima fase, delle leggi più moderate, che potessero ottenere l’appoggio non solo dei contadini poveri, ma anche dei proprietari terrieri che condividevano con il PCC un sentimento patriottico e di rivalsa. La fine della guerra sino-‐giapponese e la ripresa della guerra civile tra PCC e GMD causarono, però, un profondo inasprimento della politica agraria comunista, tanto che essa sfociò in violente repressioni in cui persero la vita moltissimi proprietari terrieri e contadini ricchi. Molti quadri del partito furono poi accusati e condannati per aver aizzato e permesso ai contadini poveri di compiere indisturbatamente le loro vendette personali. Da ciò derivò un arresto della riforma agraria, che fu ripresa poi solo con il consolidamento al potere del PCC alla metà del 1950. Le lotte di classe che avevano insanguinato le campagne cinesi erano state tutt’altro che positive per la produzione agricola e, se Mao voleva garantire una ripresa dell’economia rurale nella neonata RPC, doveva promuovere delle politiche non distruttive ma in grado di sfruttare al meglio l’attività già avviata dei contadini ricchi.1 Dal punto di vista economico, infatti, gli anni dal 1949 al 1952 furono particolarmente positivi per la Cina: il PCC era riuscito a sconfiggere la pesante inflazione degli ultimi anni del regime Nazionalista e aveva poco alla volta messo in sesto molte fabbriche che durante
la guerra civile avevano interrotto la loro produzione.2 Nonostante la fragile ripresa che il neonato governo della RPC era riuscito ad ottenere, un forte colpo all’economia era stato inferto dalla guerra di Corea, scoppiata il 25 giugno del 1950. La Corea del Nord, sostenuta dall’Unione Sovietica, aveva intentato un’invasione su larga scala della Corea del Sud, portando la guerra fredda in Estremo Oriente. Mao Zedong inizialmente non intervenne, avendo compreso i danni che un conflitto poteva infliggere alla RPC ancora in fase di consolidamento. Tuttavia la necessità di difendere i confini cinesi minacciati dalle truppe americane fece sì che il Grande Timoniere prendesse la decisione di portare le sue truppe in Corea del Nord nell’ottobre del 1950. Furono così inviati a combattere circa settecentomila “volontari” dell’Esercito Popolare di Liberazione (EPL).3 Le truppe americane si ritirarono dalla Corea del Nord nel 1951, dopo una schiacciante sconfitta subita da parte dell’esercito cinese continuando però una dura guerra di logoramento lungo il confine tra Corea del Nord e del Sud. Le conseguenze del conflitto furono pesanti per entrambe le parti e, nel caso della Cina, portarono anche, oltre al costo in vite umane4, ad una dipendenza dall’ Unione Sovietica. Anche se gli aiuti militari ed economici forniti da quest’ultima alla RPC erano stati piuttosto miseri rispetto a quello che Mao si aspettava, la Cina si indebitò fortemente con la Russia di Stalin. Inoltre si trovò a dover fronteggiare l’embargo economico imposto dagli Stati Uniti, che riconoscevano, come unico governo rappresentativo di tutta la Cina, il governo Nazionalista di Taiwan, dove al termine della guerra civile si era ritirato Chiang Kai-‐shek (1887-‐1975) a capo del GMD.
Nel 1953, l’anno che segnò la fine della guerra di Corea, fu portata a termine la grande rivoluzione agraria lanciata dal PCC. La legge che in questi anni era stata promossa dal PCC prevedeva che non fossero confiscate proprietà e terre dei latifondisti che si erano impegnati in attività commerciali utili per la ripresa economica del paese. Nella realtà la violenza dei contadini faceva poca
2 Adrian CHAN, Chinese Marxism, London and New York, Continuum, 2003, p. 142.
3 Mario SABBATINI, Paolo SANTANGELO, Storia della Cina, Roma, Biblioteca Storica Laterza,
2007, p. 612.
4 Il numero delle vittime cinesi in Corea ammonta a centocinquantamila morti e circa
distinzione tra una tipologia e l’altra di proprietari terrieri e moltissimi contadini ricchi e latifondisti furono uccisi, mandati nei campi di lavoro o spogliati completamente delle loro proprietà, pur continuando a conservare l’etichetta di “proprietari terrieri”, ormai un “marchio d’infamia politico e sociale ereditario”.5 Terminata questa prima fase di completa distribuzione delle terre, il PCC aveva ottenuto l’appoggio dei contadini, che costituivano la maggior parte della popolazione cinese. Tuttavia questa poteva essere solo una breve e transitoria tappa della ripresa economica auspicata da Mao. La produzione agricola doveva aumentare nettamente, soprattutto perché dai surplus derivanti dal settore rurale dovevano provenire gli investimenti per rilanciare con decisione l’industrializzazione della Cina.6 A tale scopo fu annunciato il primo piano quinquennale, che si riferiva al periodo compreso tra il 1953 e il 1957. Il piano, guardando all’esperienza in campo economico dell’Unione Sovietica, prevedeva l’avvio della collettivizzazione nelle campagne, al fine di aumentare la produzione agricola e finanziare il piano di industrializzazione.
Nel dicembre del 1952, il governo centrale aveva già cominciato ad incoraggiare la formazione di “squadre di mutuo aiuto” (huzhuzu), corrispondenti alla prima fase di collettivizzazione delle aree rurali. Si trattava di piccole organizzazioni, composte di quattro o cinque nuclei familiari che condividevano lavoro, attrezzi agricoli e animali da tiro. La maggior parte delle squadre era organizzata in questa maniera su base temporanea, e la condivisione del lavoro era una pratica portata avanti in particolare nei mesi della semina o del raccolto.7 Nel 1953, circa il 40 percento degli agricoltori cinesi aveva aderito alle squadre di mutuo aiuto.8
La fase successiva del processo di collettivizzazione previde la formazione di cooperative di livello inferiore che, nel 1954, raggiunsero il numero di 663 mila,
5 MEISNER, Mao…, cit., pp. 174-‐175. 6 CHAN, Chinese Marxism, cit., p. 143.
7 HUANG Yiping, Agricultural Reform in China. Getting instituition right, Cambridge, Cambridge
University Press, 1998, p. 27.
8 Franz SCHURMANN, Ideology and Organization in Communist China, Berkeley, University of
sparse sull’intero territorio cinese.9 In esse le terre erano condivise dai diversi nuclei familiari, così come gli attrezzi da lavoro e gli animali. Tuttavia la proprietà privata non era ancora abolita, poiché gli appezzamenti e gli strumenti agricoli appartenevano ai lavoratori, che li mettevano a disposizione per la propria comunità. Il reddito era distribuito sulla base del lavoro svolto e del contributo in mezzi e denaro che il lavoratore dava alla cooperativa.10
La risposta dei contadini alla nuova politica economica e in particolare alle cooperative, però, non fu completamente positiva. Nel 1955, il PCC aveva concesso, agli agricoltori che lo avessero desiderato, il permesso di ritirare la propria quota di partecipazione al lavoro collettivo. Moltissimi furono quelli che approfittarono di tale opportunità, tanto che, in seno alla leadership del partito, si venne a creare un dibattito in cui si affrontarono idee contrastanti riguardo al processo di collettivizzazione e alla velocità con cui portarlo a termine.
Mao Zedong, guardando con ammirazione all’esperienza sovietica, sosteneva fermamente la necessità di accelerare i tempi della collettivizzazione, di modo che si potessero creare unità produttive più grandi in grado di poter fornire un maggiore surplus agricolo. La formazione di appezzamenti e terre coltivabili sempre più ampie e produttive avrebbe, secondo il pensiero di Mao, spinto i contadini a partecipare volontariamente e attivamente al lavoro nelle cooperative. Il lavoro collettivo e la volontà dei contadini di contribuire alla costruzione del socialismo, avrebbero portato ad un miglioramento continuo delle tecniche di coltivazione e all’introduzione di macchinari sempre più moderni capaci di aumentare notevolmente la produzione.11
Liu Shaoqi, invece, era convinto che, per ottenere dei risultati positivi dall’agricoltura, fosse necessario procedere in primo luogo a una meccanizzazione delle aree rurali. In questo modo i contadini avrebbero aderito volentieri alle cooperative che potevano rendere il loro lavoro meno faticoso e più produttivo. Le idee di Mao prevalsero, spianando la strada a una collettivizzazione massiccia che, a detta del Grande Timoniere, sarebbe stata
9 HUANG Yiping, Agricultural Reform…, cit., p. 28. 10 Ibid.
11 Kenneth LIEBERTHAL, Governing China: from Revolution Through Reform, New York, W.W.
completata in due anni.12 Il processo di collettivizzazione che avrebbe dovuto essere graduale, subì quindi un’accelerazione, e fu portato a termine già nel 1956, grazie all’atmosfera di frenesia sociale che Mao aveva causato rivolgendosi direttamente ai contadini e ai quadri di livello inferiore del partito nell’appello alla costruzione di un’economia socialista.13
Allo stesso tempo anche le aree urbane furono toccate dalla nuova politica: la “campagna socialista di trasformazione dell’industria e del commercio” diede la possibilità ai capitalisti delle città di cedere a prezzi favorevoli le proprie attività allo Stato. Furono in molti a farlo, soprattutto per il clima di repressione politica nei confronti della classe borghese capitalista. 14
La corsa alla collettivizzazione era necessaria per aumentare il surplus agricolo in grado di fornire i mezzi per lo sviluppo dell’industria, in particolare di quella pesante, che in Cina era quasi del tutto inesistente. L’attenzione data a questo settore prendeva ispirazione dall’esperienza in campo economico dell’Unione Sovietica, che continuava a costituire un aiuto indispensabile, sebbene meno consistente di quello che la RPC si aspettasse. Tra il 1953 e il 1957, infatti, il settore industriale in Cina crebbe circa del 16 per cento, raddoppiando la produzione, in particolare di ghisa, acciaio ed energia elettrica.15 La situazione nelle aree rurali non era però così positiva poiché era stato a spese della produzione agricola e del lavoro di una classe contadina sempre più impoverita che l’industria aveva raggiunto questi traguardi. D’altro canto Mao considerava l’industrializzazione come il mezzo principale per fare della Cina una nazione ricca e competitiva a livello internazionale.16 Una forte economia industriale
12Ibid.
13 Il 31 luglio del 1955 Mao Zedong, scavalcando i canali formali del PCC, convocò un raduno
informale di capi regionali, in cui fece un appello per accelerare i tempi della collettivizzazione. Nel discorso (“Sulla trasformazione cooperativa dell’agricoltura”) Mao accusava la formazione di forme di capitalismo nelle campagne cinesi, e invocava un radicale mutamento dell’economia agricola. Egli si fece portavoce dei contadini, e attribuì a questi ultimi il desiderio di una rivoluzione agraria e di un passaggio repentino alla collettivizzazione, contrapposti al “conservatorismo” del PCC. Cfr. MEISNER, Mao…, cit., pp. 184-‐185.
14 Ibid., p. 96. 15 Ibid., p. 181.
16 La nascita del nazionalismo cinese può essere fatta risalire alla sconfitta subita da parte
dell’Inghilterra durante la prima guerra dell’oppio (1939-‐1942). Durante quello che è stato considerato il “secolo delle umiliazioni”, numerose potenze straniere si sono contese molti territori cinesi che ormai sfuggivano al controllo dell’impero celeste. La volontà di riscattare il
costituiva, poi, il presupposto fondamentale, secondo la teoria marxista cui Mao traeva ispirazione, per fare della Cina una nazione socialista. Nell’idea del Grande Timoniere, però, la RPC, per raggiungere un tale obiettivo, doveva percorrere una strada diversa rispetto a quella propugnata dal pensiero di Marx. Mao era convinto che la Cina potesse attingere le forze dalla sua situazione di povertà e arretratezza per superare le potenze occidentali più all’avanguardia evitando gli stadi più complessi dello sviluppo capitalista.17Marx sosteneva fermamente una teoria secondo la quale la storia progredisce attraverso fasi differenti, caratterizzate da particolari condizioni economiche chiamate “modi di produzione”. Nonostante la feroce critica fatta al capitalismo dal filosofo tedesco, questa fase storica costituiva il prerequisito fondamentale per lo sviluppo del socialismo. Il capitalismo, infatti, contribuiva alla formazione da una parte di grande ricchezza materiale, e dall’altra del proletariato, classe sociale destinata a portare a termine il processo di trasformazione della società in senso socialista.18
Mao si distanziò notevolmente dalla dottrina marxista, pur consapevole che una riorganizzazione socialista della nazione cinese si dovesse basare su un notevole sviluppo industriale che il paese ancora non aveva raggiunto. Egli, convinto che la volontà e l’energia del popolo nell’appoggiare la rivoluzione fossero fondamentali nel progresso storico, arrivò a credere che si potesse raggiungere il socialismo senza il passaggio attraverso il capitalismo, tipico delle potenze occidentali.19
L’impazienza di Mao e la sua volontà di forzare le tappe previste da Marx, sono chiaramente visibili in questi anni e si riveleranno, in maniera eclatante, con il (segue nota)paese dalle umiliazioni subite fu un tema ricorrente , da quel momento, della politica cinese. La rivolta dei Boxer nel 1900 aveva un forte carattere anti-‐occidentale, e si oppose all’influenza delle nazioni straniere sulla Cina. Il trattato di Versailles portò alla nascita del Movimento del Quattro Maggio, l’occupazione giapponese causò la reazione patriottica sia del partito nazionalista sia di quello comunista, che volevano affermare l’autonomia di un paese dalla storia millenaria. Nel Ventesimo secolo ogni leader, come Sun Yat-‐Sen, Chiang Kai-‐Shek, Mao Zedong, Deng Xiaoping ha cercato di fare in modo che la Cina si riappropriasse del suo ruolo di grande potenza. Cfr. Paul ESCHENHAGEN, Nationalism in China-‐ Implications for
Chinese International Relations, Munich, Grin Verlag, 2007, pp. 3-‐4.
17 MEISNER, Mao…, cit., p. 182. 18 Ibid., p. 130.
lancio del Grande Balzo in Avanti. La collettivizzazione nella metà degli anni Cinquanta, fu portata avanti molto velocemente, senza tenere conto delle reali condizioni delle aree rurali e, soprattutto, prefiggendo degli obiettivi particolarmente ambiziosi nella produzione agricola. Il “programma di sviluppo agricolo per i prossimi dodici anni”, ad esempio, prevedeva per la regione dello Henan, un raddoppiamento della produzione di cotone tra il 1956 e il 1958 e auspicava altrettanto per la produzione cerealicola tra il 1956 e il 1962.20 Il programma rientrava in quello che è stato definito “il primo balzo”, che accelerò in modo consistente il processo di produzione sia industriale sia agricola. Tuttavia questa iniziativa economica produsse risultati negativi e causò una situazione caotica, che andava risolta dal punto di vista istituzionale con un cambiamento repentino di politica.21Si arrivò quindi ad un’inversione di rotta della politica del PCC verso destra, che vide un coinvolgimento maggiore degli intellettuali, fino a quel momento rimasti ai margini del sistema. La leadership del partito si rese conto che per fare in modo che la Cina si industrializzasse, erano necessari la competenza e il sostegno di tecnici e intellettuali. La “Campagna dei Cento Fiori”, iniziata ufficialmente nel Maggio del 1956, classificava gli intellettuali come “parte della classe lavoratrice”, e costituiva un tentativo di colmare la distanza che si era creata tra il PCC e molti studiosi e intellettuali cinesi.22 Mao Zedong, in occasione di questa campagna, pensò di utilizzare gli intellettuali soprattutto per scopi politici, e si rivolse in particolare a quelli che non erano all’interno del partito, invitandoli a esprimere le proprie
20 L’importanza durante il movimento di collettivizzazione e il Grande Balzo in Avanti dello
Henan è nota: la regione si pose come modello dello sviluppo economico cinese, vantando il maggior numero di risulati raggiunti in ambito produttivo. Per un’analisi del ruolo dello Henan in questi anni e della figura del governatore Wu Zhipu, ex studente di Mao presso l’accademia di Guanzhou, cfr. Jean-‐Luc DOMENACH, Aux origines du Grand Bond en Avant: le cas d’une province chinoise, 1956-‐1958, Paris, Editions de l'Ecole des hautes études en sciences sociales et Presses de la Fondation nationale de sciences politiques, 1982. Dati riportati a p. 48.
21 Roderick MACFARQUHAR, The Politics of China: the Eras of Mao and Deng, Cambridge,
Cambridge University Press, 1997, p. 69.
22La “campagna dei Cento Fiori” fu in realtà concepita da Mao e Zhou Enlai nel gennaio del 1956.
La morte di Stalin e il discorso di Chruscev che aveva apertamente denunciato le atrocità del defunto dittatore, interruppero la campagna e posero molti interrogativi sulle lodi a Stalin che fino a quel momento erano state fatte in Cina e sul culto della personalità. Nel maggio dello stesso anno Mao riprese in mano la campagna, non solo per utilizzare gli intellettuali per uno scopo economico, ma anche e soprattutto per uno scopo politico. Cfr. MEISNER, Mao…, cit., pp. 189-‐190.
critiche. Ne risultò un pesante attacco da parte degli intellettuali alla leadership comunista e ai quadri di partito che avevano soppresso il pensiero di molti scrittori e scienziati. Tra il mese di maggio e quello di giugno sui giornali nazionali cinesi furono pubblicate moltissime critiche di studenti e intellettuali alla dirigenza comunista, di cui Mao poté servirsi per attaccare i suoi oppositori all’interno del PCC. Ben presto però alla campagna fu posta fine con una netta inversione di rotta: il Renmin Ribao (Quotidiano del Popolo), su indicazione di Mao stesso, iniziò a diffondere forti accuse contro gli intellettuali che avevano osato criticare il sistema socialista e il Partito. In questo clima di terrore più di un milione di membri del PCC furono espulsi o criticati o mandati nei campi di lavoro per essere “rieducati” e Mao ebbe modo di ritrovare il controllo della situazione e procedere nuovamente verso le politiche economiche radicali che aveva sostenuto nel “primo balzo”.23
Era l’inizio del “Grande Balzo in Avanti”, che fu utilizzato come slogan per la prima volta dal Quotidiano del Popolo in un editoriale pubblicato nel novembre del 1957 e che, secondo una formula elaborata in occasione del Terzo Plenum del PCC nel settembre dello stesso anno, esortava a produrre “di più, più velocemente, meglio e a minor prezzo”.24 La strategia economica concepita da Mao era però agli inizi piuttosto vaga e si basava essenzialmente sull’idea di “sviluppo simultaneo”: seguendo il modello sovietico si dava particolare enfasi all’industria pesante ma, allo stesso tempo si prestava attenzione anche all’industria leggera e all’agricoltura in un meccanismo in cui ogni settore avrebbe dovuto agire da “stimolo” per gli altri due.25 Ciò su cui Mao però si basava essenzialmente per arrivare al tanto desiderato sviluppo economico era la mobilitazione delle masse e la capacità lavorativa del popolo cinese. La nuova politica sembrava rievocare lo “spirito di Yan’an”, poggiando sul volontarismo, l’egalitarismo, le sperimentazioni e il fervore ideologico. Mao era convinto che la mobilitazione completa dei lavoratori, mediante incentivi ideologici, avrebbe
23 Ibid., p. 198.
24 Frederick TEIWES Warren SUN, China’s Road to Disaster, Mao, Central Politicians, and
Provincial Leaders in the Unfolding of the Great Leap Forward, 1955-‐1959, M.E. Sharpe, 1998, p. 71.
permesso loro di dare libero “sfogo” alla creatività e di mettere in atto quella volontà che, unita ad una adeguata organizzazione, consentiva di raggiungere anche obiettivi “impossibili”.26 E davvero impossibili erano quelli che, dagli inizi del 1958, Mao si proponeva per l’economia cinese: raggiungere in quindici anni i livelli di sviluppo economico delle potenze industrializzate occidentali.
La Cina doveva compiere un grande balzo economico che, però, doveva essere accompagnato da una “rivoluzione sociale comunista”. Fu per realizzare questa idea che Mao, nel mese di agosto del 1958, fece un appello affinché fossero istituite le comuni popolari (renmin gongshe).27 La comune fu concepita come
l’unità economica di base della RPC, in grado di adempiere direttamente i compiti di una comunità rurale: produzione agricola e, in alcuni ambiti, industriale, mensa, servizio di asili nido e istruzione, ecc. In meno di sei mesi furono create ventiquattromila comuni, dove lavorava gran parte della popolazione contadina cinese (500 milioni di persone).28La comune popolare diventò il vero e proprio simbolo dell’utopia comunista di cui Mao, figura ormai quasi deificata a livello popolare, si faceva portavoce. Egli aveva annunciato che dopo qualche anno di duro lavoro sarebbe arrivato finalmente un lungo periodo di abbondanza economica e prosperità. Gli obiettivi che la dottrina marxista teorizzava come raggiungibili ma in un futuro non definito, diventavano, secondo quanto annunciato dalla propaganda, molto vicini. Perché tutto questo fosse realizzato, era necessario però, che ogni individuo fosse coinvolto nel lavoro e nella produzione sia agricola sia industriale. Dal mese di agosto del 1958, dunque, milioni di persone iniziarono un ritmo estenuante di lavoro che prevedeva una scansione di tipo militaresco delle giornate. L’attenzione del