DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI NEL MONDO
OCEANIA E ALTR
3.4 Le imprese italiane all’estero ed estere in Italia
3.4.2 La multinazionalizzazione passiva
Il fenomeno della multinazionalizzazione passiva prende avvio dalla metà degli anni Ottanta quando, stimolate dalla prospettiva di un mercato unico continentale, molte imprese estere avevano deciso di investire i propri capitali in Italia. Come accaduto per la multinazionalizzazione attiva, anche in questo caso i dati disponibili per il settore manifatturiero consentono di condurre un’analisi più di lungo periodo (Tab. 3.17).
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Tab. 3.17 - Evoluzione del numero di imprese manifatturiere italiane partecipate da imprese estere, 1.1.1986 - 1.1.2009
Fonte: banca dati Reprint, Politecnico di Milano - ICE.
Nonostante il numero di imprese manifatturiere italiane partecipate da imprese estere risulti stabile o in leggero aumento, l’osservazione delle iniziative intraprese dalle imprese estere in Italia nel corso degli anni fornisce delle informazioni più precise. Esauritasi la spinta degli anni Ottanta, infatti, già dai primi anni Novanta l’interesse degli investitori nei confronti del nostro Paese è andato scemando, e con esso la numerosità delle nuove iniziative (Fig.3.18).
Fig. 3.18 - Nuove partecipazioni di imprese estere in imprese manifatturiere italiane, per anno, 1986-2009.
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Come evidenzia il grafico, un primo rallentamento avviene nel biennio 1991-1992, anni in cui il numero delle iniziative si è sostanzialmente dimezzato, e un secondo rallentamento nel biennio 1997-1998. In seguito si osserva una ripresa degli investimenti, che tocca il suo culmine nel 2000, con 219 nuove iniziative. Gli anni Duemila risultano invece caratterizzati da una dinamica altalenante. Secondo i dati più recenti tuttavia, il primo decennio del nuovo millennio sembrerebbe chiudersi con una vera e propria caduta del numero di iniziative, che già nel 2008 toccavano il livello più basso dell’ultimo ventennio.
Sul fronte settoriale, il commercio all’ingrosso e l’industria manifatturiera si confermano i settori che attirano il maggior numero di partecipazioni estere. Considerando nello specifico l’industria manifatturiera, le partecipazioni estere si concentrano soprattutto nei settori ad alta intensità di scala, che assorbono il 43,5 per cento degli investimenti esteri. Seguono i settori specialistici (22,8 per cento), quelli basati sulla scienza (22,3 per cento) e i tradizionali (7,7 per cento). Assumendo un’ottica di lungo periodo, si nota un netto ridimensionamento delle partecipazioni estere nei settori ad alta tecnologia, con la perdita di oltre il 22 per cento nel numero dei dipendenti delle imprese partecipate. La debolezza del sistema innovativo nazionale e la scarsa dotazione di assets nei comparti ad alta tecnologia, non implicano solo un ridimensionamento degli investimenti provenienti dall’estero, ma anche un diverso intento delle imprese estere che operano nel nostro Paese, interessate non tanto ad attingere alle nostre risorse innovative, quanto ad avere accesso al mercato domestico italiano e a svolgere attività di ricerca incrementale, volte all’adattamento dei propri prodotti alle necessità locali.
Se i settori del commercio all’ingrosso e del manifatturiero rappresentano gli ambiti di maggiore insediamento estero, è altrettanto vero che la loro dinamicità risulta modesta e in contrazione rispetto al passato. I settori che presentano tassi di crescita più elevati sono, infatti, le utilities e le costruzioni, il cui numero di addetti è aumentato rispettivamente del 352 e del 126 per cento nell’ultimo decennio. La forte crescita delle partecipazioni nel settore delle utilities si collega ai fenomeni di liberalizzazione e privatizzazione delle imprese che operavano in questi campi ed esprime, allo stesso tempo, la maggiore competitività delle imprese estere rispetto ai nostri operatori nazionali. E’ opportuno ricordare che i dati discussi in questa sede, sebbene siano i più recenti possibili, si riferiscono alla situazione censita all’inizio del 2009, quando gli effetti della crisi si erano manifestati solo in minima parte. Nel giro di quasi quattro anni la crisi ha colpito le imprese in modo molto più duro,
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con conseguenze pesanti su tutti gli indicatori considerati: la numerosità delle iniziative realizzate in Italia, il livello occupazionale delle imprese partecipate e il fatturato realizzato. Per quanto riguarda l’origine delle imprese estere presenti nel mercato italiano, i Paesi che risultano investire maggiormente in Italia sono i Paesi più industrializzati, quali l’Europa, il Nord America e il Giappone. Nello specifico, il 63,9 per cento dei dipendenti nelle imprese a partecipazione estere sono da attribuire ad investitori europei, contro il 28,4 per cento del Nord America e il 3,2 per cento del Giappone (Tab. 3.18). Negli ultimi anni si è osservata un’espansione degli investimenti provenienti da Paesi esterni alla Triade, con un incremento del 26,2 per cento nel numero degli investitori e del 91,9 per cento nel numero di addetti.
Tab. 3.18 - Le partecipazioni estere in Italia per origine geografica degli investitori, al 1.1.2009
Fonte: banca dati Reprint, Politecnico di Milano - ICE.
Accanto alla provenienza degli investitori esteri infine, merita attenzione la distribuzione delle imprese estere sul mercato nazionale, anch’essa riferibile al settore manifatturiero. Le imprese del Nord-Ovest appaiono in assoluto le più attrattive, ospitando il 56 per cento delle imprese a partecipazione estera e dei relativi dipendenti (Fig. 3.19). Segue il Nord-Est, con il 26 per cento delle imprese e il 20,6 per cento dei dipendenti, in ragione di una minore taglia dimensionale delle imprese partecipate. Le regioni del centro-sud presentano un netto distacco da quelle settentrionali. Nello specifico, le regioni del centro assorbono il 12 per cento delle imprese partecipate e il 15,8 per cento dei dipendenti, mentre quelle del sud il 6,1 per cento delle imprese e il 6,5 dei dipendenti.
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Fig. 3.19 – Distribuzione delle partecipazioni estere e dei dipendenti nell’industria manifatturiera italiana, per regione, all’1.1.2009, (valori in percentuale)
Fonte: banca dati Reprint, Politecnico di Milano - ICE
Nel corso degli anni questa ripartizione si è moderatamente trasformata: le variazioni positive hanno coinvolto soprattutto il Centro e il Nord-Est del Paese, mentre le partecipazioni localizzate nel Sud dell’Italia si sono ulteriormente ridotte, con contrazioni nel numero delle aziende e nell’occupazione molto più accentuate rispetto a quella delle altre zone.
Questa distribuzione conferma la tendenza degli operatori internazionali a compiere scelte “conservative”, frutto di decisioni orientate alla minimizzazione del rischio e al contenimento dei costi d’informazione, con prevalente insediamento nelle grandi aree metropolitane e nelle zone con una maggiore dotazione di fattori localizzativi.73 La
concentrazione territoriale degli attori internazionali finisce quindi per amplificare i punti di forza e di debolezza del nostro Paese, alimentando così la forbice che, da sempre, attanaglia l’economia italiana.
73 Mariotti S., Piscitello L., Elia S., “Spatial agglomeration of multinational enterprises: the role of information
externalities and knowledge spillovers”, Journal of Economic Geography, 2010.
56% 26% 12% 6% Imprese partecipate Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e Isole 56% 21% 16% 7% Addetti Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e Isole
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