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Gli effetti nel Paese ricevente

DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTER

2.5 Gli effetti degli IDE

2.5.2. Gli effetti nel Paese ricevente

Gli effetti prodotti dagli IDE nel territorio ospitante dipendono dalle condizioni in cui esso si trova. In un’area economicamente poco sviluppata e con un elevato tasso di disoccupazione, la realizzazione di un IDE ha buone probabilità di generare un effetto complessivamente positivo. L’impatto degli IDE tuttavia, è strettamente correlato anche al comportamento assunto dagli operatori locali che, con il loro atteggiamento, possono stimolare determinate azioni da parte dell’impresa estera, con effetto positivo sul sistema territoriale locale.

In via generale, l’impatto degli IDE sul territorio non può essere valutato in senso assoluto, ma deve essere contestualizzato rispetto alle specificità dell’area geografica ospitante e degli attori locali che ne fanno parte.

Come per il Paese investitore, anche nell’analisi degli effetti provocati dagli IDE nel territorio ricevente diventa opportuno distinguere i vari ambiti che, in modo più o meno rilevante, possono essere influenzati da un investimento diretto estero.

Il mercato del lavoro

L’impatto che gli IDE hanno sul mercato del lavoro va considerato anche dal punto di vista del Paese ricevente poiché gli effetti che può provocare sono tutt’altro che trascurabili. Gran parte del dibattito sviluppatosi negli anni su questo tema, si è concentrato sullo sfruttamento del lavoro da parte delle imprese estere localizzatesi nei Paesi in via di sviluppo, al fine di beneficiare dei differenziali salariali. A questo proposito sono necessarie due precisazioni. La prima riguarda il fondamento delle conclusioni tratte nel corso delle discussioni. Le argomentazioni portate a sostegno della tesi secondo cui le imprese investitrici sfruttano la forza lavoro locale, sono spesso basate su fatti eclatanti riguardanti alcune grandi imprese multinazionali, le cui azioni sono evidentemente contestabili e condannabili. Queste multinazionali rappresentano però nella realtà solo una minoranza

56 L’evidenza empirica è rintracciabile, dopo il report di Reddaway del 1968, negli studi svolti da Lipsey R.E. e

Weiss M. su dati statunitensi (1981 e 1984),nonchè da Blomstrom M. e Swedenborg B. su dati svedesi (1988 e 1979), fino ai lavori più recenti su dati di molti Paesi realizzati da Fontagné (1999), Head e Ries (2001), Blonigen (2001).

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delle imprese delocalizzate e il loro comportamento non può essere generalizzato a priori. E’ inoltre necessari precisare che, nel biasimare la condotta assunta dalle imprese estere, non vengono parimenti considerate le alternative proposte dal mercato del lavoro locale e dunque non viene effettuato un confronto tra le condizioni di lavoro offerte dalle imprese estere con quelle offerte dalle imprese nazionali.

Precisati questi aspetti, la questione dell’impatto degli IDE sul mercato del lavoro locale assume rilievo sotto diversi aspetti.

Per quanto riguarda l’effetto degli IDE sulla quantità dell’occupazione nel Paese estero, è opportuno distinguere l’investimento greenfield dalle M&A. In particolare, l’impatto dell’IDE

greenfield sull’occupazione è incontrovertibile, in quanto l’impresa investitrice installa nel

Paese ospitante una nuova capacità produttiva, che richiede forza lavoro aggiuntiva. Nel caso degli investimento M&A, l’effetto positivo tende ad essere negativo, almeno nel breve periodo, in quanto l’investitore esterno di solito apporta nella nuova unità operativa delle tecnologie più efficienti, che permettono di risparmiare lavoro, e spesso realizza dei programmi di ristrutturazione aziendale concepiti già quando valutava la convenienza dell’operazione. E’ possibile individuare effetti postivi nel medio termine qualora l’acquisizione abbia evitato il declino totale dell’impresa, con conseguente perdita di tutti i posti di lavoro. E’ opportuno sottolineare come l’IDE rifletta l’impatto occupazionale anche in modo indiretto: i nuovi piani di produzione potrebbero, infatti, influenzare la produzione dei fornitori locali, che a loro volta potrebbero essere spiazzati dall’importazione di componenti esterne o, al contrario, valorizzati e potenziati dall’impresa estera.

Considerando l’impatto degli IDE sulla qualità della forza lavoro e sul capitale umano, è necessario concentrare l’attenzione su tre effetti: i salari, la qualificazione del lavoratore e la volatilità dell’occupazione.

Sul piano retributivo, si osserva che le imprese a partecipazione estera tendono ad offrire remunerazioni complessivamente superiori rispetto a quelle medie delle imprese locali. L’evidenza empirica che le imprese estere paghino salari più alti, è coerente sia con il comportamento tenuto dai governi dei Paesi ospiti sia con gli obiettivi delle imprese stesse. Per quanto riguarda i policy makers, talvolta le leggi ed i regolamenti dei Paesi di destinazione discriminano le imprese nazionali da quelle estere, imponendo a queste ultime,

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implicitamente o meno, un diverso trattamento salariale, al fine di trattenere nel Paese una quota maggiore del surplus generato dall’impresa.

Dal punto di vista delle imprese, un primo aspetto importante è la necessità di mantenere degli standard lavorativi relativamente omogenei nei diversi Paesi in cui operano, avvalendosi quindi di una forza lavoro competente. Esse subiscono un problema di asimmetria informativa rispetto alle imprese nazionali, che rende difficile l’individuazione e l’attrazione di lavoratori bravi ma poco visibili. Esiste inoltre un problema legato alla riduzione del turnover dei lavoratori e di dissipazione sul mercato locale delle conoscenze assorbite lavorando nell’impresa estera. La mobilità dei lavoratori è uno dei principali canali di diffusione delle conoscenze tra le imprese, pertanto per le imprese estere è preferibile pagare salari più alti ma trattenere i lavoratori competenti, soprattutto se svolgono attività caratterizzate da un forte contenuto tecnologico o da competenze particolari.

Se è vero che le imprese estere pagano salari più alti, è altrettanto vero che esse richiedono al lavoratore una maggiore specializzazione. Questo è un fatto rilevante per il Paese di origine sotto due punti di vista. In primo luogo, se le imprese richiedono un lavoro qualificato, la loro presenza sul territorio aumenta l’incentivo all’investimento in capitale umano e dunque alla formazione professionale, con evidenti cadute sul livello di sviluppo economico del Paese. In secondo luogo, la realizzazione di IDE su una determinata area, stimola l’arrivo in quella stessa area di persone con elevata qualificazione, consentendo un trasferimento di competenze tra i lavoratori locali e i lavoratori esteri, che va a vantaggio del Paese di origine. L’impresa estera può anche favorire la crescita del tasso di imprenditorialità locale, incoraggiando in prima persona fenomeni di spin-off con l’obiettivo di acquisire in outsourcing attività che, per diverse ragioni, non sarebbe conveniente svolgere all’interno. Questo meccanismo risulta tanto più agevole quanto le imprese estere e nazionali riescono a fertilizzare reciprocamente le proprie competenze, grazie anche alla creazione di fenomeni collaborativi tra di esse.

Il terzo punto rilevante nell’analizzare gli effetti degli IDE sul mercato del lavoro nel Paese ospite, riguarda la volatilità dell’occupazione.

Gli investimenti delle imprese estere nel mercato locale sono spesso considerati meno stabili e duraturi di quelli realizzati delle imprese locali. In altre parole, l’occupazione nelle imprese a partecipazione estera è percepita come più volatile, con posti di lavoro precari e facilmente eliminabili. Vi sono due ragioni per cui l’occupazione potrebbe registrare nelle

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imprese estere un differente grado di volatilità rispetto alle imprese nazionali. La prima è che esse hanno un differente grado di esposizione agli shock internazionali, con ricadute implicite sull’occupazione. Se da un lato l’essere presente in più mercati comporta una diversificazione del rischio, è anche vero che questo aumenta la probabilità di essere colpite da uno shock, con una diminuzione della domanda di lavoro se lo shock è negativo. Ovviamente l’impatto sul Paese in questione dipende da quanto gli shock sono correlati tra i vari Paesi in cui l’impresa opera. La seconda ragione è data dal fatto che le imprese estere, avendo meno interessi di un’impresa nazionale nel Paese in cui operano, subiscono minori pressioni sociali e politiche e hanno maggiore potere contrattuale quando negoziano con le autorità e i sindacati locali. A volte questa posizione di forza permette loro di ottenere condizioni più favorevoli per quanto riguarda le assunzioni e i licenziamenti.

L’evidenza empirica, basata su un campione di imprese operanti in undici Paesi europei, non supporta però queste teorie. Dai risultati emerge che i dipendenti delle imprese estere hanno minori probabilità di perdere i loro posti di lavoro poiché, sebbene risentano maggiormente degli shock da domanda di lavoro e siano più veloci nel rispondere a tali

shock, esse modificano di meno la loro domanda. In altre parole, il numero di lavoratori che

vengono assunti o licenziati nelle imprese estere in seguito a delle variazioni nei salari o nella domanda di beni, è minore.

A conclusione dell’analisi svolta, è possibile affermare che l’impatto degli IDE sul mercato del lavoro dei Paese ospite è rilevante e, anche se talvolta controverso, consente una valorizzazione del capitale umano.

L’intensità di concorrenza nel mercato locale

L’insediamento di un’impresa estera nel mercato nazionale può comportare effetti considerevoli sulla concorrenza esistente in tale mercato. In linea generale è possibile affermare che la presenza di imprese estere porta quasi sempre ad un aumento della concorrenza nel mercato interno, con effetti positivi per i consumatori, per il settore di appartenenza e per le imprese locali con maggiore potenziale. Nello specifico, grazie ad una concorrenza più pressante, i consumatori possono godere di un ampliamento dell’offerta erogata dalle imprese, accompagnato da una diminuzione dei prezzi; le imprese locali meno efficienti sono automaticamente escluse dal confronto competitivo, con conseguente uscita dal mercato; le imprese locali più dotate vengono stimolate al miglioramento e al

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raggiungimento di determinati standard, necessari per competere alla pari con le imprese di matrice estera.

Ad un esame più attento pertanto, l’effetto degli IDE è tutt’altro che univoco.

Occorre in primo luogo distinguere la modalità attraverso cui l’IDE è realizzato, ovvero se si tratta di un’acquisizione o di un IDE greenfield. Nel primo caso, fa molta differenza se viene acquisita un’impresa che aveva una posizione di leader nel mercato locale o un’impresa meno forte; è probabile che solo in questa seconda ipotesi si avrà un reale aumento della concorrenza.

Gli effetti dipendono anche molto dalla struttura del mercato locale e in particolare dalla struttura dei costi dei settori in cui le imprese operano. Se ci sono economie di scala, l’entrata di un operatore estero potrebbe far diminuire le quote di mercato delle imprese nazionali, con conseguente aumento dei costi unitari e diminuzione della competitività. Infine, non si possono trascurare le motivazioni che spingono l’impresa estera a realizzare un IDE e che, con tutta probabilità, orienteranno i suoi comportamenti anche nell’ambito della concorrenza.

Nel caso di IDE realizzati da imprese multinazionali, si riscontrano tre condizioni particolari che portano ad effetti negativi sul sistema economico locale. Il primo caso è quello in cui l’operatore straniero raggiunge una posizione di dominio rispetto agli attori nazionali, instaurando un regime di oligopolio. Il secondo caso si verifica quando l’impresa multinazionale ha un peso talmente rilevante nel sistema economico estero in cui va a localizzarsi, da poter influenzare gli organi di governo e le istituzioni locali. In questa condizione l’impresa estera può indirizzare i comportamenti degli operatori pubblici verso decisioni a vantaggio del proprio valore economico ma magari negative per il sistema territoriale ospitante. Infine, è essenziale sottolineare la pressione competitiva che l’IDE può determinare sull’offerta locale di risorse, in particolare delle risorse umane. La imprese estere spesso godono di un maggiore potere di attrazione, causando un “effetto spiazzamento” a danno delle imprese locali e in particolar modo di quelle di dimensione minore, normalmente caratterizzate da una minore attrattività e potere negoziale nei confronti dei fornitori di risorse.

Analizzando l’impatto degli IDE sulla concorrenza locale dal punto di vista empirico, i risultati raggiunti dai vari studi non forniscono risposte univoche e coerenti. L’evidenza empirica è, infatti, piuttosto controversa a riguardo e dimostra come gli effetti dipendano da condizioni particolari, quali il grado di sviluppo dei settori coinvolti, la struttura del

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mercato e del settore, il periodo di tempo analizzato dopo l’entrata delle imprese estere nel mercato locale.

L’esito raggiunto dalle diverse analisi consente tuttavia di affermare che, in generale, l’impatto degli IDE è diverso a seconda che essi siano realizzati nei Paesi in via di sviluppo o in quelli sviluppati. Nel primo caso sembra prevalere l’effetto crowding out57, nel secondo

caso l’effetto spillover. In altri termini, tanto maggiore è il gap tecnologico esistente tra le due imprese, tanto è più facile che le attività delle imprese estere arrivino a sostituire quelle delle imprese nazionali; al contrario, se il gap è limitato, ci sono maggiori possibilità di interazione tra le imprese, con benefici per il mercato locale e gli attori che vi operano.

L’agglomerazione produttiva

Gli IDE possono avere effetto sulle economie nazionali in quanto generano effetti di

network e di aggregazione. L’insediamento in un determinato contesto di un’impresa

internazionale può rafforzare l’attrattività del territorio stesso, almeno per i soggetti che operano nella stessa filiera dell’impresa. Ovviamente tali effetti sono tanto più significativi quanto maggiore è la dimensione e la rilevanza competitiva dell’impresa e quanto più essa tende a stabilire con gli attori locali dei rapporti di collaborazione e interazione.

Trasferimento di conoscenza

Gli IDE non influiscono sul sistema territoriale ospite solo con la loro performance ma anche attraverso effetti indiretti sulla performance delle imprese locali.

Le imprese estere e le imprese nazionali possono interagire tra loro in diversi modi: possono commerciare tra loro, possono farsi concorrenza o possono instaurare delle relazioni non di mercato. Grazie alle relazioni che legano le imprese locali all’impresa estera, le informazioni, le conoscenze e le tecnologie in possesso della casa madre si diffondono nei Paesi dove essa è collocata, con conseguente beneficio per il Paese ospite. E’, infatti, noto che, nell’economia moderna, la conoscenza rappresenta un input tanto importante quanto i fattori produttivi capitale, lavoro e materie prime.

Esistono diverse modalità attraverso cui le imprese locali possono concretamente accedere alle tecnologie usate dall’impresa estera situata nel proprio territorio. Il primo

57 Analisi condotta per il Marocco da Haddad M. e Harrison A., “Are there positive spillover from direct

invesment? Evidence from panel data for Marocco.” in Journal of Development Economics, n. 42, 1993, pp.51-74, e per il Venezuela da Aitken B. e Harrison A., “Do domestic firm benefit from foreign invesment? Evidence from

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comportamento che le imprese locali possono adottare è il cosiddetto learning by observing, grazie al quale esse possono imitare le innovazioni tecniche o organizzative che le imprese estere introducono nel proprio modus operandi.58 Il successo dell’imitazione non è garantito

poiché l’effetto positivo delle tecniche utilizzate all’interno dell’impresa estera può essere correlato a fattori non imitabili, e spesso neppure facilmente individuabili, dall’impresa nazionale.

Il secondo canale attraverso cui la conoscenza può essere diffusa nelle imprese nazionali, è l’attivazione di legami contrattuali di tipo verticale tra le imprese estere e le imprese locali, ovvero i cosiddetti backward and forward linkages, rapporti produttivi con fornitori e subfornitori a monte (backward) e con clienti a valle (forward). I rapporti tessuti le imprese estere stimolano un miglioramento del livello tecnologico e della qualità complessiva delle imprese locali, in quanto queste ultime, per assolvere gli impegni contrattuali con le imprese estere, sono spesso indotte ad adeguare i propri prodotti o processi agli standard tecnologici richiesti dai loro interlocutori stranieri, sia in termini di qualità che di time-to-

market.

Le imprese estere, dal canto loro, possono favorire direttamente il rafforzamento dei fornitori stranieri in diversi modi. In primo luogo, possono fornire loro know how di prodotto, ad esempio tramite l’assistenza in sede di acquisto di materie prime, il design, le specifiche, determinati standard quali-quantitativi e tempistiche di fornitura. In secondo luogo possono trasmettere know how di processo, attraverso i macchinari da utilizzare, l’organizzazione dell’impianto, testing e controlli di qualità e assistenza tecnica. Infine, le imprese estere possono contaminare quelle locali con la loro cultura manageriale, che non si esprime solo dal punto di vista organizzativo attraverso la gestione delle scorte, il marketing o il canale distributivo, ma anche mediante la formazione ai manager, ai tecnici o alle altre figure professionali operanti nell’impresa locale.

Non sempre tuttavia la trasmissione delle conoscenze avviene secondo modalità programmate dal’impresa estera. Quando le informazioni superano i confini aziendali senza che vi sia una precisa volontà dell’azienda di diffonderle, spesso la causa è imputabile a un ulteriore canale di diffusione delle conoscenze: le relazioni informali. In questo caso i meccanismi di trasmissione avvengono al di fuori delle specifiche transizioni di mercato, sotto forma di esternalità tecnologiche, che non generano alcun beneficio diretto

58 Blomström M., Kokko A., “Multinational Corporation and Spillovers”, Journal of Economic Surveys, vol.12, n.

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all’impresa estera. La trasmissione avviene nei momenti e nei luoghi meno scontati. Ad esempio mentre i manager delle imprese nazionali ed estere si incontrano in un luogo di ritrovo e si confrontano su determinate tematiche, mentre fanno attività sportive insieme o semplicemente perché sono conseguenze non previste di scambi regolati da specifici contratti. Un caso piuttosto diffuso è quello secondo cui le imprese nazionali che svolgono una fase di assemblaggio, imparano ed assimilano molto più sui componenti e sulla tecnologia di quanto l’impresa estera possa prevedere. L’imprevedibilità di queste esternalità rende impossibile definire contratti in gradi di comprendere tutti i possibili fattori che le caratterizzano. L’impossibilità di redigere contratti completi spiega, almeno in parte, la nascita di imprese multinazionali: esse preferiscono svolgere transazioni interne attraverso una sussidiaria piuttosto che delegarle al mercato, con il rischio dell’imitazione. Dopo aver individuato le modalità, più o meno dirette, attraverso cui l’impresa estera può trasferire all’esterno le proprie conoscenze, è opportuno svolgere delle ulteriori considerazioni. Occorre innanzitutto considerare che la consistenza di tale opportunità é condizionata dalla presenza di due fattori59: l’effettiva disponibilità nell’impresa estera di

conoscenze utili al sistema territoriale locale e la volontà di trasferire tali conoscenze ai soggetti locali.

In seconda analisi, l’entità e la pervasività degli effetti prodotti dagli IDE appare strettamente correlata alle condizioni specifiche del Paese e del settore in cui vengono realizzati. A questo riguardo, il fattore che più conta è la cosiddetta “capacità di assorbimento” delle imprese nazionali, determinata nella maggior parte dei casi dal gap tecnologico esistente tra il Paese di origine dell’investimento estero e quello di destinazione. I trasferimenti tecnologici sono, infatti, positivamente correlati al divario iniziale tra i Paesi, poiché se le imprese estere investono in un settore del Paese ospite già sviluppato, almeno in parte, trovano un contesto più ricettivo e in grado di valorizzarne l’impatto. Solo se le imprese locali interagiscono efficacemente con l’impresa estera e prendono parte attivamente al processo di apprendimento, gli spillovers di conoscenza emergeranno positivamente. E’ pertanto possibile affermare che, affinché gli spillovers tecnologici possano avere luogo, le imprese locali devono possedere una soglia minima di tecnologia, al di sotto

della quale non gli effetti positivi degli IDE risultano non fruibili.60

59 Caroli M.G., Globalizzazione e localizzazione dell’impresa internazionalizzata, Franco Angeli, Milano 2000, p.462.

60 Castellani D., Zanfei A., “Multinational Experience and the Creation of Linkages with Local Firms.

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Capitolo 3

LA DIFFUSIONE

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