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L’evoluzione degli investimenti diretti esteri per settore

DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI NEL MONDO

3.1 Lo scenario internazionale

3.1.4 L’evoluzione degli investimenti diretti esteri per settore

Nell’analizzare l’andamento degli investimenti diretti esteri può risultare utile distinguere la loro evoluzione nei vari settori economici. A livello globale, i dati dell’UNCTAD rilevano una diffusione degli investimenti internazionali in tutti i settori dell’economia e, seppur con dinamiche diverse, tale crescita ha coinvolto tutte le maggiori attività economiche.

Il primario ha sempre attirato un flusso di capitali nettamente inferiore rispetto agli altri settori. Nel triennio 2005-2007 solo 130 miliardi di dollari venivano investiti in questo settore, che deteneva una quota dell’8 per cento sui flussi totali di IDE. Il picco più alto si è raggiunto nel 2008, con investimenti pari a 230 miliardi di dollari, ma l’avvento della crisi ha determinato, nel biennio, successivo una netta caduta. Negli anni successivi alla crisi, gli IDE del settore primario sono aumentati gradualmente, caratterizzati da un incremento degli investimenti nel settore minerario, estrattivo e petrolifero. Nel 2011 i flussi hanno vissuto un vero e proprio rimbalzo, tanto che la loro quota attuale supera i livelli medi raggiunti nel periodo pre-crisi. Oggi questo settore attira circa 200 miliardi di dollari e rappresenta il 14 per cento dei progetti totali di investimento diretto estero. (Tab. 3.1).

Tab. 3.1 – Distribuzione degli IDE nei diversi settori, 2005 – 2011 (valori in milioni di dollari e in percentuale)

Fonte: UNCTAD, World Investment Report 2012.

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Il valore degli investimenti diretti esteri nel settore manifatturiero è cresciuto del 7 per cento nel 2011 e rappresenta il 46 per cento del valore totale. I progetti che hanno subito il maggior decremento percentuale sono stati quelli che riguardavano materie prime come il carbone, il petrolio e i combustibili, mentre il più ampio incremento è stato osservato nel settore alimentare e nell’industria chimica. I prodotti alimentari, le bevande e il tabacco sono, infatti, le industrie meno colpite dalla crisi, poiché producono principalmente beni di consumo primario (Tab. 3.2).

Tab. 3.2 – Distribuzione delle quote e dei tassi di crescita degli IDE nei diversi settori, 2011 (valori in percentuale)

Fonte: UNCTAD, World Investment Report 2012.

Note: basato sul database cross border M&A dell’UNCTAD e su informazioni dal Financial Times Ltd Markets

Come emerge dai dati dell’UNCTAD, l’industria chimica ha visto un incremento del 65 percento nei flussi di capitale, risultato degli imponenti investimenti realizzati nel settore farmaceutico. Tra le forze che sostengono questa repentina crescita si rilevano il dinamismo del mercato finale, soprattutto nelle economie in via di sviluppo, e la necessità di creare nuovo prodotti sanitari.

Per quanto riguarda, infine, il settore dei servizi, nel 2011 ha vissuto un incremento del 15 per cento. I progetti realizzati nel campo dell’energia elettrica, del gas e l’acqua, così come nei settori dei servizi per il trasporto e della comunicazione, sono quelli che hanno contato un incremento maggiore. Nello specifico, l’aumento dei capitali confluiti nei settori del trasporto e delle comunicazioni è dovuto principalmente agli investimenti greenfield realizzati nell’ambito delle telecomunicazioni in America Latina.

- 111 - 3.2 Lo scenario europeo

Dopo aver analizzato l’andamento degli investimenti diretti esteri nello scenario mondiale, scenderemo nello specifico del contesto europeo.

L’instabilità economica che ha investito economia mondiale ha coinvolto in pieno anche il vecchio continente. La crisi economica globale ha rappresentato un duro colpo per i processi di internazionalizzazione delle imprese, siano essi stati concretizzati nelle forme leggere o in quelle più massicce.

In questo paragrafo, dopo aver dipinto un quadro macroeconomico generale nell’intento di fotografare la realtà europea nel periodo immediatamente successivo alla crisi, apriremo una parentesi sulla dinamica del commercio estero, focalizzandoci in particolare sui valori di importazioni ed esportazioni. Infine, procederemo all’analisi dei flussi di investimenti diretti esteri, identificando la posizione occupata dall’Europa nello scenario mondiale. 3.2.1 Il quadro d’insieme

La ripresa economica dopo la recessione del 2009 procede, seppur a ritmi non elevati, anche per l’Unione Europea64. Il 2011 ha segnato per il continente europeo un periodo di

relativa crescita, che si è però arrestata nell’ultimo trimestre dell’anno, quanto si è verificato un forte inasprimento delle tensioni sulla sostenibilità dei debiti sovrani di alcuni Stati membri, quali Spagna, Italia, Irlanda e Portogallo, accompagnato dall’acuirsi dei timori circa un possibile default della Grecia. Il contemporaneo agire di molteplici fattori, come il crollo della fiducia sui mercati, i forti squilibri tra i diversi Paesi dell’UE, le difficoltà nell’attivare strumenti di politica economica a livello europeo e, soprattutto, l’elevata incertezza sull’evoluzione della crisi del debito sovrano, contribuiscono pesantemente nel rallentare un già debole processo di ripresa dell’UE a 27.

Nel 2011 il PIL europeo si è attestato all’1,5 per cento, con un rallentamento del 2 per cento rispetto all’anno precedente. In un contesto generale di bassa crescita aggregata, divengono fondamentali sia la dimensione che la domanda estera di beni e servizi. Le esportazioni in particolare, trainate dalla crescita della domanda mondiale, hanno rappresentato il maggiore fattore di impulso alla ripresa. Esse hanno vissuto nel 2011 un

64 In tutto questo capitolo l’Unione Europea viene considerata come un’unica entità geo-politica. Gli stato

che compongono l’UE a 27 Paesi sono, nell’ordine di entrata: Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Germania (1952) , Danimarca, Irlanda, Regno Unito (1973), Grecia (1981), Portogallo, Spagna (1986), Austria, Finlandia, Svezia (1995), Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia (2004), Bulgaria, Romania (2007).

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incremento del 6,3 per cento e, seppur con tassi di crescita sensibilmente inferiori a quelli del 2010, hanno contribuito alla crescita del PIL in modo costantemente positivo.

Il quadro macroeconomico complessivo dell’UE è il risultato aggregato di performance molto diverse. Se da un lato Germania, Polonia e Francia hanno contributo più di altri alla crescita del PIL europeo, altri Paesi, come Spagna, Italia e Grecia hanno incontrato maggiori difficoltà nel riprendersi dalla crisi europea.

Le dinamiche specifiche di ogni singolo stato membro rilevate a livello macroeconomico si riflettono anche sull’andamento del commercio estero, che evidenzia la presenza di

performance non omogenee. Nell’analizzare l’andamento del 2011 infatti, è possibile

individuare tre gruppi di Paesi, che presentano un ritmo di recupero disuguale. Un primo gruppo, costituito da Paesi come Germania, Polonia e altri Stati del Nord Europa, ha saputo sfruttare appieno la crescita della domanda nei Paesi emergenti, mostrando tassi di crescita elevati e superiori alla media europea. Essi hanno rivestito un ruolo di traino al commercio estero dell’UE e i loro saldi commerciali rimangono positivi. Un secondo gruppo di Paesi ha imboccato la strada della ripresa con passo graduale, grazie anche al contributo della domanda estera, ma non ha ancora raggiunto i livelli pre-crisi. Tra questi vi sono Francia, Italia e Regno Unito, quest’ultimo duramente colpito dalla crisi del settore creditizio. I loro disavanzi commerciali hanno mostrato un peggioramento. Il terzo gruppo è costituito da Paesi che si trovano in una situazione di recessione, come Grecia, Spagna, Portogallo e, seppur in misura meno intensa, la Romania.