2. L A FORTUNA DELL ’O PUS AGRICULTURAE NEL M EDIOEVO LATINO
2.3. D AL M EDIOEVO AL R INASCIMENTO : UNA TEORIA DI LETTORI ILLUSTRI In quest’ultimo paragrafo si darà spazio ad alcuni casi di letterati e studiosi che avevano nella
loro biblioteca un esemplare dell’Opus agriculturae: questi libri appartenuti a lettori illustri sono stati identificati con esemplari conservati presso le biblioteche europee e, attraverso la loro storia, permettono di ricostruire un tassello del più importante quadro della vita e dell’attività dei loro possessori.
2.3.1 Petrarca (CV BAV Vat. lat. 2193)
Uno dei manoscritti più pregevoli del Palladio latino, CV BAV Vat. lat. 2193, è appartenuto a Francesco Petrarca.107 Si tratta di un codice miscellaneo, parzialmente autografo, allestito fra il
1343 e il 1345, e che contiene, oltre all’Opus agriculturae (che vi occupa le cc. 119r-150r), le opere di Apuleio, Cicerone, Frontino e Vegezio. Da segnalare, relativamente al testo di Palladio, è anche l’accuratissimo indice alfabetico dei contenuti (cc. 150v-152v), con rinvio ai libri e capitoli del testo.108 Il codice è stato fittamente postillato dallo stesso Petrarca109 e conserva sull’ultima carta
(156r-v) quello che è stato definito un vero e proprio “diario botanico” dell’autore, ossia una serie di annotazioni relative all’attività di cura dell’orto e del giardino scrupolosamente datate tra il 1348 e il 1369.110 Fra i molti interessi di Petrarca vi era infatti quello per la cura delle piante, come
attestano, oltre alla raccolta di annotazioni in chiusura del manoscritto di Palladio, i consigli sul seminare contenuti nella Familiare all’amico d’infanzia Guido Sette (XVII.5, §§ 9-10), intitolata ruralis vite laus.111
Per ciò che riguarda le postille, occorre precisare che quelle al testo di Palladio non sono particolarmente numerose; se ne riportano qui un paio di esempi:
c. 132ra
item [vinum] mirtice
107 Il codice vanta una vastissima bibliografia; per i contributi pubblicati entro il 1974 cfr. TRISTANO 1974, p. 365, n. 1;
per i più recenti cfr. la scheda relativa al codice sul sito della BAV all’indirizzo: <https://digi.vatlib.it/search?k_f=0&k_v=Vat.lat.2193>.
108 Un’immagine dell’indice del codice è stata scelta per presentare, nella Parte seconda, il cap. VII.
109 L’edizione delle postille è stata realizzata da TRISTANO 1974; per il testo di Palladio cfr. in particolare le pp. 464-465. 110 Le annotazioni sono state pubblicate da NOLHAC 1907, vol. 2, pp. 264-268.
111 Cfr. ad es. «Signabo autem diem tibi serendis arboribus ydoneum, non eum quem fortasse alibi pro diversitate agricole
c. 123rb
Ca(m)pas | canipas
Per ciò che riguarda l’annotazione delle attività di giardinaggio e coltura, si è scelto di riportare qui uno degli appunti petrarcheschi (datato 30 settembre-1° ottobre 1343), relativo alla coltivazione di bietole, finocchi, prezzemolo e altro:
CV BAV Vat. lat. 2193, c. 156rb NOLHAC 1907,p. 266.112
Anno 1353, die lune ultimo Septembris et die Martii I° octobris, in orto
Mediolani Sancti Ambrosii abunde hesterna pluuia humecto et ad unguem subacto, seuimus spinargia, bletam, feniculum, petrosillum. Pars anni serotina et umbrosior locus et lune reuolutio uidentur obsistere.
Effectus fuit nullus omnino.
2.3.2 Poliziano (Paris BNF Rés. S 439)
Anche Angelo Poliziano, negli ultimi anni della sua vita, si interessò ai testi agronomici, come emerge dalle numerose citazioni dei rerum rusticarum scriptores che si leggono nei suoi ‘commenti’113
alle Silvae di Stazio e alle Georgiche di Virgilio:114 su entrambi i testi Poliziano tenne infatti dei corsi
presso lo Studium fiorentino, in particolare nel biennio 1480-1481 su Stazio e nel biennio1483-1484 su Virgilio,115 e molto del materiale preparatorio per le lezioni, fortunatamente conservato, è stato
oggetto di studi e di edizioni. Nel caso dei trattati latini di agricoltura è possibile inoltre confrontare le citazioni selezionate per le lezioni con il testo che Poliziano leggeva: all’umanista è appartenuto infatti un esemplare dell’editio princeps dei rerum rusticarum scriptores (JENSON 1472),116 che è stato da
tempo identificato, grazie alle diverse sottoscrizioni e annotazioni marginali dell’umanista, con una copia conservata alla Bibliothèque Nationale de France (Paris BNF Rés. S 439).
Sulla sua copia Poliziano lavorò inoltre con acribia filologica, come mostrano le numerose annotazioni al testo presenti nei margini del libro: nel 1482 collazionò Catone e Varrone con un codice appartenente alla biblioteca di San Marco, mentre tra il 1490 e il 1494, con l’aiuto di alcuni collaboratori e del nipote Lattanzio, collazionò anche le opere di Columella e Palladio.117 In
112 Attraverso il riscontro con il manoscritto è parso opportuno intervenire correggendo in alcuni punti l’edizione; le
modifiche sono marcate in corsivo.
113 Il termine indica un insieme di annotazioni autografe che si leggono sui margini degli incunaboli appartenuti a
Poliziano.
114 Nelle annotazioni alle Silvae si legge un solo riferimento a Palladio, relativo ai sostantivi perna e lardum (cfr. CESARINI
MARTINELLI 1978, p. 707), mentre fittissimi sono i richiami all’Opus agriculturae nelle annotazioni alle Georgiche (cfr.
CASTANO MUSICÒ 1990, pp. 27-28, 37, 44, etc., per un totale di ventuno citazioni), fra i quali spiccano anche due
citazioni del Carmen de Insitione (cfr. ivi, pp. 98-100).
115 Al corso sulle Georgiche Poliziano diede inizio recitando una prolusione in versi, il Rusticus, poi inclusa nelle Silvae (cfr.
l’edizione di BAUSI 1996, pp.45-99).
116 Per una rassegna bibliografica su questi aspetti dell’attività di Poliziano cfr. PAOLINO 2016, che ricostruisce la
dinamica delle lezioni a partire dalle recollectae degli allievi.
passato, tali collazioni erano state interpretate come congetture ope ingenii dell’umanista,118 ma Ana
Moure Casas, in un articolo del 1978, ha dimostrato che le lezioni annotate da Poliziano coincidono con quelle di uno specifico ramo della tradizione latina e che l’esemplare di collazione doveva appartenere allo stesso gruppo del codice di Petrarca, il cui testimone più antico è individuabile nel manoscritto Troyes BM 1369 (sec. XII).119
2.3.3 Erasmo (CV BAV Reg. lat. 1252)
L’incursione nelle biblioteche di figure cardine nella storia delle humanae litterae alla ricerca del trattato latino Palladio si conclude con Erasmo da Rotterdam.
Per lungo tempo si è pensato che il solo codice contenente testi agronomici appartenuto alla biblioteca del filosofo fosse il manoscritto Wolfenbüttel HAB 36.23 Aug. 2°, una raccolta cinquecentesca degli agrimensori latini del VI secolo, fino a quando, nel 1975, Elisabeth Pellegrin riuscì a decifrare, grazie alla lampada di Wood, un ex libris fino a quel momento misterioso, apposto su un testimone piuttosto antico (sec. XII) dell’Opus agriculturae.120 Il manoscritto era CV BAV Reg.
lat. 1252 e a c. 122v Pellegrin poté leggere per la prima volta: «Sum Erasmi Rot[ero]d[am]i. Ex dono Abbatis S[anct]i Sulpitii».
A partire da quest’informazione, la studiosa ha potuto ricostruire la storia del codice, che si è rivelato essere uno dei più importanti per la storia delle edizioni del testo. Appartenuto all’abbazia cistercense di Saint Sulpice, il codice fu probabilmente donato a Erasmo da Pierre de Mornieu, suo amico e corrispondente, che fu eletto abate di Saint Sulpice nel 1526. Alla morte di Erasmo, il manoscritto, forse proprio in virtù del fatto che l’ex libris non era ben leggibile, non fu venduto al polacco Jean Laski, come la maggior parte della sua collezione, ma rimase a Basilea, giungendo poi sul mercato librario. Nel 1594, Henri Justus, professore all’università di Basilea, ne fece dono allo stampatore di Heidelberg Jerome Commelin, che se ne servì per la sua edizione dei rerum rusticarum scriptores (1595). La prova che il codice sia stato utilizzato per l’edizione è fornita dalle collazioni che vi si leggono nel margine (fra cui ve ne sono di autografe del Commelin), e dal fatto che, là dove nell’edizione sono riportate lezioni di non specificati manoscritti, queste coincidono con il testo del Reg. lat. 1252. Una volta completata l’edizione, anche Commelin si disfece del manoscritto, che fu acquistato dal filologo Peter Schrijver nel 1607; a partire almeno dal 1656 il codice entrò poi a far parte della biblioteca di Cristina di Svezia (che acquisì molti testi per tramite di Schrijver), oggi conservata nel fondo Reginense della Vaticana.
118 Così gli editori dell’Opus agriculturae, Rodgers e Martin (cfr. RODGERS 1975a, pp. XV-XVI e MARTIN 1976, pp. LIX-LX e
n. 85).
119 Cfr. MOURE CASAS 1978; su questo gruppo di manoscritti latini, di origine cistercense, cfr. supra, § 2.1.1. 120 Cfr. PELLEGRIN 1975; dal lavoro della Pellegrin sono tratte le informazioni citate nel seguito.
3.L
E TRADUZIONI
Le Rustican (Chantilly MC 340, c. 303v).
Fra Tre e Quattrocento l’Opus agriculturae venne tradotto in modi e luoghi diversi in Europa: i centri principali di quest’operazione di appropriazione dell’ultimo dei rerum rusticarum scriptores da parte della cultura volgare furono l’Italia e la penisola iberica (sec. XIV), cui si aggiunse, in seguito, l’Inghilterra (sec. XV). Sembrano invece mancare traduzioni antiche in area francese:121 una
possibile spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che nel 1373 il re Carlo V il Saggio commissionò una traduzione dell’opera latina di Crescenzi, intitolata, nei codici che la tramandano, Rustican o Livre des proffiz champestres et ruraulx,122 la cui circolazione potrebbe aver disincentivato la
realizzazione di traduzioni del trattato di Palladio.123
Negli stessi secoli si assistette inoltre a una vera e propria proliferazione di traduzioni dell’epitome del trattato palladiano realizzata da Gottfried von Franken, che si diffuse soprattutto in area germanica.124 La realizzazione di riduzioni dell’opera di Palladio, in latino ma, come si vedrà,
121 Nulla è emerso dal recente censimento compiuto all’interno del progetto Transmédie, i cui risultati sono stati pubblicati
in GALDERISI 2011. Si può tuttavia ricordare, per ciò che riguarda la diffusione di Palladio in lingua d’oïl, che alcuni
capitoli dell’Opus agriculturae sono stati tradotti da Brunetto Latini nel Tresor (cfr. supra, § 2.2.1).
122 Il testo è tràdito da tredici manoscritti (un quattordicesimo è andato perduto), la maggior parte dei quali, appartenuti a
nobili e regnanti, sono arricchiti da preziose miniature (sulle quali cfr. PERRINE 1985): Bruxelles BR 10227, Carpentras
BI 315 (L 311), Chantilly MC 340 (da cui è tratta l’immagine all’inizio di questo paragrafo), London BL Add. 19720, Royal 14.E.VI, New York PML 232, Paris BA 5064, BM 3589-3590, BNF Fr. 1316, 12330, 19084 (copia dell’editio
princeps del 1486), Rouen BM I.1 (977), Wien ÖNB 2580. Conserva invece una diversa traduzione incompleta il ms. Dijon
BM 453 (271), su cui cfr. NAÏS 1957, pp. 109-110. Il Rustican è stato pubblicato integralmente per l’ultima volta nel 1540
(Le bon mesnager, Paris, Estienne Caveiller), mentre una traduzione parziale in francese moderno è stata fornita da ROUBINET 1965. Sulla tradizione del testo e la bibliografia relativa cfr. la scheda consultabile sul portale ArLiMA,
all’indirizzo: <https://www.arlima.net/qt/rustican_du_labour_des_champs.html>.
123 L’ipotesi è di AMBROSOLI 1983, p. 20.
124 Un elenco delle traduzioni è fornito da AMBROSOLI 1983 p. 33, che tuttavia omette qualsiasi riferimento bibliografico:
«Anche il latino di Gottfried von Franken conoscerà il volgarizzamento in parecchie lingue prima di passare anonimo alle stampe: ne esistono tre versioni tedesche, una sveva e due bavaresi, ad esse seguono una in tedesco-boemo e un’altra in ceco, oltre a quella in inglese». Le traduzioni più studiate sono quella inglese e quelle tedesche. La traduzione in Middle
English, edita da BRAECKMAN 1989, è testimoniata da ventidue testimoni, dei quali quindici erano già noti all’editore:
Aberystwyth NLW Brogyntyn II.1, Cambridge (UK) TC O.1.13, R 14.32, UL Ee.I.13, Oxford BC 354, BL 591, Mus.
anche in arabo, e la loro successiva traduzione rappresenta un fenomeno tanto vasto e variegato quanto ancora bisognoso di un adeguato inquadramento filologico.
I volgarizzamenti dell’Opus agriculturae, assieme al corpus di riduzioni e relative traduzioni, costituiscono uno specimen significativo della civiltà medievale, sia per la ricchezza lessicale del testo, che ne rende la trasposizione da una lingua all’altra un’interessante fucina linguistica, sia per il suo legame con la cultura materiale che, indipendentemente dal tipo di fruizione, lo qualifica come oggetto significativo anche sotto il profilo storico.
Nel presente capitolo si illustreranno i principali volgarizzamenti antichi dell’Opus agriculturae, segnatamente quelli di area iberica e anglosassone (§ 1); per ciò che riguarda i volgarizzamenti toscani, rimandando l’analisi storica e filologica ai tre capitoli specificamente dedicati (IV-VI), si metterà qui in luce un esempio rilevante della loro fortuna letteraria (§ 2). Infine, si offrirà una rassegna delle traduzioni moderne del trattato di Palladio, dalle prime uscite a stampa nel sec. XVI ai più recenti strumenti di consultazione nelle lingue moderne (§ 3).