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4.1.2 (Sicurezza e) tutela del risparmio Rinvio.

I L CONSUMO NELLA DISCIPLINA GIURIDICA INTERNA

2. Il Codice del Consumo: un’analisi pubblicistica.

2.1. Scopo e struttura del Codice del Consumo

2.1.1. Scopo del Codice

In aggiunta a quanto si è già detto, lo scopo del Codice è chiarito dallo stesso art. 1 dell’atto normativo in parola – significativamente rubricato «finalità ed oggetto» –, che dispone come «nel rispetto della Costituzione ed in conformità ai principi contenuti nei trattati istitutivi delle Comunità europee, nel trattato dell’Unione europea, nella normativa comunitaria con particolare riguardo all’articolo 153 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea, nonché nei trattati internazionali, il presente codice armonizza e riordina le normative concernenti i processi di acquisto e consumo, al fine di assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori e degli utenti». Disposizione, questa, dalla quale si possono già ricavare non poche informazioni utili ai nostri fini di analisi.

Anzitutto è possibile ravvisare una differenza fra le fonti sovra-ordinate rispetto al Codice, ovvero la Costituzione e gli atti comunitarî o internazionali: nei confronti della prima il Codice si pone (rectius: si deve porre) in un rapporto di non contraddizione – «nel rispetto della Costituzione», con un’espressione che pone più l’accento sul dato negativo del mancato contrasto254 –, rispetto ai secondi il vincolo è di «conformità», il che sottolinea come il compito del Codice sia quello di sviluppare (anche) in positivo la disciplina dettata da questi atti. Il che, peraltro, sembra perfettamente coerente da una parte con la peculiare natura degli atti europei in parola – e particolarmente delle direttive, che richiedono il recepimento (e la specificazione) da parte di atti di diritto interno –, e dall’altra sia con la generale funzione della Costituzione di semplice limite per un Legislatore che rimane pur sempre tendenzialmente libero nel fine, sia con la particolare

254 L’affermazione si ritiene valida ancorché, ovviamente, non si ignori come l’imposizione di un obbligo di ‘rispetto’, in rapporto al contenuto prescrittivo di un atto normativo (e quindi anche della Costituzione), possa comportare anche doveri conformativi e non soltanto di astensione (dal produrre atti contrari). Nondimeno, il contesto all’interno del quale l’espressione «nel rispetto della Costituzione» è inserita finisce, nel suo giustapporsi alla «conformità» espressamente prescritta per il contenuto degli atti europei ed internazionali, per avvalorare la sfumatura semantica sostenuta nel testo.

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situazione del consumo, per il quale manca una disciplina espressa (e sarebbe quindi difficile ipotizzare obblighi positivi).

Un conto, tuttavia, è descrivere ciò che dovrebbe essere, un conto è realizzarlo. E siccome l’enunciazione di un intento da parte del Legislatore non può escludere che poi egli lo disattenda nel corso della sua successiva attività normativa, ecco che si profila il primo compito di un’analisi in prospettiva pubblicistica: la verifica dell’effettivo rispetto da parte del Legislatore dei principî costituzionali coinvolti nella materia del consumo. Tecnicamente – ai sensi dell’art. 117, primo comma, là dove questo prevede come «la potestà legislativa è esercitata (…) nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali – questo presupporrebbe anche la verifica circa la conformità del dettato legislativo rispetto al contenuto degli atti internazionali e comunitarî, nonché del rispetto dei principî e dei criterî della legge delega. Di questi profili, tuttavia, ci si occuperà qui solo marginalmente. Per quel che attiene alla conformità con le prescrizioni della legge delega, infatti, non sembrano porsi – e tanto meno sono stati sollevati – particolari dubbî di legittimità costituzionale. Per quel che riguarda la conformità al diritto comunitario (ed internazionale), invece, un’analisi non superficiale di tutte le direttive richiederebbe spazî, tempi ( probabilmente anche conoscenze) esorbitanti i fini della presente indagine: ci si limiterà pertanto alla segnalazione di eventuali macro-dissonanze, lasciando a più competenti l’analisi di dettaglio.

In seconda battuta, dalla disposizione citata in apertura di paragrafo si specifica – peraltro, con evidente riferimento all’art. 153 del Trattato CE – quale sia il fine del provvedimento, ossia quello di «assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori e degli utenti», col che già si prefigura l’equiparazione fra le due figure soggettive (consumatore di beni e utente di servizi), che verrà poi sviluppata nel successivo art. 3 del Codice.

La finalità di garantire un elevato livello di tutela, tuttavia, non coincide con un incremento del diritto sostanziale a protezione del consumatore – a meno di non considerare gli artt. 107, commi 6, 8 e 9, e 136, comma 4, lettera h, seconda parte, le cui norme avevano prima rango secondario e dunque risalgono di un gradino la piramide (azteca) delle fonti –, ma semplicemente con un’opera di riordino ed armonizzazione: il consumatore sembrerebbe

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quindi potersi giovare più della chiarezza e della sistematicità del nuovo Codice che di nuove norme legislative a suo favore, essendosi ritenuto l’acquis normativo già sufficiente. A ben vedere, tuttavia, due ulteriori aspetti connessi all’operazione di ‘riordino e armonizzazione’ possono essere segnalati.

Il primo attiene alle conseguenze che se ne vogliono far discendere in tema di rapporto fra competenze statali e regionali in materia: nessuna armonizzazione potrebbe aspirare a reale efficacia, infatti, se poi potesse esplodere in un pulviscolo di interventi regionali: per dirla con le parole della Relazione di accompagnamento «appare evidente (…) la necessità di dettare regole uniformi sul territorio nazionale, con la finalità di tutela dei consumatori, per non alterare la “condizione di eguaglianza giuridica”, cui hanno diritto i soggetti residenti in ogni località del Paese. L’esigenza di omogeneità di trattamento, oltretutto, va affermata nell’ambito territorialmente ancora più ampio delle disposizioni di rango comunitario, le quali tutelano in modo coerente il consumatore che agisce nel mercato interno dell'Unione europea. Una frammentazione della disciplina, infine, contrasterebbe non solo con l’articolo 3 della Carta costituzionale, ma anche con le stesse finalità istituzionali dell’Unione europea. L’articolo 153 del Trattato, insieme alle numerose direttive comunitarie di tutela del consumatore, hanno lo scopo di migliorare la posizione giuridica dei consumatori e rimuovere le barriere al mercato interno che ancora sopravvivono, per la difformità delle discipline statali o per le lacune degli ordinamenti». Pertanto, un’armonizzazione (prima di tutto) a livello nazionale non soltanto sarebbe uno strumento utilizzato dal Codice per perseguire le finalità di «elevato livello di tutela», ma diventerebbe pure – in quanto prescritto dallo stesso diritto comunitario (che ex art. 117 I Cost., lo si ricorda, vincola sia il legislatore statale che quello regionale) – un mezzo necessario. Dunque, a sua volta, un fine in sé.

Il secondo profilo riguarda invece l’estensione della materia (normativa) oggetto di armonizzazione e riordino. Essa (materia), infatti, non si limita ai profili essenziali (si potrebbe dire: necessarî) dell’atto di consumo, bensì assai più latamente attiene ai «processi» di acquisto e di consumo, comprendendo così – come meglio vedremo fra un istante – anche le premesse del rapporto di consumo in senso stretto. In questo senso, un riordino e un’armonizzazione che insistano su questo più vasto complesso di norme integrano senz’altro un

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ulteriore elemento di protezione per il consumatore, se non altro rendendo esplicito all’interprete il nesso teleologico (la comune ratio di specifica tutela) che lega le diverse disposizioni disciplinanti ambiti (giuridicamente) anche piuttosto eterogenei.

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