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La fortuna: il caso del «Libro di varie storie» di Antonio Pucc

2. L A FORTUNA DELL ’O PUS AGRICULTURAE NEL M EDIOEVO LATINO

3.2 I VOLGARIZZAMENTI TOSCAN

3.2.2 La fortuna: il caso del «Libro di varie storie» di Antonio Pucc

A differenza del testo latino dell’Opus agriculturae, al quale attinsero molti autori dei secoli successivi con citazioni anche cospicue (cfr. supra, § 2), i volgarizzamenti toscani non sembrano aver goduto di particolare fortuna letteraria. Nonostante il numero non trascurabile di testimoni manoscritti, infatti, il tipo di tradizione per noi ricostruibile porta a pensare che il Palladio volgare, nelle sue diverse traduzioni, fosse copiato perlopiù per ragioni di collezionismo librario, perché appartenente all’insieme di auctoritates latine di riferimento, mentre sono pochi i casi sicuri di una

172 Per una ricostruzione storica e filologica della tradizione dei tre volgarizzamenti si vedano i capitoli relativi ai singoli

testi (II-IV).

173 Dell’Eneide virgiliana sono noti due volgarizzamenti, il Libro d’Eneida anonimo (cfr. PARODI 1887, pp. 323-328) e la

traduzione del senese Ciampolo di Meo Ugurgieri (cfr. LAGOMARSINI 2018), cui si aggiungono i Fatti di Enea nella Fiorita

di Guido da Pisa (cfr. CARBONE 1868) e il volgarizzamento di una compilazione latina perduta realizzato da Andrea

Lancia (cfr. BERTIN 2007 e DOTTO 2013), quest’ultimo poi trasposto in volgare siciliano da Angilo di Capua di Messina

(cfr. FOLENA 1956). L’Ovidio amoroso (Ars amatoria e Remedia amoris) conta quattro traduzioni, di cui tre toscane e una

veneta (cfr. l’edizione di LIPPI BIGAZZI 1987), cui si aggiungono le traduzioni delle Metamorfosi di Arrigo Simintendi (cfr.

BASI – GUASTI 1846-1850) e di Giovanni Bonsignori (cfr. ARDISSINO 2001) e quella delle Heroides di Filippo Ceffi (cfr.

ZAGGIA 2009). Di Valerio Massimo, infine, si conoscono due volgarizzamenti toscani distinti, quello noto come Vb e

quello noto attraverso tre diversi stadi testuali, siglati Va, V1 e V2 (cfr. DE VISIANI 1867-1868 e LIPPI BIGAZZI 1996), cui

si aggiunge la traduzione messinese di Accurso da Cremona (cfr. UGOLINI 1967). Su tutti questi testi cfr. le relative Schede

DiVo: per Virgilio <http://tlion.sns.it/divo/index.php?type=opera&op=fetch&id=443&lang=it>, per Ovidio

<http://tlion.sns.it/divo/index.php?lang=it&op=fetch&text=ovidio&type=nome&id=323>, per Valerio Massimo <http://tlion.sns.it/divo/index.php?type=opera&op=fetch&id=163&lang=it>. Per un quadro critico aggiornato sul fiorire dei volgarizzamenti nella Toscana a cavallo fra Due e Trecento cfr. ZAGGIA 2009, pp. 3-49; per una riflessione sui

lettura mossa da interessi specifici.174 Si dovranno infatti attendere i lavori di spoglio lessicale degli

accademici della Crusca per assistere alla nascita di un interesse, in questo caso di tipo linguistico, per i volgarizzamenti dell’Opus agriculturae.175

In uno scenario complessivamente piuttosto spoglio, l’unico caso noto di citazione dei volgarizzamenti palladiani si rivela, anche per ragioni di altezza cronologica e di paternità, particolarmente significativo: a essere dichiaratamente ricavato da Palladio è infatti il capitolo 41 del Libro di varie storie del fiorentino Antonio Pucci, scritto intorno al 1362. Il primo ad accorgersi che il capitolo, una vera e propria compilazione dall’Opus agriculturae, dipendesse dal volgarizzamento I di Palladio fu Alberto Varvaro che, in un articolo del 1957 relativo alle fonti del Libro di varie storie, scelse tre passi del capitolo pucciano per metterli a confronto con i volgarizzamenti I e II: da tale confronto risultava che vi fosse un legame con il primo.176

In questa sede è parso opportuno allargare il confronto, per dare conto dei passi paralleli dell’intera silloge palladiana elaborata da Pucci; i tre esempi già segnalati da Varvaro sono marcati attraverso la sottolineatura, mentre i contatti significativi fra il testo del Libro e i due volgarizzamenti sono evidenziati con il grassetto; si è infine messo in corsivo, nel testo pucciano, l’unico passo per il quale non si sono rilevati paralleli in Palladio.

Libro di varie storie

(ed. VARVARO 1957)

Volgarizzamento I Fi BR 2238177

Volgarizzamento II Fi BML Plut. 43.13178

Ora diremo di Palladio. Palladio mostra che fosse un uomo che si spermentò molto ne’ lavorii delle terre e diessi molto al governo d’un suo giardino, dela cui dottrina, ad amaestramento di quelli ch ’n ciò si dilettano, brievemente alcuna cosa diremo.

Se poti avaccio avrai molti

sermenti, e se poti tardi

avai molte uve, e i lupini seminato d’agosto nella vigna la vigna guasta rifanno. In potare e in nestare usa taglienti ferri, e mantieni ne’ poggi bassa la vite quanto puoi; e ciò che fai in vite o in alberi fallo prima che fiorisca o germogli, e trasponi gl’alberi dopo la vendemmia.

[c. 5vb] Se poterai avaccio, molti

serme(n)ti; se tardi, molto fructo

aspecta.

[c. 74va] In questo mese (e) te(m)po si rifà la vignia, cioè semina(n)do nel giugero III

moggia o IIII di lupini...

[c. 5vb] In ogne opera di innestare, di potare, (e) di ricidare usa taglenti (e) duri

ferri.

[c. 31ra] Ne’ luoghi sottili (e) arçenti, et nele valli, (e) ne’ luoghi te(m)pestosi vuole esser più bassa...

[c. 5vb] In ogne chosa che è da fare i(n) vite o i(n) arbore, fallo ançi che mettano e fiori (e) che germoglino.

[c. 5vb] De’ luoghi cattivi, sì chome gli uomini così gli arbori si voglono

[1.6.4] Se per tempo poterai la vite farà più tralci, se tardi avrà più frutto.

[9.2.1] Questo mese se la terra è magra nella vigna e la vigna medesma è misura seminerai nel giugero tre o quatro moggia di lupini...

[1.6.4] In ogni opera d’inestare e di potare e di taglare usa ferramenti duri.

[3.12.3] Nelli luoghi magri isboglentati chinati e tempestosi si dee tenere più bassa...

[1.6.4] Fà che quelle cose che sono a fare nell’albero o nella vite ançi l’aprimento del fiore e della gemma germuglio.

[1.6.4] Sì come delli luoghi cattivissimi si vogliono li alberi trasporre a’ migliori luoghi, così altressì li uomini cattivi si

174 Si possono segnalare i casi di Fi BNC Palat. 562, testimone di I, in cui sono copiati in modo selettivo i soli capitoli

relativi all’arboricoltura (cfr. nella Parte terza il cap. III), e di Lu BS 1293, testimone del volgarizzamento III, in cui i capitoli sull’apicoltura sono raccolti a parte nelle ultime carte (cfr. nella Parte seconda il cap. I).

175 Cfr. il cap. II, § 4.

176 Cfr. VARVARO 1957, pp. 374-377; la tabella di confronto è a p. 376.

177 Si è preferito, qui e altrove, citare il testo del volgarizzamento I dal suo più antico testimone, Fi BR 2238 (alla base

anche dell’edizione ZANOTTI 1810), con indicazione del numero di carta; la trafila che ha portato dal testo di Fi BR 2238

all’edizione Zanotti è ricostruita nel cap. II, §§ 3.2.1-3.2.3.

178 Si cita il testo dalla Trascrizione del volgarizzamento II fornita nella Parte terza, cap. II, con indicazione di libro, capitolo e

La vite verde non tocare col

ferro.

Magliuoli sotterra di febbraio e così propaggina e ogni magliuolo è migliore da· lato della vite ch’è volta a levante.

Vuolsi ala terra mutar

seme di tre in tre anni,

salvo che cavoli, però che ’l grano seminato in più anni in medesima terra senza letame alcuna volta diventa segale. L’ulive del grande ulivo fanno meno olio che l’altre e più morchioso; piantare e cogliere ulive fa fare a’ fanciugli vergini e mondi. Ogni cosa che semini, semina a luna crescente e tempo

tiepido.

Luoghi umidi richieggiono più letame che’ secchi e i· letame de’ cavagli è migliore in prati che in altro, e di pecora, di capra, di colombi, d’asini, d’uomo e spazzatura di casa e cenere tutti sono buoni, di porco e d’uccegli d’acqua è pessimo.

Mandorli poni o semina di gennaio e se vuogli che le faccia tenere, innanzi che fiorisca alquanti dì bagna il pedale [e] le barbe con acqua calda; e se vuogli che sieno dolci poni ale barbe letame di porco; e vuolsi nestare di dicembre o di febbraio, togliendo le marze prima che mettano, e nestansi sotto la corteccia e sotto il tronco in su peschi e ’n su sosini.

Nesti si fanno in più modi: o mettendo il nesto tra la

corteccia e· legno, o

mettendo nel tronco e nela

corteccia insieme, o farlo

con impiastro. Nel primo modo fa’ che segato l’albero e ripulito il tronco abbi una stecca d’osso e mettila tra la buccia e· legno e nel foro metti poi il ramucello,

trasporre ne’ miglori. Doppo la buona

ve(n)de(m)mia strectam(en)te, doppo la picciola largame(n)te pota.

[c. 6rb] La vite tenera e verde n(on) ricidare cho(n) ferro.

[c. 27vb] ... voglionsi e magliuoli da porre scegliare che no(n) sieno di vite troppo i(n)fima (e) picciola, nè di troppo somma, (e) alta, ma sieno di vite di meçça mano...

[c. 33va] I ramuscelli si vogliono i(n)nestare che sieno novelli, fertili (e) nodosi, nati di nuovo, (e) dala parte dell’albore verso oriente si voglion tollare...

[c. 6ra] Choma(n)dano e Greci di mutare ogne seme di tre in tre anni, se n(on) se i cavoli.

[c. 6ra] Ogne grano nela terra uliginosa, se tre anni (con)tinui vi si semina, nel quarto anno si (con)verte i(n) segale. [c. 6rb] E Greci dicono, che ll’uliva del grande arbore fa meno olio, (e) più tardo, (e) più morchioso.

[c. 6vb] Choma(n)dano e Greci, qua(n)do si vuol piantar l’ulivo o choglare, che ’l facciano e fanciulli vergini (e) mo(n)di. [c. 6vb] Ogne chosa, che si semina a luna crescente, si vuole seminare i(n) te(m)po

tiepido.

[c. 7ra] El ca(m)po humido richiede più letame che ’l seccho.

[c. 13rb] La merda dell’asino tiene el primo grado, quella dela pecora el seco(n)do, (e) seco(n)do quello dela capra; poi è quel degl’altri giome(n)ti. Q(ue)l del porcho è pessimo, la cennere è optima. La cholo(m)bina è caldissima (e) nobile, (e) quel degl’altri uccelli, excepto q(ue)llo dell’ocha, el quale è pessimo.

[c. 22va] Lo ma(n)dorlo si semina di gennaio o di febbraio.

[c. 23ra-b] E dicesi che-l mandorlo farebbe le noci tenere se, ançi che fiorishca, p(er) alqua(n)ti dì le sue barbe si bagnino chon acqua calda. Et Matiale [sic!] dice che le ma(n)dorle advegnon dolci... se i(n)torno ala sua radice si metta letame di porcho.

[c. 23rb] El mandorlo si innesta del mese di dice(m)bre (e) VIII dì fra ge(n)naio. Ne’

luoghi freddi si i(n)nesti di febbraio, sì che ssi cholgano e ramuscegli da i(n)nestare ançi che germollino... Innestansi (e) sotto la corteccia (e) sotto ’l tronco (e) in sé (e) i(n) nel pescho.

[c. 33ra-b] Le tre generationi d’innestare so q(ue)ste: o di mettere il ramuscello tra

la corteccia e ’l legno, o di mettare nel

troncho (e) nela corteccia insieme, o di fare lo i(n)nesto co(n) i(m)piastro. Qua(n)to al p(ri)mo modo... Vuolsi chola segha ricidare l’arbore p(er) me’ dove vuoli i(n)nestare, (e) i(n) tal modo segare, che no(n) si magagni la corteccia, segandolo anchora i(n) luogho netto, (e) se(n)ça i(m)margini. (E) poi quella

vogliono cambiare a’ miglori. Dopo la buona vendemmia pota più strettamente, dopo la piccola più largamente.

[1.6.9] Non taglerai col talglio del ferro la

verde e tenera vite.

[3.9.5] Da elegere sono quelli magliuoli li quali noi propaginiamo della vite di meçço, non del sommo nè di sotto... [3.17.4] Li ramicelli che si debbono innestare sieno novelli et nodosi, fructuosi, di nuovo nati, taglati dalla parte orientale dell’albero...

[1.6.5] Li Greci voglono che, excettati li cavoli, di terço anno in terço si mutino ciascune cose.

[1.6.6] Ogni grano in terra non humidissima dopo la terça semente si muta in seghale.

[1.6.9] Li Greci dicono che l’olivo del grand’arbore fa li frutti minori e tardi e più morchia.

[1.6.14] Li Greci voglono che si operi da fanciulli e vergini...

[1.6.12] Tutte le cose che si seminano si debbono seminare in dìe temperati e la luna crescente...

[1.6.14] Il campo acquoso richiede più letame, il secco meno.

[1.33.1] Lo sterco delli asini è il primo e ’l miglore letame, poi quello delle pecore e delle capre e de’ giumenti; quello de’ porci è pessimo. Le cenere sono ottime, ma la colombina è caldissima, quello delli altri ucelli è assai utile, fuori che quello dell’oche e delle anitre.

[2.15.6] Lo mandorlo si semina di gennaio et di febraio...

[2.15.11] Sì come si dice farai tener li gusci alle mandorle in questo modo: ançi che fiorischano, scalçate le radici per alquanti dìe, acqua calda vi getta suso. D’amare mandorle si fanno dolci... se intorno le radici non metti letame o porcino letame. [2.15.12] Del mese di dicembre o di gennaio intorno alli xiii dìe s’innesta il mandorlo ne’ lluoghi caldi; nelli luoghi freddi di febraio. Ma se tu cogli li nesti ançi ch’egli germuglino... et innestasi sotto la scorça e nel legno e in sé e nel pesco [in

susino e a bucciuolo].179

[3.17.1] Questo sono le generationi d’innestare o sotto la scorça o nel troncho o con empiastro. Innesteremo quanto al primo modo dunque così l’albero o il ramo in luogo schietto, necto e sança margine

seghiamo non macagnando la scorça poi

la taglatura con aguti ferramenti puliremo. [3.17.2] Poi sì come uno conio sottile di ferro o d’osso massimamente leonino tra lla scorça e il legno presso a tre diti saviamente metteremo sì che non si rompa

adentro quattro occhi e di fuori ne campi due o tre, e se vi metti veschio non temperato non falliranno mai, ma fagli a luna crescente.

E a bucciuolo ottimamente si fanno di maggio e di giugno,

e le marze colte di gennaio e tenute nela terra in luogo umido e ombroso sono migliori. E nota che ogni albero fa più grossi e miglior frutti nestato, e ancora per innestare il salvatico diventa dimestico e per trasporre e lavorare.

Ancora, forando col succhiello l’albero infino al midollo e mettendovi il nesto grosso come ’l foro richiede, turato bene d’intorno con cera o terra, rade volte falla.

Pesco se vuogli che faccia le pesche senza noccioli, prendi un ramo di salcio grosso come braccio tuo e foralo nel mezzo infino al midollo e mettivi il nesto del pesco e ben turato torsci il salcio in arco e ambo i capi ficca in terra e adacqualo spesso e in capo dell’anno taglia da piede ambo i capi del salcio e traspollo a luna crescente e ricuopri di terra infino al pesco.

Ancora, se vuogli pesche di nuovo colore, quando i gusci del nocciolo che hai posto s’aprono, prendi l’anima e tignila di quel colore che

segatura ripulire molto bene col choltello, o cho(n) altro ferrame(n)to bene tagliente, (e) poi avere un cotal quasi aghuto che sia o di ferro o d’osso, (e) spetialme(n)te d’osso di leone (e) mettarlo tra la corteccia e ’l troncho adentro III

dita... Et inde ritratto fuor questo agutello, i(n)cho(n)tanente so(m)mettare ivi i(n) q(ue)l foro el ramuscello che tu vuoli i(n)nestare... El qual ramuscello rimangha VI dita o VIII di fuori

dall’arbore nelo quale i(n)nesti. Et i(n) q(ue)sto m(odo) puoi mettere due o tre ramuscelli...

[c. 33vb] ... ogne i(n)nesto s’appiglia se, quando sono e ramuscelli i(n)nestati, i(n)chontane(n)te i(n)sieme co·lloro si mette i(n) quella fessura de vescho no(n) te(m)parato...

[c. 33va] E fassi qua(n)do la luna crescie... [c. 70ra] Di q(ue)sto mese (e) di luglio si fa la i(m)piastragione, cioè i(n)nestar tra buccia (e) stipite.

[cc. 33vb-34ra] E Cholumella adduce el quarto modo d’i(n)nestare, forando l’arbore chol succhiello (e) purgando ’l foro i(n)fino che si tocchi il midollo, (e) i(n) quel foro mettere i ramuscelli grossi seco(n)do ’l foro, (e) puoi strignervi (e) premervi la terra biutosa, lasciando due ge(m)me, o tre di fuere [sic!] (e) poi richuprir bene choll’argiglia (e) cho(n) terra.

[c. 34ra-b] Uno Spagnuolo mi disse un’altra nuova generation d’innestare (e) dicea ch’avea sp(er)me(n)tato di torre un ramo di salce lu(n)go duo cubiti o più, grosso ad modo del braccio, (e) forarlo nel meçço (e) avere la novella pianta del pesco i(n) quel medesmo luogho là uv’ell'è barbata (e) spogliarla d’ogne ramuscello dintorno, lasciando la vetta solame(n)te, (e) metterla i(n)gegnosame(n)te chola mano p(er) lo foro di quel salce (e) quel medesmo ramo del salce ficchare i(n) terra da ogne capo ad modo d’archo piegandolo (e) quel foro rinbiutar molto bene (e) stringerlo col legame. (E) co(m)piuto l’anno, qua(n)do sarà el pescho bene i(m)marginato chola midolla del salce, vuolsi tagliare la pianta del pesco di sotto (e) traspia(n)tarla altrove (e) rilevare (e) crescere tanto ivi la terra, che richuopra l’archo del salce tutto i(n)fino

al pesco, chup(re)ndo quel chapo del

pescho (e) naschono le pesche sença noccioli.

[c. 88vb] Dicono e Greci che nascon le pesche scripte se, qua(n)do è posto ’l nocciol, dipo’ VII dì qua(n)do comi(n)cia

ad aprire (e) apresi, si tolga (e) aprasi, e scrivasi nelo spicchio co(n) cinabro q(ue)le

la fascia della scorça e in quello modo sottratto il conio incontanente vi metteremo il nesto dal’una parte taglato a schincio salva la midolla e la scorça dell’altre parte il qual ramicello rimanga sopra l’albero sei over otto dita. [3.17.3] Et così ordineremo due o tre o più nesti... [3.17.6] Uno sollicito e savio lavoratore disse a me che ogni nesto sança dubbio s’appigla s’è incontenente messo in nesto vescovo [sic!] non temperato...

[3.17.4] Ma ciascuno di questi innestamenti si dee fare di primavera e a luna crescente...

[7.5.2] Et questo mese nelli frutti si fa lo inestamento et di luglo lo quale si chiama impiastramento...

[3.17.7] Columella ne raccontoe la quarta generatione d’innestare in questa guisa che si dovea forare infino alla medolla dell’albero con succhiello francesco inchinata lievemente dentro la fessura purghi il foro e in quello mette nesto di vite o d’albero grosso al modo del foro facto poi mettervi e priemervi e strignervi entro terra biuotosa [sic!] lasciata di fuori una o due gemme. Allora cuopri diligentemente il luogo con arçilla et con musco...

[3.17.8] Uno sperto spagnuolo mostroe a me questo modo d’inestare il quale dicea sé avere provato di pesco, elli disse che si forasse nel meçço uno ramo di salce grosso come ’l braccio solido lungo due cubiti o più et la pianta del pesco in quello medesmo luogho nel quale è spoglata di tutti li rami solo il capo lasciato inducere per lo forame del manico del legno, allora quello medesmo ramo del salice l’uno capo e l’altro sotterato si debbono inchinare a ssimiglança d’arco et il forame strignere con loto et muschio et vinchi, poi passato l’anno da che il capo della pianticella si sarà appiccata infra la midolla del salce che de’ due corpi sia facto uno misto si dee taglare la pianta di sotto e trasporrella et accrescere la terra la quale possa coprire l’arco del salice colla cima del pesco. Quinci nascono pesche sança noccioli

[12.7.3] Affermano li Greci che le pesche nascono scritte se tue sottererai li nocciuoli suoi e dopo VII dìe poi che cominceranno a

uscire fuori quelli aperti trane fuori

vuogli che sieno le pesche e rimettila nel luogo suo, e di questo non ti maravigliare, ch’io Antonio Pucci n’ho mangiate di più colori, come che nate sieno, non ch’io però apruovi che sia così. Gigli e rose poni di febbraio, e gli rosai vecchi si vogliono propagginare, e allora puoni viuole e gruogo, e se vuogli tosto le rose innaffia spesso le barbe con acqua calda due o tre volte il dì, e se vuogli della rosa bianca colta fare vermiglia, puoni un bichiere pieno di vino vermiglio al fuoco e alla rosa fa ricevere il fummo che n’esce, e così a fare della vermiglia bianca fa con vin bianco;

e se vuogli serbare la rosa dopo l’altre, metti la boccia della rosa in uno bucciuolo di canna verde e ficalo in terra presso a· rrosaio senza spicarla, e quando vuogli che

s’apra la ne cava a tempo

ch’ella veggia il sole.

E se vuogli avere uve senza granella, fendi per mezzo il magliuolo e cavane il midollo tanto quanto ne dee andae sotterra, e poi nel vuoto mettere vinaccia o altro licore che tu volessi che ’l vino ne sapesse, e poi lega stretto con legame di bambagia e pollo in terra umida.

lettare che ti piace (e) poi, racco(n)cio, ristri(n)ge e ghusci (e) risotterra.

[c. 36ra] Di questo mese si pognono e rosai... Et aguale porremo e gigli... [c. 36rb] Et aguale e rosai antichi si sarchiano (e) lavorasi loro a piede (e) quegli che so radi si rinfondon chole p(ro)pagini.

[c. 36rb] Anche le piante dele viuole aguale si pongono e ’l gruogo...

[c. 36rb] E chi vuol p(er) te(m)po le rose, chavi a piè del rosaio adentro due palmi, (e) i(n)fondavi co(n) acq(ua) calda due fiate el die.

[c. 85rb] E dicon esser q(ue)sta la natura dele viti, che se si fa cenner dela vite biancha, la qual cener mischi nel vino, farà divenire el vin bia(n)cho. (E)-l cener dela nera farà ’l vino nero, ad q(ue)sta mis(ur)a: che nel dolio del vino, il quale [ ]fbre X, cioè forse una soma, mettasi di

cenere un moggio, cioè forse un nostro staio, e lasciato star così III dì, poi si

cuopra e dopo XL dì troverai el vino

vermiglio dive(n)tato bia(n)cho, e ’l bia(n)cho vermiglio.

[c. 68va] Le rose n(on) ancho ap(er)te s(er)berai se, stando loro anchor nel rosaio, fenderai una cha(n)na, che sia ivi fitta, verde (e) v(er)de p(er)magna, (e) i(n) quella fessura ri(n)chiuderai la rosa (e) lassa rico(n)iu(n)gere la fessura. E poi qua(n)do vorrai che la rosa s’apra, taglia ivi la ca(n)na, sì che la rosa sie fuori all’aria.

[c. 44va] È bella spetie d’uva la quale no(n) à granella (e) fassi in questo modo, seco(n)do e greci dottori. Vuolsi torre el magliuol da porre (e) tanto fenderne

p(er) meçço qua(n)to ne diè stare

sotterra, (e) trarrene fuori tutto ’l midollo (e) rilegare stretto co(n) legame di banbagia (e) piantare i(n) terra humida. Et alcuni quel cotal magliuolo diligentem(en)te chosì acco(n)cio attuffano nel bulbo dela squilla, d(e)l cui beneficio affermano che ogne chosa che ssi pone s’appre(n)de più leggierme(n)te. Altri so che, quando si potano le viti, el più fruttifero tralce dela vite su ad alti [sic!] qua(n)to possono el fendono i(n) giù, standosi nela vite medesma (e) chava(n)ne fuori el midollo, (e) leganolo ad una