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Utilità sociale e funzionalizzazione della libertà di iniziativa economica privata

4.1.2 (Sicurezza e) tutela del risparmio Rinvio.

4.5. Utilità sociale

4.5.1. Utilità sociale e funzionalizzazione della libertà di iniziativa economica privata

Rispetto al primo profilo, bisogna anzitutto capire se norme di vantaggio per i consumatori possono risultare coperte dalla clausola dell’utilità sociale, da sola o – come pare più probabile – in connessione con altre norme della costituzione che ne precisino l’ambito applicativo. A tal riguardo sovvengono le riflessioni, invero piuttosto risalenti, di coloro che hanno visto (anche) nella clausola in parola, l’indizio della funzionalizzazione della libertà di iniziativa economica all’utilità generale. È ben vero che dette riflessioni tendevano a ricondurre l’area dell’utilità sociale a quella dei lavoratori subordinati e che l’equiparazione di questi ai consumatori è già stata sottoposta a critica, e tuttavia – atteso che la funzionalizzazione dell’iniziativa economica privata agli interessi dei lavoratori pareva derivare dalla condizione di debolezza di questi ultimi rispetto alla produzione, debolezza che il consumatore sembrerebbe condividere – non si ritiene inutile dedicare qualche rapido passaggio all’argomento nella prospettiva di una sua possibile lettura

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“aggiornata”, che sostituisca la posizione del lavoratore con quella del consumatore.

Le posizioni a favore della funzionalizzazione della libertà di iniziativa economica si fondano sul duplice presupposto (1) della generale subordinazione dei diritti soggettivi al bene comune e (2) della diretta applicabilità, senza bisogno di ulteriori specificazioni, della clausola dell’utilità sociale dell’art. 41, secondo comma Cost..

Rispetto al primo punto, con un argomento basato sull’art. 4 Cost., si osservava come «nel sistema della Costituzione, ogni ulteriore specificazione della garanzia della personalità umana ha la sua ragion d’essere sul presupposto che tale personalità si esplichi attraverso un’attività socialmente utile nel senso indicato dall’art. 4 II comma», mentre questa norma «lascia alla libera scelta dell’individuo la specie di attività, che egli intende svolgere, limitandosi a indicare le caratteristiche più generali dell’attività stessa ai fini della garanzia del suo svolgimento. La quale è prevista soltanto per l’ipotesi di un’attività che “concorra al progresso materiale o spirituale della società”»166. Rispetto al secondo profilo, si sosteneva come la norma del secondo comma dell’art. 41 «non è e non può essere, in alcun modo, ritenuta programmatica, perché essa ha contenuto precettivo nel più rigoroso significato del termine. Essa, infatti, non determina un fine per la cui attuazione sia necessaria la progressiva creazione di norme nuove, ma serve a fissare i caratteri sostanziali e i limiti funzionali di certe situazioni giuridiche individuali nel quadro dell’ordinamento vigente»167.

Questa proposta di ricostruzione teorica della libertà di iniziativa economica è stata in seguito sviluppata soprattutto da Luciano Micco168, il

quale viene a svolgere un ragionamento fondato sul combinato disposto degli artt. 41, secondo comma Cost., 4, secondo comma Cost., e 3 Cost..

L’iniziativa privata, si dice, per ottenere protezione costituzionale, ha da essere prima di tutto ‘economica’ – mostrandosi così già intrinsecamente funzionalizzata, atteso che la funzionalizzazione si evincerebbe non dai limiti,

166 NATOLI, Limiti costituzionali all’autonomia privata nel rapporto di lavoro, cit., 94 e 95. 167 I

DEM, Op.supra cit., 97.

168 M

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ma dal contenuto stesso del diritto in parola169 – là dove l’aggettivo

‘economica’, lungi dall’iterare il significato del linguaggio comune, rimanda ad una ben precisa scelta del Costituente, codificata nell’art. 4 Cost., per cui economica è soltanto quell’attività che «concorra al progresso materiale o spirituale della società»170. La società verso cui si dovrebbe tendere, dal canto suo – e qui l’art. 3 specificherebbe il disposto dell’art. 4, che a sua volta precisava il senso del 41 –, è nient’altro che quella «organizzazione politica, economica e sociale del Paese» cui tutti i lavoratori hanno titolo per partecipare effettivamente: «per essere “economica” (e quindi anche libera, poiché, inevitabilmente, come per ogni libertà, lo può essere solo nell’ambito definito dall’ordinamento), l’attività dell’operatore privato (come mezzo di produzione della ricchezza, presupposto per il rinnovamento della società), deve contribuire al progresso sociale (art. 4 Cost., secondo comma) soprattutto soddisfacendo al dovere in questione, il cui contenuto è qualificato dalla norma-chiave della Costituzione quanto alla definizione, da parte dell’ordinamento, di un certo modulo di convivenza sociale (art. 3 Cost., secondo comma). E cioè: questa economicità viene definita da un lato dall’esistenza della garanzia dell’iniziativa privata, come specificazione di

169 Cfr. I

DEM, Op. supra cit., 261: «come abbiamo già osservato a proposito del dovere di destinazione

sociale della proprietà (…), così per quello gravante sull’operatore economico privato (ossia derivante dalla sua nuova posizione di socius, oltre che di singulus e di civis), la concessione della garanzia non è, a ben vedere, totale, salvo le limitazioni del secondo e terzo comma, come si afferma di frequente (…), ma concettualmente in se stessa limitata dalla sua riduzione al valore-lavoro, e cioè dal dover essere “economica” nel senso chiarito»

170 Cfr. I

DEM, Op. ult. cit., 259: «l’iniziativa privata si identifica con la produzione della ricchezza

mediante l’utilizzazione di beni strumentali: ebbene, questa produzione è vincolata ad una economicità individuata dall’ordinamento, in modo che tale iniziativa sia diretta alla costruzione della società a cui si è accennato, e dia ragione, in tale maniera, della garanzia costituzionale (sia pure graduata quanto ad intensità), risultante dalla sua riduzione al valore lavoro»; ma v. anche IDEM, Op. cit., 271: «abbiamo

già rilevato, da un lato, che la funzione di limite nel primo capoverso della disposizione citata serve unicamente alla esplicitazione della “economicità” che deve essere intesa come coessenziale alla nozione stessa di iniziativa privata, e, dall’altro, che l’utilità sociale rappresenta un principio riassuntivo della tutela costituzionale del fattore-lavoro nei confronti dell’organizzazione che l’utilizza, ed opposto a quest’ultima proprio (come è ovvio avvenga, dal punto di vista sistematico), nella sede della proclamazione della relativa garanzia di cui serve a graduare l’intensità»; cfr. ancora Idem, Op. cit., 271-273, dove, in relazione alle due parti del secondo comma (utilità sociale e altri limiti) dell’art. 41 Cost., si osserva come «ambedue questi limiti servono ad esplicitare l’economicità dell’iniziativa privata, ossia il suo momento funzionale nei confronti del lavoro. La differenza fra di loro… è proprio quella indicata dalla Costituzione. L’utilità sociale riguarda, come si dirà, la non contraddittorietà dell’iniziativa privata (che, cioè, deve essere “economica” in questo senso) con il lavoro inteso come fattore di produzione. La tutela dei valori della sicurezza, libertà e dignità rappresenta invece una proiezione, per quanto attiene i rapporti di lavoro fra privati, del principio personalistico (art. 2 Cost.)».

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quella generale della personalità, e dall’altro dall’incidenza, su quest’ultima, dell’istanza sociale, che contempera la tutela dell’interesse individuale con la protezione della libertà ed eguaglianza di soggetti appartenenti alle categorie più volte ricordate (art. 3 Cost., secondo comma)»171.

Per quel che più interessa ai fini di un’analisi sui profili del consumo, se è ben vero che Micco pensava certamente ai lavoratori (rectius: al fattore- lavoro) come a quei soggetti, rispetto all’interesse dei quali l’utilità sociale verrebbe a coincidere172, è altrettanto vero che il dato non pare l’unico estrapolabile dall’art. 3, secondo comma Cost. – che se parla di «effettiva partecipazione dei lavoratori» all’organizzazione del Paese come finalità della rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale», parla anche di «pieno sviluppo della persona umana» –, dal quale prima facie non parrebbe impossibile argomentare anche la posizione del consumatore (come soggetto svantaggiato, almeno in parte qua), sempre sulla scorta della considerazione secondo cui «la garanzia dell’utilità sociale rappresenta, a nostro avviso, l’assunzione degli interessi di determinate categorie in quello dello Stato alla loro protezione»173.

Disgraziatamente, tuttavia, la via ora accennata non pare punto percorribile, a causa della complessiva fragilità della posizione teorica finora esposta.

In primo luogo, atteso il carattere palesemente programmatico degli artt. 3, secondo comma Cost. e 4, secondo comma Cost., invocare un loro combinato disposto per trarne una conclusione normativa (tanto precisa e perentoria) come la funzionalizzazione di un diritto di libertà sembra non rispondere a quei canoni di stringenza (maggiore possibile) che abbiamo a suo tempo indicato come necessarî per il concetto di ricostruzione logico- sistematica: tutt’al più, sulla base delle norme desumibili da queste

171 M

ICCO, Op. cit., 260.

172 Cfr. I

DEM, Op. supra cit., 284-285: «l’art. 41 Cost. parla di utilità, e quindi di vantaggio, il che, ci

sembra, rechi con sé una connotazione necessariamente attiva (staremmo per dire, progressiva, in armonia con il programma dell’art. 3 Cost., secondo comma), la quale accezione è in accordo non solo con le caratteristiche del sistema formale dei rapporti economici (e con il concetto di democrazia sostanziale), bensì, ripetiamo, anche con le premesse materiali della nostra Carta. Nelle quali è innegabile ritrovare, come componente determinante, per quanto concerne l’elemento della forza politica, quelle categorie, le cui utilità sono, nel modo che si è detto, oggettivabili, si pongono, insomma, su di un medesimo piano di esigenza di garanzia da parte dello Stato contemporaneo. Queste utilità, così tipizzate, possono essere ricondotte al concetto di fattore-lavoro».

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disposizioni, si potrebbe pensare di ritenere la funzionalizzazione della libertà di iniziativa economica una delle opzioni possibili – e non invece l’unica, come qui viene presentata – per la realizzazione del programma costituzionale in ordine all’organizzazione economica del paese.

In secondo luogo, l’operazione ermeneutica attraverso la quale si vuole ricavare l’esigenza di una funzionalizzazione di cui all’art. 41 Cost. attraverso la specificazione che deriverebbe dall’aggettivo ‘economica’ pare del tutto forzata, atteso che – se è pur vero che il linguaggio giuridico può discostarsi, talora anche sensibilmente, da quello comune, in forza della sua complessiva funzione prescrittiva – in questo caso l’inserimento della citata disposizione nel Titolo III, dedicato appunto ai «rapporti economici» e disciplinante sia la posizione del lavoratore subordinato, sia quella della sua controparte contrattuale, parrebbe chiaramente deporre contro una lettura che subordinasse (addirittura strutturalmente) gli interessi dei secondi a quelli dei primi e tendere piuttosto ad un’accezione “lata” di economia.

In terzo luogo – ed il punto è strettamente legato al precedente –, il tenore letterale dell’art. 41, primo comma Cost., una volta superato l’equivoco legato all’aggettivo ‘economica’, configura con sufficiente chiarezza un diritto di libertà, che per sua natura non pare funzionalizzabile174. Discorso questo

valido in generale, ma ancor di più nel caso del rapporto fra libertà di iniziativa economica e utilità sociale, atteso che «dal fatto che l’utilità sociale costituisce un limite allo svolgimento dell’iniziativa privata si desume che essa non ne è il fondamento»175.

In quarto luogo, pare erronea pure l’identificazione fra utilità sociale e interessi dei lavoratori subordinati, atteso che – come è stato convincentemente sottolineato – «sociale, qui, non è che equivalente di se stesso, espressione cioè

173 M

ICCO, Op. cit., 281.

174 V. anche MINERVINI, Contro la «funzionalizzazione» dell’impresa privata, in Riv. dir. civ., 1958, 618 ss. e BUONOCORE, Di alcune norme del codice civile in tema di impresa, in rapporto al principio

di «utilità sociale» di cui al comma 2° dell’art. 41 della Costituzione, in Banc. bors. tit. cred., 1971, 195-197.

175 M

AZZIOTTI, Il diritto al lavoro, Milano 1956, 155. A ciò si aggiunga il rilievo di CAVALERI,

Iniziativa economica privata e costituzione, cit., 22, che osserva come una lettura “funzionalizzante” della libertà di iniziativa economica finirebbe per non lasciare spazio «ad ipotesi intermedie in cui l’iniziativa economica privata non sia, al contempo, né socialmente utile, né in contrasto con l’utilità sociale».

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della società nel suo insieme»176, in modo tale che «va escluso che l’utilità

sociale coincida con l’interesse di categorie sfavorite, a meno che la crescita di quelle categorie non comporti la parallela crescita della società nel suo complesso»177. Ed il rilievo, ovviamente, vale tanto per i lavoratori subordinati, quanto per i consumatori.

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