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La multinazionalizzazione attiva

DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI NEL MONDO

OCEANIA E ALTR

3.4 Le imprese italiane all’estero ed estere in Italia

3.4.1 La multinazionalizzazione attiva

Sul fronte dell’internazionalizzazione attiva, il punto di svolta per l’integrazione internazionale dell’industria italiana si è avuto a partire dalla metà degli anni ’80, quando ha preso avvio quella che Mariotti e Mutinelli definiscono la fase di “inseguimento multinazionale” delle imprese italiane.

Fino alla prima metà degli anni Ottanta, infatti, la consistenza degli investimenti in uscita era decisamente modesta rispetto ai flussi di capitali in entrata e il numero dei dipendenti delle imprese italiane a partecipazione estera era più di due volte quello dei dipendenti delle imprese estere partecipate dall’Italia. Sebbene tale analisi sia possibile solo per il settore manifatturiero, si rammenta che quest’ultimo, oltre a rappresentare quasi i tre quarti dell’intero fenomeno censito, è stato storicamente in parte presupposto e in parte guida del processo di crescita all’estero anche delle attività commerciali e di servizio.

Dalla metà degli anni Ottanta invece, il numero delle imprese investitrici è decuplicato, soprattutto nel senso della formazione di nuove piccole e medie imprese multinazionali, mentre il numero delle partecipazioni estere è cresciuto di oltre nove volte: la loro consistenza sul totale, in termini di dipendenti all’estero, è quasi quadruplicata (Tab. 3.12).

70 I dati riportati in questo paragrafo sono tratti dalla pubblicazione di Mariotti S., e Mutinelli M., Italia

Multinazionale 2010. Le partecipazioni italiane all’estero ed estere in Italia., Rubettino Editore, 2010. Aggiornati al

1.1.2009, sono i più recenti dati disponibili in tema di multi nazionalizzazione passiva delle imprese italiane. Per l’esatta comprensione degli aggregati e della fonte di dati, si consiglia di vedere la nota metodologica in appendice del rapporto.

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Tab. 3.12 - Evoluzione del numero di imprese italiane con partecipazioni in imprese manifatturiere estere, 1.1.1986 - 1.1.2009

Fonte: banca dati Reprint, Politecnico di Milano - ICE.

Tale processo di espansione multinazionale non si è svolto tuttavia in modo lineare, ma ha attraversato fasi alterne.

La fine del ventesimo secolo ha visto esaurirsi il ciclo di espansione degli IDE avviato dalle grandi imprese protagoniste negli anni ’80. Al loro posto si sono inseriti gruppi di media dimensione, attivi nei settori tradizionali del Made in Italy e sempre più coinvolti nei processi di crescita all’estero, aprendo la prospettiva di una più diffusa proiezione all’estero del capitalismo privato italiano. Come sottolinea Mutinelli,71le piccole e le medie imprese

operanti nei settori tradizionali si sono mosse soprattutto sulla via della delocalizzazione produttiva, trasferendo le fasi a maggiore intensità di lavoro verso l’Europa dell’Est, la Cina e l’area del Mediterraneo. A questa fase espansiva è seguito un rallentamento delle iniziative italiane all’estero. Con poche eccezioni, in questo periodo le grandi imprese sono apparse per lo più in ritirata, in ristrutturazione o focalizzate sul proprio core business, e hanno vissuto fasi spesso accompagnate da disinvestimenti all’estero. Occorre attendere il 2006 per poter osservare un rinnovato attivismo internazionale delle grandi imprese, nonostante la numerosità e la consistenza delle iniziative sia rimasta al di sotto della media dell’anno

71Mariotti S., Mutinelli M., Italia Multinazionale 2006. Le partecipazioni italiane all’estero ed estere in Italia., Rubettino Editore, 2006.

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precedente. A mancare in questo periodo sono state soprattutto le operazioni di M&A, di cui si torna ad avere traccia solo di recente.

Dal punto di vista settoriale, emergono elementi che potenzialmente delineano importanti cambiamenti di rotta rispetto al passato. Se da un lato il manifatturiero si conferma il settore che attira il più ampio numero di partecipazioni italiane, dall’altro lato presenta dei tassi di crescita contenuti. A fronte di tale crescita ridotta, assai dinamici appaiono invece alcuni settori del terziario, in particolare nel comparto delle utilities (energia elettrica, gas e acqua) e della logistica. Di contro, non mancano manifestazioni di segno negativo, come nel caso dell’informatica e delle telecomunicazioni.

Dal punto di vista geografico, si ravvisa un limite nell’assetto multinazionale delle nostre imprese, non superato nel corso del tempo: la loro presenza internazionale trova massima espressione in un ambito geografico ristretto, sostanzialmente circoscritto all’Europa e al Mediterraneo, cui fanno da contrapposizione posizioni modeste e marginali nelle aree del mondo a più forte attrattività di IDE, sempre più oggetto di concorrenza tra i principali investitori del mondo (Tab.3.13).

Tab. 3.13 - Evoluzioni delle partecipazioni italiane all’estero, per area geografica, 1.1.2001 - 1.1.2009

Fonte: banca dati Reprint, Politecnico di Milano – ICE

Passando ad un’analisi di breve periodo, va innanzitutto ricordato come, pur in presenza di una crisi globale, non siano emersi segnali consistenti di disinvestimento. Certamente la crisi ha indotto molte imprese italiane a riconsiderare le proprie strutture aziendali,

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apportando tagli e ristrutturazioni, laddove necessario, ma con riferimento alla proiezione multinazionale delle nostre imprese, prevalgono segnali di continuità rispetto agli ultimi anni. Le imprese italiane hanno cercato, per quanto possibile, di mantenere e consolidare le posizioni raggiunte negli anni precedenti e non sono mancati casi di piccole e medie imprese che hanno saputo cogliere, attraverso acquisizioni, importanti opportunità per rafforzare il proprio posizionamento internazionale.

Come risultato, in data 1.1.2009 era possibile delineare il quadro d’insieme sintetizzato nella seguente tabella (Tab. 3.14).

Tab. 3.14 - Le partecipazioni italiane all’estero ed estere in Italia al 1.1.2009

Fonte: banca dati Reprint, Politecnico di Milano - ICE.

Considerando il quadro d’insieme, a fine 2008 le imprese all’estero partecipate da imprese italiane risultavano, in totale, 22.715. Il numero do soggetti investitori, comprendente gruppi industriali ed imprese autonome, ammontava a 6.456 unità, mentre i dipendenti assunti all’estero risultavano oltre 1.300.000 unità. Infine, il fatturato raggiunto dalle affiliate estere è stato di 460.514 milioni di euro. Le partecipazioni di controllo riguardavano l’82,3

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per cento delle imprese partecipate, il 74,8 per cento dei loro dipendenti e il 79,7 per cento del fatturato totale. Come emerge dalla tabella inoltre, la presenza italiana all’estro rimane comunque caratterizzata da una quota non trascurabile di partecipazioni paritarie e minoritarie, anche se si assiste a una progressiva crescita nel tempo dell’incidenza delle attività controllate.

Nel complesso, tra il 2004 e il 2009, si rileva un trend positivo: il numero delle partecipate estere delle imprese italiane è cresciuto del 21, 4 per cento, il numero dei relativi addetti del 16,8 per cento e il loro fatturato del 56,3 per cento.

Anche nel corso dell’ultimo biennio non si sono registrate dismissioni di particolare rilevanza strategica, mentre è proseguita l’attività di investimento all’estero da parte delle imprese italiane.72

Dai dati ICE - Reprint relativi al 2011 si rileva che il numero di partecipate estere è salito ulteriormente, portandosi a 27.191 unità (+ 0,1 per cento rispetto all’anno precedente), mentre lo stock degli addetti all’estero ha registrato una leggera flessione, attestandosi a circa 1.557.000 unità (-1,5 per cento rispetto al 2010). Considerando invece solo le partecipazioni di controllo, che rappresentano ovviamente la parte più rilevante del fenomeno osservato, il saldo relativo al 2011 diventa nettamente positivo anche in relazione al numero di addetti (+2,9 per cento rispetto al 2010). Il fatturato, dal canto suo, ha visto nell’ultimo anno un incremento del 5,8 per cento.

Per quanto concerne le imprese investitrici italiane, il loro numero si è ormai attestato di poco al di sotto delle 8.000 unità, la maggior parte delle quali è rappresentata da imprese di piccole e medie dimensioni: poco meno di 5.000 imprese investitrici (il 61,2 per cento del totale) conta meno di 50 addetti, mentre 2.350 imprese investitrici (il 29,5 per cento del totale) hanno un numero di addetti compreso tra 50 e 250. Le imprese con un numero di addetti pari o superiore a 250 sono meno di un decimo, il 9,3 per cento. Va comunque rimarcato come, nell’ultimo decennio, l’incremento più elevato nel numero di imprese attive all’estero con proprie partecipazioni si sia registrato proprio nella classe dimensionale più piccola, la cui numerosità è cresciuta del 63,4 per cento tra il 2001 e il 2011. L’incremento è risultato nettamente minore per le altre classi dimensionali, pari

72 I dati relativi al 2010 e al 2011 e commentati in questa sede sono stati tratti dalla pubblicazione del Sistema

Statistico Nazionale, L’Italia nell’economia internazionale. Rapporto 2011-2012. Aggiornati al 30.6. 2012,sono i più recenti dati disponibili in tema di multinazionalizzazione attiva.

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rispettivamente al 34,6 per cento per le imprese con numero di addetti compreso tra 50 e 249 e al 10,5 per cento per le imprese con più di 250 addetti.

Per quanto riguarda il contributo delle diverse classi dimensionali alla consistenza delle partecipazioni estere in termini di addetti e fatturato, le imprese di grandi dimensioni hanno contribuito in misura preponderante. Nonostante la minore numerosità, infatti, nel 2011 quasi quattro quinti degli addetti e nove decimi del fatturato delle partecipate italiane è ascrivibile a case madri con più di 250 addetti (Tab. 3.15). In particolare, sono state le grandi imprese delle utilities e del settore terziario a registrare i tassi di crescita più significativi negli ultimi anni.

Tab. 3.15 – Distribuzione percentuale degli addetti e del fatturato delle partecipate estere per area geografica di localizzazione e per classe dimensionale dell’investitore, anno 2011, (valori in percentuale)

Fonte: L’Italia nell’economia internazionale. Rapporto 2011-2012, elaborazione su dati ICE-REPRINT

Anche il contributo delle imprese della classe dimensionale intermedia è stato rilevante. A questa classe d’imprese è dovuto l’incremento degli investimenti produttivi in uscita dall’Italia durante gli anni Novanta e nei primi anni Duemila. Il successo delle imprese del cosiddetto “quarto capitalismo” avrebbe origine nelle caratteristiche nel modello produttivo italiano: il numero limitato dei grandi gruppi internazionali e un tessuto imprenditoriale popolato da una grande moltitudine di piccole imprese, per le quali i costi dell’internazionalizzazione produttiva costituiscono spesso vincoli insormontabili, avrebbero consentito ai gruppi di media dimensione di giocare un ruolo fondamentale nei processi di espansione estera dell’Italia. A fine 2011, le partecipate estere delle medie imprese investitrici occupavano oltre 212.000 addetti, pari al 13,6 per cento del totale, con un fatturato di 37 miliardi di euro, il 7 per cento del totale.

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Per quanto riguarda, infine, il contributo delle piccole e medie imprese, esse rappresentano 8,3 per cento del totale in termini del numero di addetti all’estero, ma solo il 4,3 per cento del totale in termini di fatturato realizzato dalle imprese partecipate.

Nel complesso, il contributo delle piccole e medie imprese al processo di multinazionalizzazione attiva è modesto ma non trascurabile: le loro partecipate estere hanno occupato oltre 340.000 addetti, in un giro d’affari superiore a 43 miliardi di euro.

Sul fronte delle direttrici geografiche, anche nel 2011 i flussi di investimenti diretti esteri hanno seguito un modello fortemente gravitazionale (Fig.3.16). Le imprese italiane mantengono una forte polarizzazione sul mercato europeo e soprattutto sui paesi UE, tanto che alla fine del 2011, oltre il 57 per cento delle partecipate estere delle imprese italiane ha sede nell’Unione Europea. Seguono, nell’ordine, l’America settentrionale, con una quota di partecipate italiane pari al 10 per cento, e i Paesi europei non UE, con una percentuale del 9,5 per cento.

Tab. 3.16 – Distribuzione delle imprese estere a partecipazione italiana, degli addetti e del fatturato per area geografica di localizzazione (fatturato in milioni di euro, anno 2011)

Fonte: L’Italia nell’economia internazionale. Rapporto 2011-2012,

elaborazione su dati ICE-REPRINT

Il quadro della ripartizione geografica risulta tuttavia in movimento e le variazioni intervenute hanno seguito alcune tendenze interessanti. Mentre il peso dell’UE si riduce, soprattutto in termini di numero di addetti e fatturato, è in atto un progressivo spostamento verso i mercati emergenti, che catalizzano la maggior parte delle nuove iniziative di investimento. Tale spostamento è orientato solo in parte verso i Paesi europei non UE, la cui incidenza in termini di addetti è cresciuta dall’8,6 del 2006 al 9,0 del 2011. Cresce invece in modo rilevante la consistenza dell’America Meridionale, che rappresenta la

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seconda area più rilevante per gli investimenti italiani all’estero in termini di addetti e fatturato (14,9 per cento degli addetti totali all’estero nel 2011 contro il 12,6 per cento nel 2006). Grazie all’interrompersi di un trend di lungo periodo, che vedeva progressivamente scendere l’incidenza delle partecipazioni italiane all’estero del Nord America, anche gli Stati Uniti hanno visto aumentare la loro quota in termini di addetti, che è risalita all’11,3 per cento. Risultano invece in calo le quote spettanti alle altre aree geografiche, quali Africa, Asia e Oceania. E’ comunque opportuno sottolineare che tali aree, ad eccezione dell’Oceania, hanno vissuto in passato importanti incrementi in termini di addetti assunti dalle partecipate italiane; semplicemente, negli ultimi cinque anni, la consistenza delle partecipazioni italiane in tali aree è cresciuta a tassi inferiori alla media complessiva.

Analizzando il caso specifico delle direttrici geografiche scelte dalle piccole e medie imprese, i dati riportati nella tabella 3.13 evidenziano la prevalenza di scelte localizzative coerenti con il modello gravitazionale italiano. Le piccole imprese sono orientate soprattutto verso i mercati geograficamente vicini, con incidenza in termini di addetti nettamente al di sopra della media in Europa, ed in particolare nei nuovi Paesi non UE, nei Paesi del mediterraneo orientale e nella penisola arabica. Le medie imprese invece, mostrano una propensione più elevata della media ad investire nei mercati emergenti dell’Asia Orientale e Centrale. Le grandi imprese, dal canto loro, dirigono i capitali soprattutto verso il Nord America e l’America Latina, dove occupano oltre il 90 per cento degli addetti delle imprese a partecipazione italiana.

Dal punto di vista settoriale infine, il contributo delle PMI risulta superiore nei settori manifatturieri a basso contenuto tecnologico, tipici del Made in Italy. Al contrario, le grandi imprese rivestono un ruolo determinante nei settori ad alte economie di scala, nei quali operano le grandi multinazionali italiane: l’industria petrolifera ed estrattiva, il settore dei mezzi di trasporto, delle telecomunicazioni e dell’energia.