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L’educazione al consumo

4.1.2 (Sicurezza e) tutela del risparmio Rinvio.

I L CONSUMO NELLA DISCIPLINA GIURIDICA INTERNA

2. Il Codice del Consumo: un’analisi pubblicistica.

2.2. Analisi del diritto positivo 1 Definizion

2.2.6. L’educazione al consumo

Resta infine da affrontare un’ultima disposizione, che nella progressione logica dell’atto di consumo verrebbe prima di tutte le altre e che, tuttavia, la sua attuale configurazione giuridica ha consigliato di esaminare solo a conclusione del nostro discorso: parliamo ovviamente della «educazione del consumatore», concepita dall’art. 2 del Codice come un vero e proprio diritto soggettivo.

Al di là delle intenzioni, tuttavia, va chiarito come la configurazione di questo diritto verta attualmente in condizioni di ampia indeterminatezza, minando la sua diretta applicabilità. La disposizione relativa (art. 4), infatti, non va molto oltre la definizione della finalità dell’educazione al consumo, per

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cui «l’educazione dei consumatori e degli utenti è orientata a favorire la consapevolezza dei loro diritti e interessi, lo sviluppo dei rapporti associativi, la partecipazione ai procedimenti amministrativi, nonché la rappresentanza negli organismi esponenziali» e la precisazione secondo la quale «le attività destinate all’educazione dei consumatori, svolte da soggetti pubblici o privati, non hanno finalità promozionale, sono dirette ad esplicitare le caratteristiche di beni e servizi e a rendere chiaramente percepibili benefici e costi conseguenti alla loro scelta; prendono, inoltre, in particolare considerazione le categorie di consumatori maggiormente vulnerabili».

Sulla base di queste pur scarne indicazioni normative, si può qui tentare di svolgere qualche considerazione di interesse giuspubblicistico. È ovvio, infatti, che sebbene la norma in sé non sia in questo momento – fin quando cioè non verranno specificati i soggetti depositarî del corrispettivo obbligo (o dovere?) di educare e gli specifici contenuti di questa educazione – in grado di garantire gran chè al consumatore, il futuro della protezione di quest’ultimo passa inevitabilmente da questo stretto.

È lo stesso testo della disposizione a suggerirlo, quando parla di «consapevolezza» dei proprî diritti ed interessi, di «chiara percezione» dei benefici e dei costi riconducibili alla scelta di beni e servizî di cui le caratteristiche devono essere «esplicitate», e dunque non soltanto rese note. E lo conferma anche la Relazione di accompagnamento, quando parla di principî dell’educazione del consumatore: essa consisterebbe nel «processo mediante il quale il consumatore apprende il funzionamento del mercato e la cui finalità consiste nel migliorare la capacità di agire in qualità di acquirente o di consumatore dei beni e dei servizi, che sono giudicati maggiormente idonei allo sviluppo del proprio benessere»; pertanto «in tale contesto, il processo educativo (…) si limita a evidenziare quali attributi dell’offerta siano da valutarsi per poter inferire le prestazioni del prodotto, e quali attributi, seppure non visibili o non valutabili a priori, siano maggiormente influenti sulle prestazioni. Inoltre, l’educazione, deve permettere al consumatore di conoscere la dinamica temporale e causale con cui i legami fra attributi e prestazioni siano soliti manifestarsi. Pertanto, il richiamo all’educazione del consumatore è volto all’esemplificazione delle caratteristiche tecniche che rendono percepibili e misurabili i diversi attributi dei prodotti, nonché i loro effetti nel tempo. A

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questo obiettivo si affianca il fine di limitare le più frequenti distorsioni percettive di cui i consumatori soffrono in fase di raccolta, elaborazione e valutazione delle informazioni relative alle diverse categorie di beni e servizi da acquistare».

La figura di consumatore che si scorge in controluce dietro a questi intenti promozionali è quella di un soggetto non soltanto esposto alle intemperie legate alla suo essere isolato sul mercato, contrattualmente debole e sprovvisto di quelle informazioni di cui avrebbe bisogno per orientare le proprie scelte. È soprattutto quella di un individuo ancora largamente inconsapevole di vertere in questa situazione: privo, pertanto, delle chiavi di lettura che gli consentono di valutare criticamente i proprî interessi e di sfruttare adeguatamente quei diritti che pure l’ordinamento gli riconosce, bombardato da una galassia di informazioni che, quando si è carenti delle precondizioni culturali per decriptarle, anche se scritte in italiano rischiano di avere la stessa utilità di un geroglifico tradotto in sumero.

Se chiara è la posta in palio – banalmente, l’intera efficacia di tutte le tutele precontrattuali, antecedenti l’atto di consumo in senso stretto, e di buona parte di quelle successive – e relativamente chiari sono i contenuti che vorrebbero veicolarsi attraverso l’educazione al consumo, rimane decisamente inappagante il livello di approfondimento in ordine ai soggetti che dovrebbero impartirla. Normativamente è previsto che possano essere sia pubblici, sia privati e l’attenzione si è normalmente appuntata su questi ultimi, fin quasi a ritenere – anche sull’onda di tendenze affermatesi a livello europeo – chiusa la partita299.

Attesa la propedeuticità del diritto all’educazione al godimento effettivo di molte altre situazioni giuridiche soggettive di vantaggio garantite dal Codice al consumatore e all’utente, tuttavia, questa soluzione non pare priva di inconvenienti: se è vero che l’assunzione di compiti educativi da parte delle

299 Così ROSSI CARLEO, Art. 4, in Codice di Consumo, cit., 116 s.: «un primo nodo appare risolto: quello relativo alla individuazione tenuti alla attività di educazione. Appare evidente che, così come in ambito europeo, anche in ambito nazionale si tende ad assegnare essenzialmente alle associazioni dei consumatori l’attività formativa e divulgativa finalizzata all’educazione. Sviluppare il livello di conoscenza del mercato e degli strumenti di tutela a disposizione del consumatore costituisce, senza dubbio, uno dei compiti essenziali delle “formazioni sociali che abbiano per scopo statutario esclusivo la tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori”, diritti e interessi che vanno, ovviamente, tutelati anche, o meglio principalmente attraverso attività di promozione».

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associazioni dei consumatori è un dato auspicabile, esso non è coercibile, e quindi – in assenza di un’attivazione in tal senso da parte dei privati, e senza che siano individuate alternative fra i soggetti pubblici – in questo modo si rischia che la disposizione di cui all’art. 4 rimanga confinata nel limbo della programmaticità, rendendo inefficaci (o comunque, molto meno efficaci) anche le altre guarentigie dei consumatori.

In questa prospettiva non pare rinunciabile che, accanto all’intervento dei privati – che può essere ovviamente promosso e sostenuto, anche economicamente, magari subordinando il finanziamento proprio all’organizzazione di attività educative di cui si dovranno pur sempre definire i contenuti – da parte della Repubblica, quest’ultima intervenga anche “in prima persona”, individuando all’uopo organi e programmi specifici.

In tal senso, è bene sottolinearlo, non sembra potersi evincere dal quadro costituzionale vigente un generale obbligo dello Stato di educazione del consumatore, ma si può riflettere intorno all’esistenza di doveri statali con riferimento a specifiche situazioni e si possono almeno (tentare di) individuare delle linee per un possibile intervento positivo, indicando i principî costituzionali che potrebbero valere da guida al futuro Legislatore. Operazione, questa, che – conformemente agli obiettivi indicati in premessa sotto la locuzione ‘disciplina giuridica’ – non pare una semplice proposta de jure condendo, bensì una ricognizione della situazione normativa attuale che rileverebbe fin da sùbito in caso di intervento normativo a livello primario.

Il discorso pare, ancora una volta, dover essere differenziato a seconda delle posizioni giuridiche soggettive del consumatore coinvolte: un conto saranno la protezione della salute e del risparmio, un conto le altre posizioni potenzialmente pregiudicate dal fenomeno del consumo. Rispetto alle prime due, si è a suo tempo notato come già a livello normativo superprimario sia riscontrabile – sia pure con alcune differenze, visto che la salute costituisce (anche) un diritto individuale di libertà, mentre la tutela del risparmio è un dovere per lo Stato cui non corrisponde un diritto soggettivo del cittadino a livello costituzionale – una protezione sufficientemente definita nei suoi contenuti e tale da offrire amplissima copertura costituzionale ai successivi interventi legislativi di supporto, quand’anche andassero a limitare la libertà di iniziativa economica. Qui interessa piuttosto un ragionamento sulle

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conseguenze che questa tutela espressa già a livello costituzionale comporta sui pubblici poteri.

In presenza dei beni costituzionali della salute (e del risparmio), infatti, non pare incongruo riflettere sul significato che può assumere il criterio del buon andamento (nell’organizzazione dei pubblici uffici da parte della legge) di cui all’art. 97 Cost.. Non sembra infatti coerente che, là dove sono garantiti dei diritti costituzionali, lo Stato non si faccia in qualche modo carico di garantirne efficacemente quelle stesse precondizioni che egli (Stato) finisce – attraverso la previsione a livello legislativo del diritto all’educazione – per riconoscere essenziali. Una volta che si riconosce, insomma, come l’educazione al consumo sia una premessa necessaria per l’efficacia del diritto alla salute, non pare pretendibile che la Repubblica lasci la tutela di questa premessa alla buona volontà del soggetto privato, atteso che tutto ciò pare incompatibile (quanto meno) col principio di buon andamento dell’amministrazione. Senza considerare poi l’eventuale ripercussione sul principio di uguaglianza di cui all’art. 3, primo comma Cost., per cui in assenza di un intervento pubblico, l’azione dei privati potrebbe essere non solo assente, ma anche differenziata sul territorio, introducendo inaccettabili disuguaglianze fra i cittadini rispetto all’effettivo godimento di un identico diritto fondamentale. Alla luce di queste considerazioni, un intervento diretto dello Stato in favore dell’educazione al consumo non sembra soltanto una possibilità prevista dalla legge (qual è il Codice del Consumo), ma anche un dato costituzionalmente prescritto300.

Questo per quel che riguarda le posizioni del consumatore direttamente tutelate già a livello costituzionale. Per quel che invece attiene agli altri diritti del consumatore definiti a livello legislativo l’obbligo di intervento del soggetto pubblico può sempre argomentarsi dal principio del buon andamento, ma solo con riferimento al criterio per cui lo Stato, una volta che abbia “lanciato il sasso” garantendo (a livello legislativo) un diritto soggettivo all’educazione, non possa impunemente “tirare indietro la mano”, subordinando l’efficacia di questo diritto (e indirettamente anche quella di tutti gli altri che da questo dipendono) ad un’attivazione solo eventuale dei privati.

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È ben vero, tuttavia, che in questo caso – attesa la mancanza di un collegamento diretto con precise situazioni giuridiche costituzionali di vantaggio – il vincolo che può trarsi per l’(organizzazione legislativa della pubblica) amministrazione non ha le stesse caratteristiche di stringenza degli abiti giuridici di doverosità precedentemente esaminati. Infatti, tanto quanto il Legislatore costituzionalmente può – beninteso, entro certi limiti –, non già deve, garantire a livello legislativo posizioni di vantaggio per il consumatore ulteriori rispetto a quelle previste in Costituzione, tanto quanto egli (Legislatore) può decidere di graduarne discrezionalmente la tutela, sebbene questo inevitabilmente finisca per comportare incoerenze nel progetto prescrittivo perseguito.

Il profilo della compatibilità costituzionale di queste ultime – legato com’è a criterî scivolosi come quello della ragionevolezza, in alcune delle sue declinazioni, e a quello dell’eccesso di potere legislativo, che rischiano sempre di degenerare in valutazioni politiche discrezionali di esclusiva spettanza (nel bene e nel male, nel sistema vigente) parlamentare – è controverso e non sarà qui affrontato. Ci si limita ora invece a segnalare – su un piano, è bene sottolinearlo, più di semplice buon senso che di logica giuridica in senso stretto – come operativamente, qualora si ritenesse sussistente un dovere dello Stato di intervenire in favore dell’educazione al consumo quando questa sia riconnessa a determinati beni costituzionali (come la salute), difficilmente una razionale programmazione di questa prestazione educativa potrà andare disgiunta da un confronto col fenomeno del consumo inteso in senso lato (e non limitato, quindi, solo ad alcuni specifici beni), come del resto è confermato a sufficienza già dagli spunti della Relazione di accompagnamento al Codice precedentemente citata.

Con le osservazioni sviluppate intorno all’educazione al consumo può ritenersi conclusa anche l’analisi della disciplina positiva del Codice.

300 Altro (e diverso) discorso – di cui qui non ci occuperemo – è poi ovviamente la possibilità di far valere il contenuto di questa prescrizione attraverso gli strumenti che il controllo di costituzionalità vigente offre contro l’inerzia del legislatore.

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3. Il consumo al di là del Codice: il consumo finanziario

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