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L’Italia nello scenario mondiale

DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI NEL MONDO

OCEANIA E ALTR

3.3 La posizione dell’Italia

3.3.1 L’Italia nello scenario mondiale

Nello scenario che è stato descritto, può essere valutata la posizione dell’Italia. Anche in questo caso, per rendere l’analisi il più chiara ed esaustiva possibile, verrà mantenuta l’originale distinzione tra flussi in entrata e in uscita.

Nella tabella sottostante viene sintetizzata la posizione dell’Italia nel panorama mondiale (Tab. 3.7).

Tab. 3.7 – Flussi di investimenti diretti esteri in entrata dall’Italia, 1970-2011 (valori in milioni di dollari, % detenuta dall’Italia sui flussi mondiali)

Flussi in entrata 1970-1979 1980-1989 1990-1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Mondo 23.969 92.900 402.598 1.400.541 827.617 627.975 586.956 744.329 980.727 1.463.351 1.975.537 1.790.706 1.197.824 1.309.001 1.524.422 Italia 588 1.924 4.252 13.375 14.871 17.055 19.424 20.126 23.291 42.581 43.849 (10.835) 20.077 9.178 29.059 %Italia sul mondo 2,5 2,1 1,1 1,0 1,8 2,7 3,3 2,7 2,4 2,9 2,2 -0,6 1,7 0,7 1,9 Flussi in uscita 1970-1979 1980- 1989 1990- 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 Mondo 28.276 93.543 418.791 1.226.633 747.657 528.496 570.679 925.716 888.561 1.415.094 2.198.025 1.969.336 1.175.108 1.451.365 1.694.396 Italia 298 2.000 8.046 6.686 16.003 11.372 2.174 14.283 39.362 43.797 96.231 67.000 21.275 32.655 47.210 %Italia su mondo 1,1 2,1 1,9 0,5 2,1 2,2 0,4 1,5 4,4 3,1 4,4 3,4 1,8 2,2 2,8

Fonte: UNCTAD, basato su FDI stocks and flows database, 2012

Sul fronte degli IDE in entrata, come evidenziato dai dati UNCTAD, il peso del nostro Paese appare in calo dagli anni Settanta fino al termine degli anni Novanta: nel dettaglio, l’incidenza media dell’Italia sui flussi mondiali in entrata era pari al 2,5 per cento negli anni ’70, al 2,1 per cento negli anni ’80 ed è scesa all’1,1 per cento negli anni ’90. Dal 2000,

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anno in cui si registra il primo picco di IDE a livello mondiale, si assiste ad un inversione di tendenza anche nella realtà italiana. I flussi in entrata duplicano rispetto al 1999, passando da 7 miliardi a oltre 13 miliardi di dollari. Questo trend positivo continua fino al 2007, anno in cui l’Italia attrae capitali per un valore superiore a 43 miliardi di dollari: gli investimenti diretti esteri in entrata raggiungono il massimo storico non solo a livello mondiale ma anche nel nostro Paese. Secondo i dati UNCTAD, il 2008 segna invece il minimo storico: i flussi in entrata si riducono bruscamente, fino ad assumere segno negativo (- 10 miliardi di dollari). Gli ultimi tre anni infine, registrano una dinamica altalenante: dopo la ripresa del 2009, che vede un incremento dei flussi fino a 20 miliardi di dollari, nel 2010 si verifica una nuova contrazione, tanto che i capitali in entrata dimezzano.

Per quanto riguarda i flussi mondiali di investimenti esteri in uscita, nel corso degli anni Settanta il peso dell’Italia era sostanzialmente irrisorio, intorno all’1 per cento. La rilevanza del nostro Paese su questo fronte evolve a partire dagli anni ’80, decennio in cui le uscite di capitale verso l’estero sono gradualmente aumentate, passando dai 54 miliardi del 1980 al 207 miliardi del 1990. Gli anni Novanta subiscono invece un susseguirsi di alti e bassi, con un’incidenza media dell’Italia pari al 1,9 per cento, che rimane tale anche nei primi anni del nuovo millennio, quando il valore degli investimenti si aggira intorno ai 10 miliardi di dollari. Tra il 2005 e il 2010 i flussi di capitale in uscita originano nuovamente una dinamica altalenante, toccando nel 2007 il valore massimo di 96 miliardi di dollari. In questo periodo l’Italia mantiene una quota media pari al 3,2 per cento, con punte del 4,4 per cento raggiunte nel 2005 e nel 2008.

Il 2011 sembrerebbe dare buoni segnali di ripresa sia per i flussi di capitale in uscita che in entrata, ma l’incertezza dello scenario economico non permette di trarre conclusioni certe per il futuro, tanto più se basate su previsioni o ipotesi.

Scendendo nel dettaglio dei singoli Paesi, le figure 3.4 e 3.7 dipingono una chiara immagine della posizione italiana. Pur riuscendo a rientrare tra prime quindici economie mondiali, essa rimane indietro rispetto ai principali competitors europei. Con riferimento alla classifica mondiale relativa ai 20 maggiori Paesi investitori, infatti, l’Italia si colloca al quattordicesimo posto nella, mentre nella classifica sui maggior Paesi destinatari, occupa la dodicesima posizione.(Fig. 3.7 e 3.10).

- 126 - 3.3.2 L’Italia nello scenario europeo

Osservando la situazione italiana in relazione allo scenario europeo, non può sfuggire un’ineludibile evidenza: il grado di internazionalizzazione dell’Italia tramite investimenti diretti esteri è nettamente inferiore rispetto ai maggiori Paesi europei, quali Regno Unito, Francia e Germania, sia sul lato degli investimenti in uscita che sul lato degli investimenti in entrata.

Il ritardo italiano non è certo un dato recente: come evidenziato nelle tabelle riguardanti gli investimenti diretti esteri dei diversi Paesi europei, l’Italia risulta staccata dai principali Paesi europei fin dagli anni ’70 e, nonostante l’alternarsi di momenti più o meno favorevoli, non è mai riuscita a colmare questo gap (Tab. 3.5 e 3.6). I dati UNCTAD del 2011 confermano l’andamento storico, sia per i capitali in entrata che per quelli in uscita.

Scendendo nel dettaglio dei flussi in entrata, l’Italia occupa il sesto posto nella classifica dei Paesi europei che attraggono maggiori capitali (Fig. 3.16).

Fig. 3.16 – Flussi di IDE in entrata, i 20 maggiori Paesi europei destinatari, 2010 e 2011 (valori in miliardi di dollari)

Fonte: UNCTAD, basato su FDI stocks and flows database, 2012

Essa si colloca dietro a Regno Unito, Francia, Belgio, Svizzera e Germania. A fronte dei 9 miliardi di dollari confluiti sul suolo italiano nel 2010, il 2011 ha visto un importante incremento dei flussi che, salendo a 29 miliardi di dollari, sono praticamente triplicati.

(20) - 20 40 60 80 100 Belgium United Kingdom France Germany Spain Italy Luxembourg Netherlands Poland Denmark 2011 2010

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L’Italia ha quindi guadagnato una posizione rispetto allo scorso anno, sorpassando il Lussemburgo.

Per quanto concerne invece i capitali investiti dalle imprese italiane all’estero, l’Italia si colloca al quinto posto tra i maggiori investitori europei, dietro a Regno Unito, Francia, Belgio e Germania (Fig. 3.17). Nel 2010 l’Italia aveva investito nei mercati esteri circa 32 miliardi di dollari e nel 2011 tale valore è salito a 47 miliardi, consentendole di guadagnare due posizioni a scapito di Paesi Bassi e Spagna.

Fig. 3.17 – Flussi di IDE in uscita, i 20 maggiori Paesi europei destinatari, 2010 e 2011 (valori in miliardi di dollari)

Fonte: UNCTAD, basato su FDI stocks and flows database, 2012

Il quadro sopra tracciato trova una sostanziale conferma nei dati relativi alle iniziative

greenfield e di ampliamento di attività preesistenti68 elaborati in “Italia Multinazionale 2010”.

Limitando il confronto ai principali competitors europei, nell’intero periodo la numerosità delle iniziative italiane è pari a meno della metà di quelle attivate in Francia o Germania, e a circa un terzo di quelle di Regno Unito e Germania. Questo distacco non sembra ridursi

68 Mariotti S., Mutinelli M., Italia Multinazionale 2010. Le partecipazioni italiane all’estero ed estere in Italia., Rubettino Editore, 2010.

I dati richiamati in questa sede sono i più recenti disponibili e fanno riferimento ad elaborazioni dell’Istituto nazionale per il Commercio Estero (ICE) sul database fDi Markets del Financial Times, aggiornato al 31.12.2009. -20 - 20 40 60 80 100 120 United Kingdom France Belgium Germany Italy Spain Netherlands Sweden Denmark Portugal Migliaia 2011 2010

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nel corso del tempo, nonostante il numero medio di iniziative per anno cresca a anche durante la crisi si mantenga su valori più elevati rispetto al passato. (Tab. 3.8). Un altro aspetto positivo da sottolineare riguarda la taglia dimensionale media delle iniziative realizzate, che si è progressivamente allineata a quella degli altri Paesi.

Tab. 3.8 - Progetti di investimenti diretti all’estero greenfield e di espansione con origine dai principali Paesi europei, 2003-2009

Fonte: database fDi Marketstm, Financial Times.

Delle valutazioni più puntuali si posso trarre considerando le specificità settoriali e geografiche dei progetti di investimento.

Secondo i dati del Financial Times, le iniziative estere delle imprese italiane si focalizzano soprattutto sull’industria manifatturiera, che incide per il 79,6 per cento sul totale dei progetti realizzati dall’Italia. Nell’ambito manifatturiero dominano i settori tradizionali del made in Italy, che mostrano i più alti indici di specializzazione (indice 2,48), e i settori specialistici (indice 1,61). Sul fronte delle funzioni aziendali invece, spiccano i progetti realizzati nel campo del commercio al dettaglio, l’unico ambito funzionale nel quale l’Italia presenta un alto indice di specializzazione (indice 2,84). Emerge quindi nitidamente come una parte rilevante dei progetti italiani all’estero, riguardi investimenti in reti distributive e negozi nei settori tradizionali del Made in Italy e, soprattutto, della moda.

La geografica dei progetti italiani aiuta a comprendere il modello di internazionalizzazione delle nostre imprese. (Tab. 3.9).

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Tab. 3.9 - Indici di specializzazione dell’Italia come paese di origine di progetti di investimento diretto all’estero

greenfield, per aree e paesi di destinazione, 2003-2009

Fonte: elaborazioni ICE su database fDi Markets, Financial Times.

Osservando gli indici di specializzazione dell’Italia nei confronti del Mondo e dell’Europa, infatti, emerge chiaramente come l’unica area per cui si ottiene un’alta specializzazione sia l’Europa Orientale, sede di numerose iniziative di delocalizzazione produttiva. Una certa specializzazione si rileva anche nei confronti del Nord America, e segnatamente degli Stati Uniti. Tra gli Stati dell’America Latina spicca invece il Brasile, con un indice di specializzazione di 1,60, mentre la propensione verso l’Europa Occidentale appare allineata alla media, con polarizzazioni nei confronti dei Paesi confinanti. Al di sotto della media risulta invece l’orientamento verso le altre aree del mondo, con particolare riguardo ad Asia e Pacifico.

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Le eccezioni a questo quadro sono dovute agli investimenti in attività commerciali al dettaglio, fortemente diffusi tra le imprese italiane che investono all’estero. E’ questo il caso del Giappone, verso cui si rileva un alto indice di specializzazione (indice 2,17) imputabile soprattutto ai progetti nelle attività di retail, che costituiscono la quasi totalità delle iniziative, orientate soprattutto al settore del tessile-abbigliamento. Per certi versi, questa tendenza non è dissimile a quanto avviene negli Stati Uniti, dove i progetti nel retail e nel

marketing sono superiori alle iniziative realizzate nel settore manifatturiero.

Il quadro delineato coincide con il modello di crescita delle imprese italiane, estremamente coerente con i tratti tipici del Made in Italy e con la struttura industriale frammentata del Paese. Da un lato si rilevano processi di delocalizzazione orientati verso aree “affini” dal punto di vista geopolitico, culturale e logistico, dall’altro, la volontà di rafforzare la propria presenza commerciale soprattutto nei Paesi ricchi, capaci di apprezzare e valorizzare la qualità del design e l’innovatività del prodotto, esprimendo profili di domanda elastici al reddito. Infine, è necessario porre l’accento sulla minore vitalità delle imprese italiane, caratterizzate non solo da una minore numerosità di iniziative, ma anche da una più ridotta taglia di investimento.

Questi fattori culminano in un gap di globalità, non solo nei confronti delle maggiori economie europee, ma anche in riferimento ai Paesi emergenti che vanno affermandosi come nuovo epicentro dell’economia mondiale.

Sul fronte degli investimenti diretti esteri in entrata, il distacco italiano diventa ancora più imponente, soprattutto se si considera che gli investimenti greenfield costituiscono la componente degli IDE più espansiva per la base economica nazione.

Nella tabella sottostante vengono analizzati i progetti esteri greenfield nei principali Paesi europei durante il periodo 2003-2009. Sia che si consideri il numero di progetti realizzati nel corso degli anni, sia che si esamini il capitale medio investito in tali progetti, le prestazioni dell’Italia risultano sistematicamente inferiori rispetto agli altri partner europei. In particolare, qualora si esaminino i dati normalizzati tramite il PIL generato nel periodo considerato69, si rileva come i migliori risultati siano stati conseguiti da Spagna e Regno

Unito, con l’Italia fanalino di coda a debita distanza anche dalla Germania.

69 L’incidenza relativa sul PIL cumulato nel periodo 2003-2009, a parità di potere d’acquisto, viene calcolato

ponendo pari a 100 il dato relativo al Regno Unito, notoriamente quello caratterizzato da una più alta apertura internazionale tra quelli considerati.

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Tab. 3.10 - Progetti di investimenti diretti esteri greenfield e di espansione nei principali Paesi europei, 2003-2009

Fonte: database fDi Marketstm, Financial Times.

L’attrattività del nostro Paese non appare dunque stimolata neppure dal più basso livello di partenza degli IDE sul PIL, il quale lascerebbe maggiore spazio per una rincorsa competitiva verso gli altri Paesi. In questo senso è esemplificativo il confronto con la Spagna che, tra tutti i Paesi europei, presenta una situazione economica più simile a quella italiana. Nel 1980 lo stock di IDE in entrata sul PIL era modesto per entrambi i Paesi e non drammaticamente dissimile (1,9 per l’Italia e 2,3 per la Spagna), ma a fine 2009, mentre l’Italia si era arrestata al 18,6 per cento, la Spagna si attestava al 45,9 per cento. Il divario dunque si acuisce, lasciando il nostro Paese ai margini dei flussi di investimenti esteri diretti nel continente europeo.

A fronte di questo trend negativo appare utile indagare quali siano i differenziali di capacità attrattiva dei diversi settori di attività e nei confronti dei diversi investitori esteri.

Per quanto riguarda il lato settoriale, si rilevano aspetti di un certo interesse. Tra i settori in cui il nostro Paese si dimostra più attrattivo figurano quelli del turismo e quelli del tempo libero e spettacolo, a conferma delle opportunità che il Paese può offrire in questo ambito, valorizzando il suo patrimonio culturale, artistico e paesaggistico. Questi due settori incidono tuttavia solo per il 6,5 per cento della totalità delle iniziative del periodo considerato. Anche il settore energetico dimostra una certa attrattività, grazie soprattutto a

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numerosi piccoli progetti realizzati nel campo delle energie rinnovabili e alternative. Anche’esso incide però solo marginalmente sul totale dei progetti realizzati in Italia, per una percentuale del 4,9 per cento. La maggior parte dei capitali entrati in Italia dall’estero sono invece confluiti nel settore manifatturiero, che rappresenta il 47,8 dei progetti censiti in Italia. Male invece i settori dei servizi avanzati: software, ICT e servizi alle imprese rappresentano un punto di debolezza per l’Italia, soprattutto se si considera che questi settori sono tra i più attrattivi su scala mondiale quanto a numerosità e consistenza dei progetti.

Per quanto riguarda invece la provenienza dei progetti realizzati nel mercato italiano, la tabella sottostante evidenzia l’attrattività dell’Italia attraverso indici di specializzazione riferiti al sistema mondo (Tab.3.11).

Tab. 3.11 - Indici di specializzazione dell’Italia come paese di destinazione di progetti di investimento greenfield nei confronti del Mondo e dei principali Stati Europei, 2003-2009

Fonte: elaborazioni su database fDi Marketstm, Financial Times.

In primo luogo, l’Italia risulta decisamente più attraente nei confronti degli investitori europei, che presentano indici di specializzazione più alti sia per quanto riguarda il numero di progetti realizzati sia per il valore del capitale investito (rispettivamente 1,39 e 1,65). Nello specifico, Spagna e Francia risultano essere i maggiori Stati europei investitori sul

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suolo italiano. Meno attratti risultano invece gli altri Paesi, siano essi europei o del mondo intero, con unica eccezione del continente africano, che presenta indici intorno all’unità. Sono tuttavia contributi minimi, considerato il basso ammontare degli investimenti totali effettuati dai Paesi di questo continente.

Lo scenario relativo ai capitali esteri orientati verso l’Italia conferma la scarsa attrattività del nostro Paese come sede di investimenti profittevoli. Anche in questo caso viene messo in luce il gap rispetto agli altri investitori delle grandi aree economiche mondiali.

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