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Gli effetti nel Paese investitore

DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTER

2.5 Gli effetti degli IDE

2.5.1 Gli effetti nel Paese investitore

La preoccupazione principale dei Paesi di origine degli IDE è che questi implichino un trasferimento di risorse, le quali avrebbero potuto essere investite nell’economia nazionale, portando ad un maggior benessere nella nazione. In particolare, è molto diffuso il luogo

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comune secondo cui investire all’estero significa tagliare posti di lavoro in casa propria e ridurre le attività economiche nazionali.

Se questo può in qualche modo essere vero nel breve periodo, l’effetto degli IDE nel lungo periodo è molto più complesso e, in linea generale, a favore dell’economia nazionale. Al fine di comprendere in maniera più precisa gli effetti degli IDE sull’economia del Paese di origine, distinguiamo i vari ambiti che possono essere influenzati da tale fenomeno, con esiti spesso controversi.

Il mercato del lavoro

Il primo aspetto da tenere in considerazione è l’effetto degli IDE sulla composizione degli

input produttivi utilizzati nel Paese di origine, con particolare riferimento alla forza lavoro.

Lo spostamento di attività economiche all’estero comporta una riduzione della domanda di lavoro domestico e, di conseguenza, un minor livello di occupazione.

Nell’analizzare gli effetti degli IDE sulla forza lavoro, risulta opportuno distinguere a seconda che si tratti di investimenti orizzontali o verticali.

Per quanto riguarda gli investimenti verticali, essi prevedono il trasferimento della filiera produttiva verso i Paesi a basso costo del lavoro, con il preciso obiettivo di razionalizzare i costi di produzione. Di conseguenza, il trasferimento delle attività dal Paese di origine ad altre aree geografiche, comporta una fisiologica riduzione nelle assunzioni domestiche. Nel caso degli investimenti orizzontali invece, la questione si presenta più delicata. Essi sono realizzati principalmente per consentire all’impresa di raggiungere una maggiore vicinanza al mercato locale e solitamente comportano la delocalizzazione di una parte delle operazioni svolte nel Paese di origine. In questo caso gli effetti sono legati alla relazione di complementarietà o sostituibilità tra l’occupazione domestica ed estera. L’evidenza empirica dimostra come l’occupazione nella casa madre è complementare nelle filiali localizzate in Paesi a basso costo del lavoro mentre è un sostituto rispetto al lavoro nei Paesi industrializzati. In linea generale, l’occupazione domestica ed estera sono complementari soprattutto se il costo dei fattori produttivi è diverso nei due Paesi considerati. La presenza di una relazione di complementarietà fa sì che un IDE orizzontale non comporti una generale diminuzione dell’occupazione ma una perdita di posti di lavoro meno qualificati, in quanto le attività de localizzate sono solitamente quelle a minor valore aggiunto, che richiedono una manodopera non specializzata. A fronte di una minor domanda di lavoratori “blue-collar” si verifica spesso un contemporaneo aumento di forza lavoro “white-

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collar”, più qualificata in mansioni terziarie all’interno dell’impresa. Questo si verifica in

quanto le imprese tendono a mantenere nel Paese di origine le attività a maggior valore aggiunto come il management, il marketing, il R&D, ma anche le fasi di progettazione, design, finanza, amministrazione e controllo.

Quando l’IDE è orientato alla penetrazione dei mercati, l’effetto positivo sull’occupazione è particolarmente evidente poiché L’IDE agisce da moltiplicatore degli affari e mira ad un allargamento della quota di mercato detenuta dall’impresa, implicando spesso l’assunzione di nuova forza lavoro anche nel mercato domestico.

Gli IDE non influenzano solo la quantità e la qualità di assunzioni ma anche l’intensità di manodopera usata nelle attività svolte nel Paese di origine, per un dato livello di output. L’intensità di lavoro può variare in entrambe le direzioni. Se l’impresa decide di svolgere a casa solo gli stadi di produzione a impiego intensivo di capitale o di acquisire all’estero nuove tecnologie o know-how, essa può diminuire. Al contrario, essa può aumentare qualora l’investimento estero dell’impresa sia supportato da servizi di controllo e gestione localizzati nella casa madre o il lavoro domestico risulti più produttivo rispetto a quello straniero.

Queste considerazioni permettono di evidenziare come la realizzazione degli IDE non sia necessariamente dannosa per il livello occupazionale del Paese di origine in quanto gli effetti sono strettamente correlati con il tipo di investimento effettuato e le scelte della singola impresa.

Produttività

Il secondo aspetto da considerare, assumendo il punto di vista del Paese investitore, è l’influenza degli IDE sulla produttività delle attività domestiche. In altre parole, è necessario capire se le imprese diventano più efficienti dopo aver effettuato un IDE Secondo quanto sostiene Barba Navaretti, ci sono almeno tre ragioni per cui l’apertura di stabilimenti all’estero può colpire la produttività domestica55: lo sfruttamento di economie

di scala a livello di impresa e di impianto; il cambiamento nella composizione degli input usati per la produzione; l’apertura di nuovi canali per la trasmissione e la diffusione a livello internazionale di competenze tecniche e manageriali. Queste fonti possono influire sulla

55 Barba Navaretti G., Castellani D., Does investing abroad affect performance at home? Comparing Italian multinational

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produttività dell’impresa sotto sia in senso positivo che negativo. La produttività può aumentare se, ad esempio, lo sfruttamento di economie di scala a livello di impresa compensa l’aumento di costo dovuto alla riduzione della scala di produzione a livello di impianto; oppure, se i benefici derivanti dal minor costo del lavoro nell’area geografica estera non sono compromessi dalla perdita di posti di lavoro vitali e competenze nell’impresa domestica.

Dal punto di vista empirico, Barba Navaretti e Castellani affrontano la questione effettuando un confronto tra imprese nazionali e attività domestiche di imprese che investono all’estero. Essi riscontrano un effetto positivo e significativo degli investimenti esteri sulla produttività totale dei fattori, siano essi rivolti a Paesi industrializzati o in via di sviluppo. In particolare, nel caso di IDE verso Paesi industrializzati, l’effetto è importante in entrambi i Paesi coinvolti e, in genere, è determinato da un aumento della scala delle attività produttive.

Il commercio con l’estero

Sulla relazione esistente tra gli IDE e il commercio estero esiste un ampio insieme di studi empirici, condotti su dati di Paesi, di settori e di campioni di imprese.

La questione su cui gli studiosi hanno posto maggiore attenzione riguarda l’impatto degli IDE sulle esportazioni del Paese di origine, non determinabile teoreticamente in quanto esso combina effetti diversi, spesso di segno opposto. Da un lato, è chiaro che le forme di IDE, orizzontali o verticali, rimpiazzano una parte della produzione e delle esportazioni dell’impresa domestica. Dall’altro lato invece, gli IDE tendono a promuovere l’esportazione di beni intermedi, prodotti dall’impresa stessa o da fornitori locali, verso l’area geografica di destinazione.

L’impatto di queste variazioni non è determinabile in modo assoluto ma varia a seconda dei casi e dipende, in particolar modo, dall’influenza che gli IDE hanno avuto sulle vendite totali dell’impresa. Più è alto l’incremento delle vendite straniere e più è probabile che le perdite subite dall’impresa a livello di esportazioni di prodotti finiti, siano compensate dall’aumento di esportazioni, in termini di beni intermedi.

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Le numerose verifiche empiriche56 dei rapporti tra IDE e esportazioni portano a

concludere che essi siano piuttosto complementari che alternativi, almeno nel breve e medio periodo.